In questo periodo penso ad una espressione che
torna spesso sotto la penna di sant’Eugenio: Parva Congregatio. Egli parla di “piccola e umile Congregazione”,
“piccola comunità”, “la nostra piccola famiglia”, “la nostra piccola, povera e
modesta società”.
La celebrazione del secondo centenario della
nascita degli Oblati, al pari di quella del primo centenario, ha messo in luce i
successi, le opere realizzate dalle origini ad oggi. Di questi ci siamo
gloriati e abbiamo reso grazie a Dio.
L’apostolo Paolo ci insegna a gloriarci delle
nostre debolezze. Davanti alla preghiera perché gli venga tolta la “spina”
nella carne, si sente rispondere:
«La mia grazia ti basta, perché
la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza». Perciò molto volentieri
mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi
su di me. Per questo mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in
persecuzioni, in angustie per amor di Cristo; perché, quando sono debole,
allora sono forte (2 Cor 12, 7-10).
Perché
anche noi non vantarci delle nostre debolezze?
Metà del
primo gruppo ha lasciato la comunità dopo poco tempo dagli inizi. Il più delle
volte sant’Eugenio si dice contento della regolarità e della carità che regna
nelle comunità, eppure lungo tutta la sua vita si è spesso lamentato della poca
regolarità di certuni, degli egoismi, le gelosie, i caratteri difficili…
Espulsioni e abbandoni hanno trovato qui le loro motivazioni.
Nel 1830
scriveva al maestro dei novizi:
Oh! Come mi addolorano le
piccole dispute tra fratelli… So che si cerca di sanare al più presto queste
ferite fatte alla carità; ma non si dovrebbe neanche cadere in queste mancanze
che turbano sempre una virtù che noi dovremmo possedere al più alto grado.
Raccomando molto loro di ingegnarsi a sradicare quelle piccole antipatie che
intaccano il cuore…
Sono stato dolorosamente
colpito nel capire che i due giovani Padri non vanno d’accordo come conviene a
due bravi fratelli, specialmente quando si trovano lontani dal loro padre
comune. No, questo non lo posso sopportare. Che peso ha la differenza di carattere
quando si deve avere un cuor solo e un’anima sola?... Conservate rigorosamente
la più grande unione tra i fratelli e la carità regni sempre in mezzo a voi.
Quando si
confrontava con sant’Ignazio e i Gesuiti, gli veniva voglia di sparire dalla
faccia della terra:
Mi congratulavo col loro
fondatore per le meraviglie che aveva operato; ma quanti aiuti gli vennero a
questo scopo! (…)
Ma, confessiamolo, da quali
uomini fu favorito. Fin dai primi anni che si riunirono in comunità, si sarebbe
potuto dire di ciascuno di essi che lavorava più di lui. Non parlo solo dei
primi compagni, parlo di coloro che si aggregavano ad essi appena conosciutili.
(…) La sua Compagnia fu sin dall'inizio un esercito di generali. Dopo di ciò
che c'è da meravigliarsi per quanto hanno fatto! (…) Vediamo nulla di simile
attorno a noi? Si devono formare a fatica alcuni giovincelli di cui la maggior
parte non giunge a imbeversi delle grandi idee che dovrebbero innalzarli sopra
tutto ciò che li circonda; non c'è uno che possa fornire qualcosa di proprio,
aggiungere una pietra all'edificio che bisognerebbe costruire insieme. Tristi
tempi, influsso detestabile del secolo sulle intelligenze! (…) anime fredde e
senza vigore... (…) Ho finito per domandare al Signore di togliermi da questo mondo
se io non devo fare altro (di meglio) di quel che ho fatto.
Il primo
Oblato irlandese, che ha aperto la strada per la fondazione nelle Isole
Britanniche, fu espulso per questione economiche.
Altri se
ne sono andati consapevoli di non essere fatti per la vita comunitaria, come p.
Alessandro Dupuy, che nel 1825 scriveva al fondatore:
Sono portato a credere che
siete deciso a congedarmi, sia a causa dei cattivi esempi che do in comunità,
sia perché siete intenzionato a liberare la vostra comunità di quei mezzi
religiosi che potrebbero nuocere al bene della comunità. Questo pensiero mi ha
profondamente addolorato; non trovo consolazione. Mi sono lamentato con Dio perché
in questo modo, purtroppo, sono un ostacolo e una pietra di scandalo. Mi riconosco
indegno di vivere in una santa così casa e in compagnia di santi… Carissimo e
amatissimo Padre, tutti i vostri figli vi danno mille volte più consolazioni di
me… sono la sola pecora smarrita.
Nel 1830
p. Dupuy chiese di lasciare la Congregazione perché non si sentiva in grado di
vivere in pace in comunità. Il Consiglio Generale accettò la sua partenza con queste
parole: «Non può essere costretto a vivere la vita comune. Sarebbe un grande inconveniente
se continuasse a far parte della Congregazione, visto [anche] che il suo
carattere singolare e molto originale potrebbe avere un effetto negativo sulle
nostre comunità…».
Nelle
Lettere dei superiori generali tornano sovente le lamentele per l’inosservanza
della Regola, gli individualismi, soprattutto nel campo missionario, i
nazionalismi. Nel Rapporto al Capitolo del 1887 padre Fabre, primo successore di de Mazenod, scriveva ad
esempio:
Nelle Province del Canada e
degli Stati Uniti dobbiamo temere gli effetti di un nazionalismo esagerato che
crea partiti, nuoce all’unione degli spiriti e dei cuori, e altera più o meno
quello spirito di famiglia qui deve essere nostro in maniera speciale. Non
siamo solo dei missionari, noi formiamo una congregazione, siamo religiosi,
siamo Oblati di Maria. Come Congregazione, non c’è più lo spirito di corpo che
si trova altrove e che costituisce la forza di un Istituto. Troppo spesso
troviamo l’egoismo personale, locale, provinciale… Tuttavia abbiamo in Famiglia
tutto ciò che occorre per conservare lo spirito di corpo, d’obbedienza, di
carità.
Ma anche
nelle missioni, accanto a tanto eroismo, quanti fallimenti! Le missioni tra gli
Zulu e gli Esquimesi hanno conosciuto anni e anni di fallimenti. Abbiamo avuto
problemi addirittura con i superiori maggiori: un superiore generale ha dovuto
dare le dimissioni per una crisi finanziaria, un altro per ragioni personali.
Attualmente,
alle varie difficoltà, si aggiunge la diminuzione dei membri dell’Istituto, in
caduta libera, per l’invecchiamento, gli abbandoni, il calo delle vocazioni.
Parva Congregatio. Sì, siamo pochi,
piccoli, fragili, con tanti sbagli e fallimenti…
Vale per
ogni singola persona, per le comunità, le famiglie, i gruppi…
È un
invito all’umiltà, a porre la nostra fiducia nella misericordia di Dio, nella
sua grazia.
Mi vanterò delle mie debolezze.
Ti basta la mia grazia!
Quando sono debole, allora sono forte.
Caro P. Fabio, che bella l'anima del Fondatore che amava cosi tanto il profilo mariano della sua congregazione da desiderarla 'parva'! Quanto amore si puo seminare quando la vita ci ha ridotto ai minimi termini e non ci sono piú sogni di gloria e di riconoscimenti pubblici, anche ecclesiastici o dei dirigenti di Movimenti e Congregazioni non solo per se stessi ma per la famiglia stessa di cui si fa parte. La parabola di Maria sulla terra non e stata quella di vivere, custodire, seguire il Figlio fino a raccoglierne l'ultimo respiro e sparire dalla circolazione per lasciare a Dio Amore campi libero attraverso la testimonianza dei discepoli del Figlio? Certo anche da Efeso avra tenuto vivi i fili della comunione tra i primissimi discepoli che saranno ricorsi a Lei, ma sempre con quella discrezione tipica della mamma che si fa da parte nella contempkazione delle opere del Figlio e del Suo Spirito operante in prima persona, come riconosce Paolo e Luca, dopo la Pentecoste. Io sono qui, apoena ricovetato all'ospedale di Foligno oer un intervento chirurgico, domattina, di rimozione di una neoformazione papillare vescicale sospetta neoplasia. Mi opererá il primario alle 10. Nella mia stanza stiamo in tre e giá abbiamo fatto amicizia. D'altra parte quando si é in.condizione di precariato come in ospedale si torna bambini e si gioisce delle cose semplici, ringraziando nel cuore il Signore di poterlo fare. Fra quattro o cinque giorni dovrei tornare a casa a Spoleto, ma anche questo é affidato alla Provvidenza del Padre. Un'occasione d'oro per iniziare la quaresima 2017 con un sorriso. Ciao
RispondiElimina