Il Padre
generale ha scritto di p. Joaquín Martinez: “Era un gigante, ha vissuto e
respirato il carisma intensamente e con passione”. Ed il provinciale: “Un uomo
della fede forte, convinta, un vero oblato, appassionato di Gesù Cristo,
radicato nell’unità della Chiesa e dell’umanità”.
Ieri
abbiamo celebrato la messa ricordando questo nostro amico scomparso venerdì
scorso. Wojciech Popielewski si è chiesto quale fosse il vocabolario di p.
Martinez, quali le parola che tornavano più spesso sulle sue labbra. Ne
ha ricordate tre.
La prima:
fede, una parola che usava spesso, di
cui parlava come del tesoro datogli da Dio. Una fede trasmessagli dall’ambiente
in cui era cresciuto, dalla famiglia numerosa e religiosa, dallo zio Santiago,
missionario e fondatore della missione di Uruguay e Argentina. Una fede che gli
diede la forza di venire a studiare a Roma, senza poter vedere la famiglia per
nove anni Una fede che gli permise si accettare tanti incarichi, da professore a
maestro dei novizi, superiore, provinciale…
Comunione era un'altra parola che usava
spesso nel suo linguaggio. Comunione con Gesù. Nei ricordi della sua vita P.
Joaquin parlava di un momento di crisi profonda e dolorosa vissuta dopo 10 anni
di sacerdozio. In una Mariapoli in Spagna trovò una luce nuova che gli consentiva
di scrivere: “Nei momenti difficili e quando vengono i problemi, devo
abbracciare la Croce e ricordarmi di Gesù Abbandonato”. Quando in questi ultimi
mesi non poteva più leggere, guardava sul tablet l’immagine di Gesù abbandonato,
la stessa che aveva nel quadro vicino al letto.
Comunione con i fratelli: era la sua “debolezza”.
Soffriva tanto quando mancava la comunione, quando veniva ferito oppure quando pensava
che qualcuno si sentisse ferito da Lui. Ripeteva spesso: “insieme, tutto
insieme… un cuor solo e un’anima sola”.
La terza
parola: fedeltà. Nel maggio scorso
scriveva: “Sono grato a Dio che mi ha preso per mano e mi ha portato da Oblato fin
qui. E lo supplico che mi conceda la grazia di essere fedele al quarto voto che
facciamo noi oblati: perseverare fino alla morte nel nostro Istituto”.
La
fedeltà dimostrata dai martiri Oblarti spagnoli era uno dei motivi per cui li amava
particolarmente e ha lavorato con dedizione per la causa della loro
beatificazione.
E lui
stesso era fedele. Non si dispensava mai dalle preghiere, celebrazioni, incontri,
feste, anche quando era ammalato e stanco: “Bisogna essere fedeli al nostro
ritmo di vita”. Portava in tasca un piccolo calendario, dove scriveva tutti i
sui doveri…
Nel suo
penultimo messaggio sul blog ha scritto da Madrid chiedendosi: “Tornerò a Roma,
o resterò a Madrid? Quale sarà l’ultima tappa della mia vita? Il campo Verano o
alla Tomba oblata a Pozuelo? Non so e questo non è la mia preoccupazione.
Chiedo solo al Signore di darmi la pace interiore e quella gioia di poter accettare
volentieri ciò che accade. Ho fatto
l’oblazione perpetua tanti anni fa. E chiedo la grazia di vivere il quarto voto
fino alla morte. Pregate per me, chiedendo solo questo: la perseveranza”.
Le ultime
parole scritte sul blog: “Voglio ringraziarvi per la carità fraterna la quale
mi ha dato il coraggio di vivere l’ideale Oblato di comunità: Cor unum e anima
una”.
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