Sulla tomba di san Paolo |
Quando Mons. Berteaud uscendo da un colloquio con Mons. de
Mazenod disse quella famosa frase: “Ho visto Paolo”, si riferiva certamente
alla dilatazione d’anima che caratterizzava il vescovo di Marsiglia. Come
l’Apostolo delle Genti anche Eugenio de Mazenod sentiva su di sé la
sollecitudine per tutte le Chiese e sentiva l’urgenza che Cristo e Cristo
Crocifisso fosse annunciato fino agli estremi confini della terra.
Eugenio de Mazenod però non somiglia Paolo solo nel suo
ardore missionario. Il segreto del suo essere “un inconditionnel de l’Église”, va trovato nel suo essere “un passionné de Jésus Christ”, come lo
ha definito Paolo VI il giorno della Beatificazione. La passione per la Chiesa
nasce dalla passione per Cristo. Anche in questo somiglia Paolo. Tutti e due
avevano l’anima dilatata sull’umanità, “un cuore grande quanto il mondo”, perché
avevano acquistato l’anima stessa di Cristo.
Oggi il nostro gruppo di ritiro è sceso in pellegrinaggio a
Roma, sulla tomba di Paolo, nella basilica di san Paolo fuori le mura, e sul
luogo del martirio, alle Tre Fontane. È stato bello poter entrare un po’
nell’anima di Paolo e in quella di Eugenio, domandare loro la propria
esperienza dell’incontro con Cristo, sorprenderli nel momento in cui Cristo li
chiama, per poter capire qualcosa del loro rapporto col Salvatore.
Eugenio gli fa eco: “Dio mi strappò con la più dolce delle
violenze” e “con un colpo da maestro”, “quando, scrive Eugenio, meno pensavo a
lui”.
“Mentre noi eravamo ancora peccatori – racconta Paolo –,
Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito. (…) Ma Dio dimostra il suo amore
verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rom 5, 5-8). Per tutta la vita Paolo
griderà che ha perseguitato la Chiesa perché venga maggiormente in risalto la
gratuità e l’immensità dell’amore di Dio.
Anche Eugenio grida il suo peccato: “Chi sono io, peccatore
miserabile, per volere amare la purezza e la stessa santità! Ah, lo so, con le
mie iniquità passate ho fatto una scelta ben diversa”. Cerca di calcare la mano
il più possibile, di trovare le parole più infamanti sul suo conto, così da
esaltare ancora di più l’amore di Dio che l’ha reso un uomo nuovo: “Vorrei che
il ricordo delle mie ribellioni a Dio scomparisse. No, vorrei invece non
dimenticarle mai per tutta la vita perché niente, più del pensiero della mia
debolezza e della sua clemenza, può farmi aderire al mio Re”. “Non mi resta che
gridare la misericordia del mio Dio. Sì, per tutti i giorni della mia vita e in
ogni attimo griderò la misericordia di Dio”. “È dunque in questo modo che il
mio buon Dio si vendica di tutte le mie ingratitudini, facendo per me tanto
che, Dio qual è, non può fare di più”.
“Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù
Signore nostro, - afferma Paolo – perché mi ha giudicato degno di fiducia
chiamandomi al ministero: io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un
persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza
saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato
insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù” (1Tim 1, 15).
Eugenio, ugualmente: “Sono sacerdote! Bisogna esserlo per
sapere cosa sia. Il solo pensiero mi spinge a moti di amore e di riconoscenza.
E se penso a che peccatore sono, l’amore aumenta”. Si proclama, come Paolo, il
più bisognoso di redenzione: “Se qualcuno avesse bisogno di redenzione più di
me, povero peccatore, creatura ingrata e tanto spesso ribelle, gli permetterei
di credersi più riconoscente di me verso il Salvatore Gesù che lo redento. Ma,
visto le grazie che mi sono state fatte e che ho profanato, e ho visto che
malgrado tutte queste grazie ho peccato, mi riconosco come l’uomo a cui la
redenzione è più necessaria”. Di conseguenza si sente la persona più amata da
Dio.
Conosciuto Cristo, Paolo ha una sola brama, quella che anche
gli altri possano conoscere e sperimentare l’amore di Cristo (cf. Ef 3, 14–19).
Come Paolo anche Eugenio vorrebbe solo poter rendere tutti
gli uomini partecipi della propria esperienza: “Che lo Spirito Santo – scrive
qualche giorno prima dell’ordinazione sacerdotale – riposi sopra di me in tutta
la sua pienezza, riempiendomi completamente dell’amore di Gesù Cristo. Che io
mi consumi nel suo amore servendolo e facendo conoscere quanto egli è amabile e
quanto gli uomini sono insensati a cercare altrove il riposo del loro cuore,
riposo che potranno trovare soltanto in lui”.
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