Ieri ho parlato prima ai
novizi e alle novizie dei Castelli Romani, poi a laici e laiche di Sant’Eustachio.
Pubblico diverso? Sì e no. Più no che sì, perché tutti semplicemente cristiani.
Viviamo tutti la medesima
vita cristiana con alcuni pilasti fondamentali attorno ai quali nasce e cresce
la comunità.
Il primo mi sembra l’incontro
domenicale. Almeno per i primi cristiani era il fulcro della loro vita, il
momento in cui tutta la comunità si ritrovava con gioia per pregare, celebrare
l’eucaristia, organizzare l’aiuto ai poveri. Era il momento in cui si rinsaldavano
i legami d’unità e cresceva la coscienza di formare un solo popolo in Cristo.
Quanto fosse indispensabile che i fedeli fossero uniti fra di loro nel celebrare
la liturgia eucaristica nel giorno del Signore, lo ricorda con vigore un testo
della Didascalia: «Poiché avete
Cristo come capo, secondo la sua promessa, presente e in comunione con voi, non
trascurate voi stessi e non separate il Salvatore dalle sue membra; non
dilaniate e non dissolvete il suo corpo». Di qui il senso di festa che acquistava
la domenica: «Nel primo giorno dopo il sabato siate sempre lieti; infatti colui
che si rattrista di domenica è colpevole di ogni peccato».
La domenica non rimaneva
un giorno isolato. Ciò che in essa si celebrava e si viveva veniva poi disteso
lungo tutta la settimana. «Colui che è perfetto - leggiamo in un altro dei
primi scrittori cristiani, Origene -, vive sempre nelle parole, nelle azioni e
nei pensieri del Verbo di Dio che per natura è Signore; vive sempre nei suoi
giorni; celebra sempre il giorno della domenica». Per questo la gioia, che
appariva già un tratto caratteristico della prima comunità cristiana (cf Atti
2), è testimoniata ancora nel secondo secolo da Clemente Alessandrino, quando
scriveva che «tutta la vita del cristiano è un lungo giorno di festa».
Ha ragione la mia mamma
quando dice: «Perché dite che la domenica è il giorno del Signore? Ogni giorno
è il giorno del Signore».
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