legame tra santità e missione. Ha vissuto in modo da raggiungere la santità.
.png)
Già nella Supplique adressée aux vicaires généraux
capitulaires d’Aix, il primo documento programmatico della nuova comunità
(25 gennaio 1816) Eugenio aveva scritto: “Il fine di questa società non è
soltanto quello d lavorare alla salvezza del prossimo, dedicandosi al ministero
della predicazione» I suoi membri «lavoreranno all’opera della propria
santificazione conformemente alla loro vocazione».
La Prefazione della Regola successiva conferma: «lavorare più
efficacemente alla salvezza delle anime e alla propria santificazione», «per la
propria santificazione e per la salvezza delle anime».
.png)
Il suo non è rimasto un
sogno. È divenuto una realtà: «Preti santi, ecco la nostra ricchezza!», diceva
guardando la sua famiglia religiosa.
Queste parole dicono che la
santità, nella congregazione degli Oblati, non è solo un ideale. Essa è stata
vissuta da tanti dei suoi membri. La Chiesa ne ha riconosciuti ufficialmente 25
e un’altra schiera sta per essere proclamata santa. Per sant’Eugenio era
normale ritenere che nella sua famiglia «tutti i membri lavorano a diventare
santi nell’esercizio dello stesso ministero e nella pratica esatta delle stesse
Regole». La morte santa degli Oblati era per lui la certezza che il suo ideale
di vita poteva essere realmente vissuto: «La porta del cielo - scriveva in
occasione della morte di p. Victor Arnoux, nel 1828 – è al termine del sentiero
sul quale siamo incamminato».
Altre volte, guardando ai
suoi Oblati, scrive: «In mancanza di virtù mie, mi vanterò di quelle dei miei
fratelli e dei miei figli, e sono fiero delle loro opere e della loro santità».
L’esempio della santità di
Eugenio e di tanti Oblati continui a tenere desto in noi il desiderio e
l’impegno verso la santità. «Noblesse
oblige - scriveva un altro superiore generale, mons. Dontenwill in
occasione del primo centenario della Congregazione -. Figli e fratelli di
santi, dobbiamo lavorare a essere santi noi stessi». Vale ancora di più oggi
che stiamo per celebrare il secondo centenario.
"La nostra debolezza quindi è molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine"... (è la Lumen Gentium che lo dice e mi pare una grandissima scoperta)
Dulcinea del Taboso