Festa di Tutti i Santi. Sant'Eugenio de Mazenod, ha
nutrito un desiderio sempre crescente di santità. L’ha desiderata per sé e per
tutti coloro ai quali era rivolto il suo ministero: voleva condurre le persone
ad essere prima ragionevoli, poi cristiani e infine aiutarli a diventare santi.
L’ha desiderata per gli Oblati, che supplicava: «In nome di Dio, siamo santi».
Ha creato la comunità oblata come un luogo di santificazione, ha abbracciato la
vita religiosa come mezzo efficace di santificazione, ha scelto la missione
come ministero nel quale santificarsi e santificare. Ha compreso e
costantemente sottolineato l’intrinseco
legame tra santità e missione. Ha vissuto in modo da raggiungere la santità.
legame tra santità e missione. Ha vissuto in modo da raggiungere la santità.
Per lui infatti la santità è
un divenire dinamico, un cammino costante che dura tutta la vita. Gli Oblati,
leggiamo nella Prefazione, «devono
lavorare seriamente a diventare santi, […] vivere […] in una volontà costante
di giungere alla perfezione». «Niente limiti alla nostra santità personale»,
esclamava uni dei nostri superiori generali, p. Léo Deschâtelets leggendo
questo testo.
Già nella Supplique adressée aux vicaires généraux
capitulaires d’Aix, il primo documento programmatico della nuova comunità
(25 gennaio 1816) Eugenio aveva scritto: “Il fine di questa società non è
soltanto quello d lavorare alla salvezza del prossimo, dedicandosi al ministero
della predicazione» I suoi membri «lavoreranno all’opera della propria
santificazione conformemente alla loro vocazione».
La Prefazione della Regola successiva conferma: «lavorare più
efficacemente alla salvezza delle anime e alla propria santificazione», «per la
propria santificazione e per la salvezza delle anime».
Alla fine della vita, quasi a
sintetizzare il proprio ideale di vita, scrive ai missionari del Canada: «prego
ogni giorno perché la grazia di Dio vi mantenga tutti nella più alta santità. Non
capirei altrimenti la vita di sublime dedizione dei nostri missionari».
Il suo non è rimasto un
sogno. È divenuto una realtà: «Preti santi, ecco la nostra ricchezza!», diceva
guardando la sua famiglia religiosa.
Queste parole dicono che la
santità, nella congregazione degli Oblati, non è solo un ideale. Essa è stata
vissuta da tanti dei suoi membri. La Chiesa ne ha riconosciuti ufficialmente 25
e un’altra schiera sta per essere proclamata santa. Per sant’Eugenio era
normale ritenere che nella sua famiglia «tutti i membri lavorano a diventare
santi nell’esercizio dello stesso ministero e nella pratica esatta delle stesse
Regole». La morte santa degli Oblati era per lui la certezza che il suo ideale
di vita poteva essere realmente vissuto: «La porta del cielo - scriveva in
occasione della morte di p. Victor Arnoux, nel 1828 – è al termine del sentiero
sul quale siamo incamminato».
Altre volte, guardando ai
suoi Oblati, scrive: «In mancanza di virtù mie, mi vanterò di quelle dei miei
fratelli e dei miei figli, e sono fiero delle loro opere e della loro santità».
L’esempio della santità di
Eugenio e di tanti Oblati continui a tenere desto in noi il desiderio e
l’impegno verso la santità. «Noblesse
oblige - scriveva un altro superiore generale, mons. Dontenwill in
occasione del primo centenario della Congregazione -. Figli e fratelli di
santi, dobbiamo lavorare a essere santi noi stessi». Vale ancora di più oggi
che stiamo per celebrare il secondo centenario.
"La nostra debolezza quindi è molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine"... (è la Lumen Gentium che lo dice e mi pare una grandissima scoperta)
Dulcinea del Taboso