Leggendo la deliziosa pagina mensile che Paola Mastrocola
scrive sul Domenicale, ho scoperto che anche a lei la parola “parete” della
celeberrima poesia di Jacopo da Lentini richiama il sostantivo piuttosto che il
verbo.
In quella poesia la parola “parete”, significa sembrate,
siete. Mastrocola confessa candidamente che a lei viene invece da pensare alla “parete”
nel senso di muro. Lo stesso per me.
Il poeta si sente avvinto (ma da poeta par suo utilizza il
verbo “distringere”) dall’amore per la sua donna e come un pittore ne dipinge
il ritratto nel proprio cuore così da poterla vedere sempre, anche quando è
lontana.
Meravigliosamente
un amor mi distringe
e mi tene ad ogn’ora.
…
In cor par ch’eo vi porti,
pinta come parete,
e non pare di fore.
Eccola l’amata, dipinta sulla “parete” della propria stanza
interiore, una stanza segreta, nella quale l’immagine affrescata rimane nascosta
all’esterno: è l’intimo segreto del poeta.
Riprendendo in mano il mio tema su “La stanza segreta”, per
uno dei prossimi giovedì a sant’Eustachio, trovo questa immagine particolarmente
calzante. Nell’interiorità, lentamente, si accende una luce e si può riscoprirvi
un’immagine affrescata, l’immagine di Dio. A differenza di Japoco Lentini con il
ritratto dell’amata, non siamo stati noi a dipingere questa immagine. Vi è
stata impressa fin dall’inizio. Non siamo stati creati a sua immagine e
somiglianza? C’è. Non sempre la scorgiamo perché forse manca la luce
sofficiente o perché siamo distratti, attratti da tante altre immagini esteriori,
senza il tempo per guardare dentro con calma.
Eugenio de Mazenod fa invece come Lentini, come un «pittore
che copia il modello». Cosa fa un pittore? «Mette il modello nella sua luce migliore,
lo guarda attentamente, lo fissa, cerca di imprimere l’immagine nel suo spirito,
traccia poi sul foglio o sulla tela qualche linea che confronta con l’originale,
le corregge se non sono esattamente conformi, altrimenti continua». Eugenio fa
lo stesso con Cristo l’«amabile modello al quale debbo e voglio con la sua
grazia conformarmi». Inizia così a guardarlo e ritrarlo sulla parete della sua
stanza segreta nelle diverse prospettive: «come mio Redentore, mio Capo, mio
Re, mio Maestro e mio Giudice». Non lo sa, ma muovendosi in questo modo, non fa
altro che portare alla luce l’immagine che già è in lui. C’è.
Non un’immagine affrescata, un foto bella ma immobile e
fissa, senza vita.
C’è. Ed è una presenza viva.
Siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio.
Gesù è l’immagine del Dio invisibile (cf. Col 1, 15).
In lui ritroviamo la nostra immagine, l’identità più
profonda: Dio, la roccia da cui siamo stati intagliati.
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