Questa
foto è stata scattata nel 1960 da un artista, un certo René Perrin. Dietro c’è
la regia di un vecchio Oblato, p. Jean Servel, che ebbe la felice idea di porre
il crocifisso, che appartenne a sant’Eugenio de Mazenod, sopra la carta sulla
quale il fondatore degli Oblati nel 1818 scrisse la formula della sua
“oblazione”, ossia della sua consacrazione a Dio.
Una
foto eloquente più di ogni discorso, che dice come l’offerta di sé a Dio ha
senso se ripete l’offerta sulla croce che Gesù fa di sé al Padre. Un’offerta
per il mondo intero.
Nel
1893, il secondo successore di sant’Eugenio, Luigi Soullier, interpretava così
l’essere Oblato:
Come il divin Missionario che ha
voluto essere “Oblato” – “Oblatus est quia ipse voluit”, ossia “si è donato
spontaneamente”, come dice il profeta Isaia del Servo di YHWH – noi portiamo
con gioia il nome di missionari Oblati. Esso significa che essi, i missionari, “vorrebbero
sacrificarsi, se è necessario, per la salvezza delle anime… Potranno così
gettarsi nella lotta e combattere fino alla morte” (Prefazione alle Regole). Gesù Cristo ha voluto regnare attraverso
la croce, ha voluto che nella croce fosse la sua potenza: “Non rendiamo vana la
croce di Cristo”.
Quando Dio crea un apostolo, gli
mette in mano una croce e gli dice di andare a mostrare e ad annunciare questa
croce. Ma prima la pianta nel suo cuore e, a secondo di quanto è penetrata nel
cuore dell’apostolo, quella croce che tiene in mano opera conquiste più o meno
numerose.
Oblati di Maria, che portate la
croce sul petto come segno di autenticità della vostra missione, guardatela
come simbolo dei sacrifici legati al vostro ministero per compierlo degnamente
e fedelmente.