Conoscevo l’UNITALSI,
ma la OFTAL?
Dietro queste sigle ci sono persone, persone vive. E quelle che ho visto a Verbania sono davvero vive. Sono andato al loro raduno annuale su mandato di Alberto Gnemmi, uno che ha a che fare con questa associazione e che ci sa fare. E io? È stata l’occasione non soltanto per uno sguardo velocissimo al lago che, pur sotto un cielo piovigginoso, sfodera tutta la sua magia, ma anche e soprattutto per scoprire questa realtà di servizio. Forse più che un servizio quello dell’OFTAL, è l’offerta di relazioni con il mondo della disabilità, e anche di relazioni tra gli stessi membri: si conoscono tutti, da tanto tempo, fino a diventare amici, fino a diventare capaci di coinvolgere i giovani. Come scrivevo ieri non è comune vedere un’associazione con una continuità generazionale.
Di cosa parlare loro?
Della bellezza! Proprio perché il servizio di queste persone le pone in
contatto con situazioni che non appaiono proprio belle. Eppure dovremmo tutti riconoscere
che siamo fatti per la bellezza.
Al termine della
creazione Dio sclamò: “Che bello!” Tutto porta l’impronta della sua bellezza. “Tu
sei bellezza”, canta Francesco d’Assisi nelle sue Lodi di Dio Altissimo,
ripetendolo per ben due volte, e non deve essere stato uno sbaglio. Guardando
allora le persone attorno a noi dovremmo saper cogliere la mano dell’Artista:
Dio fa solo capolavori.
Certo che il peccato,
la cattiveria, la guerra, l’odio, la violenza, la malattia, la sofferenza sfigurano
le persone, che rischiamo di perdere la somiglianza con Dio bellezza, e
diventano brutte. Gesù è venuto sulla terra, mandato dal Padre che ama tanto il
mondo, per restaurare l’immagine sciupata e ridare ad ogni persona la bellezza
originaria. Per far questo ha dovuto prendere su di sé ogni bruttezza: «Non ha
apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare
in lui diletto» (Isaia, 53, 2). Non è questo il ritratto di Gesù al culmine
della sua Passione? «Assumendo un corpo – spiegava Agostino –, egli prese sopra
di sé la tua bruttezza, cioè la tua mortalità, per adattare se stesso a te, per
rendersi simile a te e spingerti ad amare la bellezza interiore».
Alla donna che,
secondo la tradizione popolare, asciugò il volto a Gesù sulla via del Calvario,
viene dato il nome di “Veronica”. Il suo nome si confonde con la “vera icona”
che Gesù lasciò impressa nel suo panno. Dove si trova oggi quella tela? In uno
dei quattro pilastri che sostengono la cupola di san Pietro a Roma, a Monopello
in Abruzzo, nelle città di Jaén e Alicante in Spagna? La “vera icona” di Gesù,
il suo vero volto, è sul volto degli uomini e delle donne nostri fratelli e
sorelle.
Nell’opera redentrice
l’immagine che il Creatore ha impresso sull’uomo e sulla donna, deturpata dal
peccato, viene restituita in tutta la sua bellezza, a somiglianza del più bello
tra i figli dell’uomo. La bellezza che splende sull’Uomo, il Signore nostro
Gesù Cristo, rimbalza dentro colui che la contempla e lo investe e lo
trasforma. Paolo l’ha espresso con una frase densissima, nella quale mostra
come il raggio della bellezza di Dio prima risplende nella creazione, poi si
riflette sul volto di Cristo e infine penetra dentro di noi: «E Dio che disse:
“Rifulga la luce dalle tenebre”, rifulse nei nostri cuori per far risplendere
la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo» (2 Cor 4,
6). Siamo belli della bellezza di Cristo e grazie alla sua bellezza: «E noi
tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore,
veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo
l'azione dello Spirito del Signore» (2 Cor 3, 18). Come Gesù si è trasfigurato
passando attraverso la morte, così «trasfigurerà il nostro misero corpo per
conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3, 21).
Gesù si è fatto
brutto per tutto abbellire, ha assunto la disarmonia, il contrasto, il
conflitto, il peccato e li ha trasfigurati. Così ha restaurato in noi l’immagine
di Dio.
«In che modo saremo
belli? – si domanda sant’Agostino –. Amando lui, che è sempre bello. Quanto
cresce in te l’amore, tanto cresce la bellezza; la carità è appunto la bellezza
dell'anima». Se amo, ciò che è brutto posso trasformarlo in bello, continuando
l’opera della redenzione, facendomi come Cristo che prende su di sé le
bruttezze del mondo e le trasforma in bellezze. Anche il senso comune ha capito
la forza trasfigurante dell’amore. Non è questo il messaggio di certe fiabe
come “La bella e la bestia”, o quella della fanciulla che bacia un rospo
trasformandolo in principe?
Un’amica dal Canada mi ha scritto in proposito: «Quando andai a Lourdes con il pellegrinaggio di “Fede e Luce” (negli anni '90), vidi gruppi di portatori di handicap da tutto il mondo! Eravamo tutti in armonia grazie alle attenzioni e all’aiuto che veniva dato ai portatori di handicap. Non importava la lingua o la cultura, eravamo lì per aiutarci a vicenda. C’era un vero senso di gioia tra tutti ed era quasi travolgente! La nostra comunità del Canada occidentale acquistò una sedia a rotelle per una madre dal Messico che doveva portare ovunque in braccio suo figlio. Fu così riconoscente che scoppiò in lacrime! Questa esperienza mi resta sempre nella mente.
Ogni volta che lavoro
con persone con disabilità sono colpita dal fatto che, anche se non possono
parlare o comunicare in modo efficace, possiamo entrare in comunione con
l’anima. È intuitivo e semplice, davvero il dono della presenza è dono dell’amore
di Dio. Quando devo passare la notte da loro, mi comunicano un grande senso di
pace. Sono come dei neonati, che dipendono totalmente dai genitori: dipendono
da me! Penso che sia questo il modo in cui Dio desidera che viviamo, dipendenti
da lui. Che benedizione è tutto questo per me negli oltre quarant’anni che vivo
con loro. Ricevo molto, molto più di quello che do! Quando mi sento giù di
morale a causa di disturbi fisici, emotivi, mentali o spirituali, penso ai miei
amici con disabilità e mi rendo conto di non avere nulla di cui lamentarmi.
Sento spesso che siamo interdipendenti e che non potrei vivere pienamente senza
di loro, proprio come loro non potrebbero senza di me. È un grande mistero,
vero?».
Se la più preziosa
icona di Gesù è il Crocifisso, la più preziosa icona umana è la persona che
soffre, nel corpo e nell’anima. La bellezza dell’essere cristiani sta nel saper
riconoscere, assumere e amare la “bruttezza” con tutto ciò che questo significa
– povertà, emarginazione, ignoranza, malattia, disabilità… – per ridare dignità
e bellezza, per trasformare il brutto in bello.
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