Su Padre Gigi Sion lascio raccontare prima a Lucia Borzaga, poi a suo fratello Mario Borzaga.
Lucia:
Giovedì sera padre Gigi ci ha salutato, dopo una vita di
missione e di Fede incarnata nella vita quotidiana. Se n’è andato in punta di piedi,
all’improvviso, senza disturbare nessuno.
Nei suoi 54 anni di missione ha attraversato il mondo:
prima il Laos, poi l’Uruguay e infine il Kenia. Un vero Missionario con la M maiuscola.
Con un carattere forte, indipendente, libero e soprattutto pieno d’ironia che l’aiutava
a stemperare ogni suo gesto e ogni situazione. Un artista che era noto per i suoi
disegni e le sue caricature con cui prendeva in giro confratelli e superiori, senza
fare distinzioni. Un costruttore di chiese e di scuole conquistando sul campo il
ruolo di ingegnere e architetto.
Il 31 ottobre 1957 parte dal porto di Napoli per il Laos
con padre Mario e altri quattro compagni. Con lui vive tanti momenti di vita dura
nella foresta, momenti estremi, faticosi, pieni di sudore, di domande e di Fede.
Si sostengono a vicenda, condividendo anche la passione per il fumo. Padre Mario
fuma sigarette e lui fuma la pipa. Quando nel 1960 padre Mario era “sparito” lo
aveva cercato tanto e più di una volta ricordava il dolore che aveva provato nell’incontrare
i suoi genitori a Trento. Parlando del suo confratello Beato, faceva rivivere il
suo amico raccontandolo senza timidezze e senza celebrazioni ampollose. Ora sono
di nuovo insieme, nella pienezza della Vita che non finisce mai. Mario e Gigi, grandi
missionari che sorridono nella Pace dei Giusti. Di loro ci restano tanti ricordi,
foto, frasi, sorrisi, parole e tanta fede.
Negli scritti di p. Mario, p. Gigi
appare moltissime volte. Trascrivo alcune brevi frasi degli inizi della
missione nel 1959.
Padre Sion si buttò su d’una sedia, stanco. Con aria giocondamente sconsolata bofonchiò:
“Se questi
Meo non la smettono di convertirsi, andrà a finire che io diventerò pazzo”. Diceva così per dire, per sottolineare
con una frase che avesse un po’ di sapore, tragico ad esempio, che egli aveva molto lavoro.
Quando ci si mette la Grazia, evidentemente c’è del lavoro, soprattutto se si vuole marciare
col suo ritmo. A Na Vang, il villaggio sulla catena di montagne dalle carovane di
nubi, un due trecento Meo, or soli, or a gruppi, in questi mesi hanno voluto entrare
cheti cheti nell’ovile della
Chiesa del Cristo. Padre Sion è il loro pastore.
All’arrivo a Luang Prabang lo stile diverso di Staccioli e Sion:
Andammo ad attenderli all’aeroporto. Padre Staccioli apparve alla scaletta del Dakota timido
e sorridente in mezzo alla variopinta folla dei funzionari e dei bonzi, Padre Sion
dal canto suo ci salutava col gesto classico della mano di moda presso i grandi
internazionali, sfoggiando quella cert’aria libera e indipendente comune a tutti i triestini dell’universo.
Il costruttore:
Così accadde che a Nam Tha Padre Staccioli e Padre Sion lasciarono
per qualche giorno i lavori dell’apostolato per dedicarsi a rifare il tetto della loro casa. Il
tradizionale tetto di paglia, caro nelle Missioni tropicali, fu gettato alle fiamme
per dar posto alle moderne lamiere sulle quali la pioggia picchia sonora ch’è un piacere, mentre in casa ci si gode
un focherello e due palmi d’asciutto. Nonostante il tetto nuovo, Padre Sion il pessimista
allegro, scriveva nel suo diario: “Abbiamo rifatto il tetto. Attendiamo le prossime piogge per vedere
da che parte cade l’acqua e
dove sistemare la roba”.
Il missionario:
Quando Padre Sion, dopo due giorni di marcia giunse a Na Vang,
era il primo sabato del mese di maggio e tutta la gente se ne stava in ozio seduta
sui tronchi o all’ombra dei
tetti di paglia. “Che fate?
Oggi non lavorate?” chiese
Padre Sion. “Come? Non
sa? Oggi è sabato e di sabato non si lavora, lo ha detto il Pastore”. Padre Sion si senti venir meno: due giorni
di cammino per capitare in un villaggio protestante. Poi raccolse le idee e con
quel suo cipiglio mezzo burbero e mezzo bonario propose: “Beh, sentite, il giorno del Signore non
è il sabato, ma la domenica, d’ora innanzi riposerete la domenica”. Il capovillaggio subito riunì gli anziani
a consiglio. Cosa pensare della religione del Padre? Sciòng, il catechista meo di
Padre Sion, piombò a razzo nelle discussioni, parlò con calore della religione cattolica,
dimostrò l’errore
della dottrina protestante. Dopo una notte intera di discussioni, il capo villaggio
fece sapere a Padre Sion che se il Missionario si fosse stabilito al villaggio,
a differenza del Pastore che si accontentava di qualche rara visita, essi si sarebbe
convertiti. E Padre Sion rimase.
Per i primi giorni Padre Sion fu sistemato nella casa del capo
villaggio. “Dormivo
la notte su una peIle di tigre, si dirà, la tigre era morta, ma le pulci della fu
signora tigre, erano fin troppo vive”. Dopo qualche giorno i meo gli costruirono una capanna di bambù,
contemporaneamente diciassette famiglie accettarono di incominciare il catecumenato
in preparazione al battesimo.
Coll’andare
delle settimane altre famiglie vicine e lontane vollero farsi cattoliche e Padre
Sion a girare dovunque sulle montagne col suo fedele catechista per compiere gli
esorcismi di rito e la benedizione della casa. Infatti una famiglia pagana non può
essere ammessa al catecumenato se prima non “caccia gli spiriti”, come diciamo noi. Il Padre in cotta e stola legge le formule
del rituale, il catechista traduce e ne spiega il senso.
Ma quanta fatica è costata questa Missione all’infaticabile Padre Sion? Tra di noi si va
dicendo che solo lui poteva fondare una Missione in simili condizioni durante la
stagione delle piogge sulle montagne. I cinquanta chilometri da Nam Tha non sono
che fango nel quale si affonda spesso fino al ginocchio, fiumi da attraversare a
guado, nei quali la corrente forte rischia ad ogni momento di trascinare via i cavalli
coi loro basti pieni di medicine e di libri. Le sanguisughe sono dovunque nella
fanghiglia e tra le erbe bagnate, impossibile impedire loro d’assalire il passante e d’attaccarsi alle caviglie. “Beati i piedi che annunciano la pace...”. Ma quando si arriva a Na Vang sui piedi
beati si trovano fino a venti trenta sanguisughe in rivoli di sangue, beato anche
lui.
Il Signore ha benedetto largamente le fatiche apostoliche di
Padre Sion. La domenica mattina alla Messa si possono avere fino a duecento persone
stipate fitte in quella povera capanna che durante la giornata deve servire da scuola,
stanza da letto e refettorio del Padre e dei catechisti, infermeria, sala gioco
e di ritrovo per tutti. Padre Sion ha saputo ottimamente formarsi il suo ambiente.
Pure incerto della lingua meo, s’aggira sorridente tra le sue variopinte schiere di meo bianchi
e meo “raye”, tra gli uomini che fumando le grandi pipe
ad acqua si scambiano quattro chiacchiere, le donne che col ricamo in mano se ne
scambiano cento, mentre la gioventù legge o canta e i ragazzi s’incaricano del baccano e del pubblico disordine.
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