«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano…»
Si potrebbe parafrasare così un antico proverbio: «Dimmi come preghi e ti dirò chi sei». La preghiera del fariseo mostra una persona buona, che osserva la legge alla perfezione, anzi più di quanto essa prescriva: è richiesto un digiuno la settimana e lui ne fa due. Bravo! Anche lui è cosciente di essere bravo, al punto che non ha bisogno di chiedere niente a Dio. Non ha bisogno di Dio per andare in paradiso, ci va da sé, con le sue gambe. È Dio piuttosto a essere in debito verso di lui: il paradiso gli è dovuto perché è buono. Sfasato il rapporto con Dio, si sfasa anche quello con gli altri e nasce il confronto, la critica, il giudizio, la condanna.
È una caricatura quella che Gesù ha disegnato con la parabola? Non esistono mica persone così. O forse Gesù vuole smascherare certi atteggiamenti che covano anche nel nostro cuore. Sono proprio sicuro che anche in noi non faccia capolino un po' di autocompiacimento, un senso di superiorità nei confronti di qualcuno?
Vorrei tanto identificarmi con il pubblicano.
È sincero il fariseo quando dice di essere ligio alla legge ed è altrettanto sincero
l’odiato esattore delle tasse quando dice che ha infranto la legge. Ha frodato?
Ha praticato l’usura? Ha tradito il suo popolo vendendosi al nemico? Comunque
sia, si riconosce per quello che è: un peccatore. È quello che sono anch’io. Ma
mi riconosco davvero sempre come tale, con la sua stessa sincerità? E quando lo
riconosco mi abbandono nelle mani di Dio con la sua stessa fiducia?
Spero tutto e solo da Dio? Se sono un
peccatore ho bisogno di Dio, come il pubblicano. Da me non mi posso salvare. Gesù
è venuto per i peccatori, non per i giusti. È venuto per il pubblicano, è venuto
per me. Abbassa chi si è innalzato e innalza chi si è abbassato, come aveva predetto
sua Madre: «Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore... ha innalzato
gli umili» (Lc 1, 51-52).
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