La storia dei martiri Oblati della Spagna, pubblicata in spagnolo nella collana “Oblatio Studia”, è ora tradotta in italiano. Ecco la mia presentazione:
Il più anziano era il superiore dello scolasticato, Vicente Blanco, 54 anni; segue fratel Angel Francisco
Bocos, 53 anni; poi il superiore provinciale, Francisco Esteban, 48 anni, e il formatore José Vega, 32 anni. Gli altri 18 Oblati
sono ventenni e diciottenni! Come hanno fatto ad affrontare il martirio, tutti,
senza una defezione? Non sono stati piegati né dalla paura né dalle torture psicologiche e fisiche subite
durante una prigionia crudele.
Il martirio dei giovani Oblati
dello scolasticato di Pozuelo, si colloca nel periodo della grande persecuzione religiosa in
Spagna, nel triennio 1936-1939, che vide massacrare migliaia di cristiani. Le
motivazioni della guerra civile spagnola – anche se gli inizi della
persecuzione sono anteriori – è estremamente complessa, come bene evidenzia
l’ampio studio di David Lopez che abbiamo tra mano, ma noi guardano
concretamente a questi 22 giovani martiri. Quale pericolo potevano costituire
per la società i nostri Oblati ventenni? Di quali crimini era accurati?
Semplicemente di essere cristiani. Maltrattati,
umiliati senza che aprissero la bocca, sono stati condotti al macello come
agnelli innocenti (cf. Is. 53, 7).
Qualunque siano le ragioni della storia, il
martirio è una costante dell’esistenza della Chiesa nel mondo, a cominciare da
quello di Gesù, seguito da Stefano, da Giacomo e da una schiera infinita di
uomini e donne. La motivazione profonda sta nell’odio del mondo per la Verità e
nell’imitazione radicale di Cristo Gesù: “Hanno perseguitato me,
perseguiteranno anche voi” (cf. Gv 15, 18-20). Si avverano così le sue parole: “Vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni
sorta di male contro di voi per causa mia”. Parole queste a cui è legata una
beatitudine! (cf. Mt 5, 11-12). I nostri martiri Oblati sono autentici
beati! A loro è stata data la grazia
non soltanto di credere in Cristo Gesù, ma anche di soffrire per lui (cf. Fil 1, 29). In loro la Chiesa dà compimento ai patimenti i Cristo e li
rende presenti in ogni tempo e in ogni luogo (cf. Col 1, 24). È Cristo che
nei suoi santi e nei suoi martiri continua l’opera di salvezza.
Era ormai tempo che si rendesse
ragione del martirio dei 22 giovani Oblati, ai quali è strettamente legato il
martirio del laico Candido Castán, esemplare padre di famiglia, pienamente inserito nel mondo del lavoro
e dell’impegno sociale. Il processo di beatificazione ha consentito di
accogliere documenti e testimonianze. Successivamente sono apparsi vari
opuscoli divulgativi. Un passo notevole per una maggiore conoscenza è avvenuto con
il Convegno “Oblazione e martirio”, tenutosi a Pozuelo, Madrid, nei giorni 4-5
maggio 2019, i cui atti sono stati pubblicati nella Collezione “Oblatio
Studia”, n. 9. Mancava tuttavia uno
studio sistematico su questa pagina drammatica e gloriosa della storia della
Chiesa e della Famiglia oblata. Siamo grati a p. David Lopez per aver intrapreso tale
lavoro. Ciò gli ha consentito di individuato nuove fondamentali fonti inedite
per ricostruire non soltanto l’intera vicenda, ma anche per farne conoscere, ad
uno ad uno, i vari protagonisti, dando loro un volto concreto. Non sono
soltanto i “22 martiri Oblati di Spagna”: ognuno ha una sua storia, a volte
semplice ed essenziale, a volte molto più ricca, in base anche agli anni, comunque
sempre personalissima e irrepetibile: possiamo conoscerli e chiamarli per nome.
L’attenta ricostruzione storica non resta confinata
in un passato ormai lontano. Mai narrazione appare così attuale e ispiratrice.
Tra le molteplici indicazioni che il racconto dei martiri Oblati di Spagna suggerisce
ne colgo tre in particolare.
La prima è il valore di tale testimonianza per la comprensione
di una dimensione fondamentale della vita oblata, insita nel suo stesso nome:
l’“oblazione”. È questo l’atto con cui l’Oblato si dona tutto e
per sempre a Dio, in risposta alla sua chiamata; esso dà senso e sapore
all’intera sua vita in tutte le sue espressioni. Gli Oblati di Maria Immacolata
vi trovano la loro identità di consacrati e di missionari. «Il loro zelo
apostolico – leggiamo nella Regola – è sostenuto dall’oblazione di sé senza
riserve, costantemente rinnovata nelle esigenze della loro missione» (C 2).
Vissuta come espressione del battesimo e del carisma, l’oblazione è comune ad
ogni altro membro della Famiglia oblata che è chiamato a viverla in conformità
alla propria specifica vocazione. Il martirio mostra la radicalità dell’oblazione,
fino al dono estremo della vita, come ha fatto Gesù. Gregorio Escobar, 24 anni, da poco
ordinato sacerdote, scriveva alla famiglia: «Sempre mi hanno commosso, fino
nel più profondo dell’animo, i racconti dei martiri che sono sempre esistiti
nella Chiesa, e mentre li leggo sento un segreto desiderio di andare incontro
alla stessa sorte. Sarebbe questo il miglior sacerdozio a cui potrebbero
aspirare tutti i cristiani: offrire a Dio il proprio corpo e sangue in
olocausto per la fede. Che fortuna sarebbe morire per Cristo!».
La seconda indicazione
offerta dalla storia dei nostri martiri è quella della fraternità, un altro aspetto
caratterizzante la vocazione oblata. L’oblazione è sempre un atto comunitario. Non si segue
Cristo da soli, come non l’hanno seguito da soli i primi discepoli del Vangelo.
Sant’Eugenio si era proposto di costituire un gruppo di missionari «uniti coi
vincoli della carità più tenera», che perseguissero una «santificazione
comune», legati con «i dolci vincoli di una perfetta carità». Le condizioni per
iniziare la comunità erano esigenti: unanimità perfetta di sentimenti, la
stessa buona volontà, il medesimo disinteresse. Tutto, anche l’impegno di
evangelizzazione, doveva essere comune. La prima Regola (1818), iniziava unendo
saldamente la missione e la santificazione alla vita in comune: «I sacerdoti, a
cui il Signore ha dato il desiderio di riunirsi in comunità per lavorare in
modo più efficace alla salvezza delle anime e alla loro stessa
santificazione…». È quanto ci ricordano i giovani martiri di Spagna, che hanno
saputo affrontare insieme la morte: la loro forza è stato il saldo legame che
tutti le univa, come affermava Clemente Rodriguez Tejerina, 18 anni: «Siamo in
pericolo e temiamo che ci separino; ci incoraggiamo l’un l’altro. Ma anche se
dobbiamo morire, sono pronto e sono certo che Dio ci darà la forza necessaria
per essere fedeli».
Infine la narrazione della vita e del
martirio dei giovani Oblato di Spagna ci ricorda che la vocazione oblata è
missionaria, come ha messo bene in evidenza il Superiore generale p. Louis
Lougen: «La passione e la morte di questi 22 Oblati di
Maria Immacolata sono stati il dono totale della loro vita per Gesù Cristo,
loro Signore; il dono della propria vita per il bene del popolo spagnolo; il
dono della propria vita per il bene della missione della Chiesa e degli Oblati
in tutto il mondo. Molti di loro, pieni di zelo, si preparavano a partire per
le missioni che la Provincia di Spagna aveva in Argentina e Uruguay. Non hanno
raggiunto le destinazioni missionarie, ma nella loro violenta esecuzione hanno
vissuto la più completa oblazione, il dono totale di sé, offerto a Dio per il
bene della missione di Cristo. [...] I giovani martiri Oblati di Spagna ci
insegnano che la vita ha il suo significato più profondo e più bello, quando la
viviamo per gli altri e ne facciamo dono, offerta, oblazione» (Être témoins dans le monde, Malaga, 13 Août 2011).
Che la lettura e lo studio del libro
offertoci da p. David Lopéz ravvivi in tutta la Famiglia oblata – Oblati,
consacrati e consacrate nei differenti Istituti ispirati al carisma, laici associati
e che condividono lo spirito di sant’Eugenio – il dono offerto dallo Spirito
Santo alla Chiesa attraverso il Santo Fondatore e lo slancio per una dedizione
senza riserve di sé a Dio, alla Chiesa, alla missione evangelizzatrice.
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