venerdì 14 ottobre 2022

Il sogno delle spighe: i martiri Oblati di Spagna

La storia dei martiri Oblati della Spagna, pubblicata in spagnolo nella collana “Oblatio Studia”, è ora tradotta in italiano. Ecco la mia presentazione:

Il più anziano era il superiore dello scolasticato, Vicente Blanco, 54 anni; segue fratel Angel Francisco Bocos, 53 anni; poi il superiore provinciale, Francisco Esteban, 48 anni, e il formatore José Vega, 32 anni. Gli altri 18 Oblati sono ventenni e diciottenni! Come hanno fatto ad affrontare il martirio, tutti, senza una defezione? Non sono stati piegati né dalla paura né dalle torture psicologiche e fisiche subite durante una prigionia crudele.

Il martirio dei giovani Oblati dello scolasticato di Pozuelo, si colloca nel periodo della grande persecuzione religiosa in Spagna, nel triennio 1936-1939, che vide massacrare migliaia di cristiani. Le motivazioni della guerra civile spagnola – anche se gli inizi della persecuzione sono anteriori – è estremamente complessa, come bene evidenzia l’ampio studio di David Lopez che abbiamo tra mano, ma noi guardano concretamente a questi 22 giovani martiri. Quale pericolo potevano costituire per la società i nostri Oblati ventenni? Di quali crimini era accurati? Semplicemente di essere cristiani. Maltrattati, umiliati senza che aprissero la bocca, sono stati condotti al macello come agnelli innocenti (cf. Is. 53, 7).

Qualunque siano le ragioni della storia, il martirio è una costante dell’esistenza della Chiesa nel mondo, a cominciare da quello di Gesù, seguito da Stefano, da Giacomo e da una schiera infinita di uomini e donne. La motivazione profonda sta nell’odio del mondo per la Verità e nell’imitazione radicale di Cristo Gesù: “Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (cf. Gv 15, 18-20). Si avverano così le sue parole: “Vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”. Parole queste a cui è legata una beatitudine! (cf. Mt 5, 11-12). I nostri martiri Oblati sono autentici beati! A loro è stata data la grazia non soltanto di credere in Cristo Gesù, ma anche di soffrire per lui (cf. Fil 1, 29). In loro la Chiesa dà compimento ai patimenti i Cristo e li rende presenti in ogni tempo e in ogni luogo (cf. Col 1, 24). È Cristo che nei suoi santi e nei suoi martiri continua l’opera di salvezza.

Era ormai tempo che si rendesse ragione del martirio dei 22 giovani Oblati, ai quali è strettamente legato il martirio del laico Candido Castán, esemplare padre di famiglia, pienamente inserito nel mondo del lavoro e dell’impegno sociale. Il processo di beatificazione ha consentito di accogliere documenti e testimonianze. Successivamente sono apparsi vari opuscoli divulgativi. Un passo notevole per una maggiore conoscenza è avvenuto con il Convegno “Oblazione e martirio”, tenutosi a Pozuelo, Madrid, nei giorni 4-5 maggio 2019, i cui atti sono stati pubblicati nella Collezione “Oblatio Studia”, n. 9. Mancava tuttavia uno studio sistematico su questa pagina drammatica e gloriosa della storia della Chiesa e della Famiglia oblata. Siamo grati a p. David Lopez per aver intrapreso tale lavoro. Ciò gli ha consentito di individuato nuove fondamentali fonti inedite per ricostruire non soltanto l’intera vicenda, ma anche per farne conoscere, ad uno ad uno, i vari protagonisti, dando loro un volto concreto. Non sono soltanto i “22 martiri Oblati di Spagna”: ognuno ha una sua storia, a volte semplice ed essenziale, a volte molto più ricca, in base anche agli anni, comunque sempre personalissima e irrepetibile: possiamo conoscerli e chiamarli per nome.

L’attenta ricostruzione storica non resta confinata in un passato ormai lontano. Mai narrazione appare così attuale e ispiratrice. Tra le molteplici indicazioni che il racconto dei martiri Oblati di Spagna suggerisce ne colgo tre in particolare.

La prima è il valore di tale testimonianza per la comprensione di una dimensione fondamentale della vita oblata, insita nel suo stesso nome: l’“oblazione”. È questo l’atto con cui l’Oblato si dona tutto e per sempre a Dio, in risposta alla sua chiamata; esso dà senso e sapore all’intera sua vita in tutte le sue espressioni. Gli Oblati di Maria Immacolata vi trovano la loro identità di consacrati e di missionari. «Il loro zelo apostolico – leggiamo nella Regola – è sostenuto dall’oblazione di sé senza riserve, costantemente rinnovata nelle esigenze della loro missione» (C 2). Vissuta come espressione del battesimo e del carisma, l’oblazione è comune ad ogni altro membro della Famiglia oblata che è chiamato a viverla in conformità alla propria specifica vocazione. Il martirio mostra la radicalità dell’oblazione, fino al dono estremo della vita, come ha fatto Gesù. Gregorio Escobar, 24 anni, da poco ordinato sacerdote, scriveva alla famiglia: «Sempre mi hanno commosso, fino nel più profondo dell’animo, i racconti dei martiri che sono sempre esistiti nella Chiesa, e mentre li leggo sento un segreto desiderio di andare incontro alla stessa sorte. Sarebbe questo il miglior sacerdozio a cui potrebbero aspirare tutti i cristiani: offrire a Dio il proprio corpo e sangue in olocausto per la fede. Che fortuna sarebbe morire per Cristo!».

La seconda indicazione offerta dalla storia dei nostri martiri è quella della fraternità, un altro aspetto caratterizzante la vocazione oblata. L’oblazione è sempre un atto comunitario. Non si segue Cristo da soli, come non l’hanno seguito da soli i primi discepoli del Vangelo. Sant’Eugenio si era proposto di costituire un gruppo di missionari «uniti coi vincoli della carità più tenera», che perseguissero una «santificazione comune», legati con «i dolci vincoli di una perfetta carità». Le condizioni per iniziare la comunità erano esigenti: unanimità perfetta di sentimenti, la stessa buona volontà, il medesimo disinteresse. Tutto, anche l’impegno di evangelizzazione, doveva essere comune. La prima Regola (1818), iniziava unendo saldamente la missione e la santificazione alla vita in comune: «I sacerdoti, a cui il Signore ha dato il desiderio di riunirsi in comunità per lavorare in modo più efficace alla salvezza delle anime e alla loro stessa santificazione…». È quanto ci ricordano i giovani martiri di Spagna, che hanno saputo affrontare insieme la morte: la loro forza è stato il saldo legame che tutti le univa, come affermava Clemente Rodriguez Tejerina, 18 anni: «Siamo in pericolo e temiamo che ci separino; ci incoraggiamo l’un l’altro. Ma anche se dobbiamo morire, sono pronto e sono certo che Dio ci darà la forza necessaria per essere fedeli».

Infine la narrazione della vita e del martirio dei giovani Oblato di Spagna ci ricorda che la vocazione oblata è missionaria, come ha messo bene in evidenza il Superiore generale p. Louis Lougen: «La passione e la morte di questi 22 Oblati di Maria Immacolata sono stati il dono totale della loro vita per Gesù Cristo, loro Signore; il dono della propria vita per il bene del popolo spagnolo; il dono della propria vita per il bene della missione della Chiesa e degli Oblati in tutto il mondo. Molti di loro, pieni di zelo, si preparavano a partire per le missioni che la Provincia di Spagna aveva in Argentina e Uruguay. Non hanno raggiunto le destinazioni missionarie, ma nella loro violenta esecuzione hanno vissuto la più completa oblazione, il dono totale di sé, offerto a Dio per il bene della missione di Cristo. [...] I giovani martiri Oblati di Spagna ci insegnano che la vita ha il suo significato più profondo e più bello, quando la viviamo per gli altri e ne facciamo dono, offerta, oblazione» (Être témoins dans le monde, Malaga, 13 Août 2011).

Che la lettura e lo studio del libro offertoci da p. David Lopéz ravvivi in tutta la Famiglia oblata – Oblati, consacrati e consacrate nei differenti Istituti ispirati al carisma, laici associati e che condividono lo spirito di sant’Eugenio – il dono offerto dallo Spirito Santo alla Chiesa attraverso il Santo Fondatore e lo slancio per una dedizione senza riserve di sé a Dio, alla Chiesa, alla missione evangelizzatrice.

 

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