Quando riceve un dolce o un regalo il
bambino ne è subito preso, affascinato, al punto da dimenticare il donatore.
Allora la mamma lo invita a ringraziare: «Come si dice?». «Grazie!». È un atto
di cortesia sempre gradito, a cui occorre educare.
Nel Vangelo il grazie del lebbroso straniero
guarito da Gesù è ben più di un atto di cortesia. Loda Dio a gran voce, si
getta ai piedi di Gesù, rende gloria a Dio. Riconosce che la guarigione
ricevuta non gli è dovuta. Sì, è stato bravo, al pari degli altri nove: si è
tenuto a distanza da Gesù come insegnava la Legge, si è fidato delle sue
parole, si è avviato verso i sacerdoti perché costatassero l’avvenuta
guarigione adempiendo così, ancora una volta, il dettato della Legge. È stato
bravo, ma non al punto da meritarsi il dono della guarigione. Questa è frutto
soltanto della gratuità dell’amore di Dio. È questo che ha scoperto lo
straniero! Gli altri, quelli di casa, abituati a ricevere, non l’hanno capito.
Capita di fermarsi al dono e di dimenticare il Donatore. Il samaritano ha
compreso che è Gesù il vero dono del Padre, che ci ha tanto amato da dare il
suo Figlio per noi.
È la consapevolezza della presenza di
Dio, apparsa improvvisa nella sua vita, che nel lebbroso ha tramutato la
guarigione in salvezza. Anche gli altri sono stati guariti, ma non hanno
ricevuto la salvezza, la guarigione integrale, la vita nuova. Gli altri, pur guariti,
dopo qualche anno sono morti. Lui, il samaritano, grazie alla salvezza ottenuta
non è morto: vive per sempre, di quella pienezza di vita di cui la guarigione
fisica era segno.
Ma per avere la salvezza occorre
riconoscere Dio in ogni suo dono. Solo allora comincia la vita nuova: «alzati»,
e un nuovo cammino: «va’», e l’esito finale diviene sicuro: «la tua fede ti ha
salvato».
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