Alla crocifissione di Gesù “c’erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Magdala…”. Così il Vangelo di Marco (15, 40). Invece secondo Giovanni le donne stavano ai piedi della croce (18, 25-27). L’arte va oltre e mostra Maria di Magdala avvinghiata ai piedi del Crocifisso. È forse il prolungamento dell’atto di lavargli i piedi con le lacrime, profumarli, asciugarli con i capelli (la tradizione ha infatti fuso la peccatrice innominata con Maria di Magdala). L’arte non contenta di ritrarre la Maddalena mentre abbraccia i piedi del Crocifisso, glieli fa abbracciare e a baciare anche nell’atto della deposizione (come in un bel dipinto di Pietro Cavaro conservato proprio nella pinacoteca di Cagliari, dove invece Maria di Cleofa esprime il suo dolore levando le braccia al cielo…).
Le donne gli abbracciarono i piedi
anche il giorno della resurrezione: e siamo al Vangelo di Matteo (28, 9). Erano
importanti i piedi di Gesù, si potevano toccare: Dio si era fatto “carne”.
Non posso non pensare a questi episodi del
Vangelo mentre guardo il grande Cristo crocifisso che domina la chiesa di
sant’Elia degli Oblati a Cagliari. Ha i piedi grandi, sproporzionati. Sono
grandi quei piedi baciati e bagnati di lacrime dalla peccatrice, abbracciati da
Maria di Magdala, avvinti dalle donne della resurrezione.
Anch’io, come le donne, inizio a
guardare questo crocifisso dal basso, dai suoi piedi. Grandi, perché hanno
percorso tanta strada, per andare in villaggi e città, in cerca delle pecorelle
smarrite, incontro a peccatori e malati. Camminava, camminava per portare
ovunque l’annuncio della buona novella: “Come sono belli i piedi del messaggero
di lieti annunci, messaggero di bene che annuncia la salvezza» (cf. Is
51, 7). È un Cristo missionario quello appeso sulla croce nella chiesa dei
missionari a sant’Elia.
Piedi grandi e braccia spalancate. Le
donne gli hanno abbracciato i piedi, lui ha abbracciato il mondo intero: ha
spalancato le braccia per un abbraccio universale, è morto per tutti (cf. 2
Cor 5, 14). È il Salvatore, titolo che sant’Eugenio amava in modo
particolare, col quale voleva che i suoi Oblati lo pregassero.
Dai piedi salgo con lo sguardo fino al volto.
Non è subito evidente se ha gli occhi socchiusi o definitivamente chiusi dalla
morte. Il sangue che sgorga dal costato dice che ha già ricevuto il colpo di
grazia con la lancia. Sembra abbia appena dato l’ultimo respiro, ha la bocca
ancora socchiusa. L’evangelista Giovanni, usando una parola del tutto in solita
per designare la morte di Gesù, scrive che “consegnò” lo spirito: “reclinato il
capo consegnò lo spirito” (19, 30). Luca dice che lo consegnò al Padre (cf. 23,
46). Giovanni sembra mostrare Gesù nell’atto di consegnare il suo spirito (lo
Spirito?) su Maria e Giovanni che, ai suoi piedi, rappresentano tutti noi, la
Chiesa. Quando veniamo a pregare questo Crocifisso dovremmo aprire anche noi la
bocca per aspirare lo Spirito che Gesù soffia su di noi: da bocca a bocca, come
un bacio.
La prima cosa che mi ha colpito guardando
questo grande crocifisso in ceramica, opera dell’artista Claudio Pulli, 1973, è
la sua collocazione: davanti a un dipinto precedente, sul fondo della chiesa, raffigurante
la scena della Trasfigurazione.
Troppo evidente il contrasto. La Trasfigurazione
dovrebbe essere luminosa: Gesù vi appare in tutto il suo splendore, davvero “il
più bello tra i figli dell’uomo”: vi traspare la sua divinità, chiaramente
proclamata dalla voce del Padre. Invece il dipinto, su maiolica, nella chiesa
di sant’Elia, è severo, scuro… non mi permetto di dire brutto.
Per contro il Crocifisso è bello, luminoso,
pur nel suo colore di un rosso-mattone intenso.
Non dovrebbe essere tutto l’inverso?
Di cosa stavano parlando Gesù, Mosè e
Elia sul monte della trasfigurazione? Del transito che sarebbe avvenuto in
Gerusalemme. La luce del Tabor, come un faro potente, era tutta proiettata sul
Tabor. È quello – mi pare – che appare dal Crocifisso di sant’Elia. Lì, sulla
croce, Gesù si mostra davvero il più bello dei figli dell’uomo, proprio nel
momento in cui è sfigurato, irriconoscibile. È sfigurato per ridare a noi la
figura di figli di Dio che avevamo perduto con il peccato.
Per questo Maria di Magdala lo
abbraccia. Per questo anche voi lo abbracciamo.
Dopo quel grido tremendo che fece tremare
la terra, il Crocifisso di sant’Elia è nella pace, ha completato l’opera che il
Padre gli aveva affidato: “È compiuto” (Gv 19, 30). Il “missionario”, il
“mandato” dal Padre, ha compiuto la sua missione. Un invito a compiere anche il
mandato missionario affidato ad ognuno di noi battezzati.
Nessun commento:
Posta un commento