Guardo le molte riviste missionarie che ricevo e alcuni
siti di Istituti religiosi.
Alcuni mi fanno pensare a degli specchi. Riflettono l’immagine
di chi scrive: volti sorridenti di religiosi e religiose, simboli enfatizzati del
proprio Istituto, spesso con un gusto un po’ rétro... È un modo di proporsi. Per
certi aspetti lodevole. Anche perché dietro c’è forse il desiderio di attirare nuove
vocazioni. Rischia però di tradire autocompiacimento e autoreferenzialità.
Altri mi sembrano delle finestre. Consentono di vedere quello
che i missionari e i religiosi vedono. Lo sguardo non è posato su se stessi ma
sulla società d’intorno, letta attraverso la particolare ottica del carisma,
che spesso fa vedere cose che abitualmente non si vedono o non si vogliono
vedere. Sembrerebbe tutto più spersonalizzato, mentre invece credo sia
proprio ciò che dà la giusta identità.
La Regola oblata afferma che dobbiamo guardare il mondo “attraverso
lo sguardo del Salvatore crocifisso”. Chissà come Gesù vede il mondo Gesù dall’alto della
croce. Per chi vive e per chi sta dando la vita?
Mi ha colpito quanto scrive suor Alessandra Smerilli in
un suo recente articolo. Fa notare come abitualmente si chiede alle persone: “Di
cosa ti occupi?”; mentre sarebbe più opportuno chiedere: “Di chi ti occupi?”.
Mi sembra che sia davvero questione di sguardo. Guardiamo
l’istituzione per la quale lavoriamo o le persone per le quali lavoriamo e di
cui ci occupiamo? Abbiamo davanti uno specchio che rimanda a noi stessi o una finestra
che si apre e ci apre sugli altri?
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