Il 4 febbraio 2019 papa Francesco ad Abu Dhabi ha
firmato una sorte di “enciclica” assieme ad un
musulmano: Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e
la convivenza comune. Gesto che ha scandalizzato più di una persona, non
meno di altri gesti che egli ha posto con scelta consapevole e con
determinazione. Lo spiega e lo giustifica in Fratelli tutti: «Le
questioni legate alla fraternità e all’amicizia sociale sono sempre state tra
le mie preoccupazioni. (…) Mi sono sentito stimolato in modo speciale dal
Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, con il quale mi sono incontrato ad Abu Dhabi. (…)
Non si è trattato di un mero atto diplomatico bensì di una riflessione compiuta
nel dialogo e di un impegno congiunto» (n. 5).
La comunione che oggi evangelizza non è più soltanto
quella all’interno dei nostri gruppi ecclesiali o della Chiesa stessa, ma
quella che i cristiani costruiscono attorno a loro in tutti gli ambiti umani,
in tutte le culture, con le persone le più diverse, fino a diventare
«costruttori di un nuovo legame sociale» (n. 66). Non possiamo limitarci alla
«propria cerchia di appartenenza» (n. 80), occorre che «allarghiamo la nostra
cerchia, dando alla nostra capacità di amare una dimensione universale» (n.
83).
È davvero una cultura nuova, che vede nell’altro,
chiunque esso sia, un fratello, una sorella, abbandonando forme, avvalorate
dalla stessa religione, «di nazionalismo chiuso e violente, atteggiamenti
xenofobi, disprezzo e persino maltrattamenti verso coloro che sono diversi» (n.
86). Con coraggio il Papa propone una «amicizia sociale che non esclude
nessuno», una «fraternità aperta a tutti» (n. 94). L’intera enciclica è una
proposta di una «volontà politica di fraternità», la sola capace di creare
libertà e uguaglianza (n. 103), con velata critica ai propositi della
Rivoluzione francese non pienamente adempiuti perché ad essere disattesa è
stata proprio la fraternità. La grandezza e la bontà di Dio la si testimonia
più efficacemente in una fraternità capace di inglobale persone d’ogni credo e
anche senza un riferimento religioso.
Il dialogo e la comunione si esprimono allora in nuove
dimensioni fatte di «avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi,
conoscersi, provare a comprendersi, creare punti di contatto» (n. 198). È
l’inizio della “cultura dell’incontro”, che avvia processi per raccogliere le
differenze, riconoscere all’altro il diritto di essere se stesso, imparare da
tutti, scoprire che «nessuno è inutile, nessuno è superfluo» (n. 215-221). Il
Papa declina questa fraternità nei rapporti personali, a livello economico,
politico, sociale, interculturale, interreligioso, con una visione a tutto
campo, per il superamento di narcisismi localistici o chiusure mentali.
Non è questa la testimonianza più bella che la Chiesa può
dare di Dio Amore? Lo annuncia nel momento stesso in cui si pone al servizio
degli altri. Forse sarà così che il mondo crederà.
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