La
casa di Nazareth è la casa del Sì di Maria, quella nella quale ella ha vissuta
da giovinetta, fino alle nozze. E poi? Dopo il ritorno dall’Egitto? La Famiglia
di Nazaret sarà andata ad abitare nella casa di Giuseppe, che ancora oggi
appare ben distinta da quella della Vergine: le due case sono agli estremi
opporti del piccolo villaggio.
Eppure
quando si parla della “casa di Nazaret” le due “case” si fondono in un unico
ricordo. Così hanno fatto anche i papi che sono stati a Loreto, come Giovanni
XXIII e Giovanni Paolo II, o Paolo VI quando è andato a Nazaret.
La “casa
di Nazaret” diventa una cosa sola con la “famiglia di Nazareth”, la vita
vissuta insieme tra Maria, Giuseppe, Gesù, e quindi il rapporto d’amore che
legava i tre, esemplare di ogni famiglia cristiana, ma anche di ogni altra
convivenza cristiana, come la comunità religiosa un'autentica famiglia: "Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella, madre" (Mc 3, 34-35).
Proprio
parlando della famiglia di Nazareth l’istruzione Congregavit nos in unum sulla vita fraterna la propone come
modello: «La Madre del Signore contribuirà a configurare le comunità religiose
al modello della “sua” famiglia, la Famiglia di Nazareth, luogo al quale le
comunità religiose devono spesso spiritualmente recarsi, perché là il Vangelo
della comunione e della fraternità è stato vissuto in modo ammirabile» (n. 18).
La famiglia di Nazareth è insieme soprannaturale e naturale, ad essa si può
guardare per imparare una comunione sempre più concreta e profonda.
Nel
suo fondamento, l’amore, un legame che ha tutti i sapori: sponsale, materno,
paterno, filiale… I membri delle nostre comunità sono chiamati ad essere
autentici fratelli e sorelle, e come tali devono imparare ad amarsi
“sinceramente”, “intensamente, di vero cuore” con “affetto fraterno”, come già
chiedeva l’apostolo Pietro alle sue comunità (cf 1 Pt 1,22; 3,8-9). Chi meglio di una famiglia
può insegnare come ci si ama? Essa può mostrare i differenti accenti dell’amore
ora dolce ora forte; un amore che sa essere premuroso e vigilante. Occorre
imparare a gioire delle gioie dell’altro, a soffrire dei suoi dolori, a fare
propri i suoi problemi, fino al punto che da diventare amici.
Come
nella famiglia anche tra noi l’amore non è mai dato una volta per tutte. Esso è
destinato a crescere e a superarsi di continuo, a mano a mano che si susseguono
le stagioni della vita. La convivenza prolungata porta a conoscersi sempre
meglio, nei pregi come nei difetti. L’amore può quindi affinarsi sempre più:
diventa misericordioso, sa andare al di là dei limiti e degli sbagli dell’altro
per scoprire in lui il volto concreto di Cristo. Come in ogni famiglia si
impara ad amarsi concretamente nell’attenzione alle piccole cose.
La
vita all’interno di una famiglia può insegnare tanto: si è pronti a
sacrificarsi per l’altro nelle occasioni più comuni, quali una malattia, una
semplice indisposizione. Una mamma sa vegliare sul proprio bambino, anche di
notte. Si fanno volentieri i turni di assistenza in un ospedale per il
familiare ammalato. Tutti stanno attenti perché un altro possa seguire una
dieta o prendere le medicine... Lo stesso amore concreto, la stessa attenzione
premurosa si richiede in ogni comunità verso chi è stanco, o ammalato, o
anziano...
Nell’amore
reciproco i membri di una fraternità imparano a diventare l’uno dell’altro ora
padre, ora madre, ora fratello e sorella, ora amico...
Le COMI, con le quali ho condiviso questa
esperienza di Loreto, sono raggruppato in “oasi”, singolari espressioni di
fraternità sparse nella vita quotidiana. Ho scelto alcune delle tante
espressioni del loro fondatore, Padre Liuzzo, che delineano la dimensione
fraterna della loro vocazione.
La
carità (…) è un uscire da sé, un andare verso l’altro, un donarsi agli altri
come Cristo e come a Cristo: perciò ci rende non isole ma continenti, non
cellule staccate ma parti vive di un organismo vivo, cioè di una comunità, di
una “famiglia”.
Nell’oasi
ogni sorella non l’ho scelta io: me l’ha data Lui, è un dono suo per me. Perciò
ti accetto anche se... non mi piaci, vedo e amo Lui in te, voglio essere un
dono suo per te.
E il
mio amore per te ha le caratteristiche del mio amore per Lui. È amore:
- di
benevolenza: voglio il tuo bene non il mio, il tuo crescere, la tua gioia...;
- di
compiacenza: godo del tuo bene (gioie, successi, doti, doni...) come se fosse
mio bene personale;
- di
riconoscenza: non aspetto nulla (sono dono per te), ma godo di ogni tuo dono e
mi mostro riconoscente;
- di
condoglianza: soffro con te, condivido le tue pene, “com-patisco”;
- di
conformità: cerco di imitare le tue cose belle, cedo volentieri e così sono in
comunione con te e con Lui. (…)
Così
si attira la presenza viva di Cristo. I membri della fraternità COMI non solo
amano Cristo in ogni sorella, non solo l’amano col cuore di Cristo, ma attirano
la presenza vitale di Lui nella comunità realizzando la sua promessa: “Dove
sono riuniti due o tre nel mio nome (=amore), IO sono in mezzo a loro” (Mt 18
20). Non come entità astratta ma come persona viva, parte e anima della
comunità che lo sente e gode della sua presenza.
Siamo
la famiglia particolare di Maria…
“Siate
quel che dovete essere” cioè singolarmente “nuove Marie di Nazaret”; e come
oasi “la famiglia più unita del mondo.”
Ogni
oasi dunque sia la più bella famiglia di Maria e (…) fare così dell’oasi la
famiglia di Maria, la famiglia di Nazaret,
Saper
vivere in atmosfera divina, nazaretana, costruire ogni giorno questa famiglia
di Maria; e rinnovato sforzo, per ognuna, di essere “nuova Maria di Nazaret”,
seminatrice di pace, di sorriso, di gioia, di amore delicato, paziente e
preveniente, con “speranza operosa”
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