L’affetto
e la fiducia in de Mazenod hanno avuto un effetto positivo su Tempier, che è sempre
stato profondamente attaccato al suo superiore e amico, e gli è stato interamente
devoto. Molto meno emotivo, la sua amicizia è più effettiva che affettiva, il che
causerà anche fraintendimenti e sofferenze a sant’Eugenio
Il tono
della prima lettera di Tempier, il 27 ottobre 1815, è un po’ distaccato: «Signore
e caro collega»; più cordiale nella seconda: «Santo amico e vero fratello, non so
come essere grato per tutto ciò che avete fatto per la mia salvezza. Siete veramente
il più caro amico del cuore». In seguito l’espressione dell’amicizia si fa più discreta.
La naturale riservatezza gli consente di manifestare i suoi sentimenti profondi
solo in occasioni eccezionali. In un momento di sofferenza a N.-D. du Laus, nel
1819, confessa che il suo cuore «soffre sempre», che sente «un dolore eccessivo...
nell’essere separato» dal padre di Mazenod; le sue lettere gli «danno la vita»,
le sue parole sono «un balsamo che riscalda» il cuore. Quando partì per il Canada,
nel 1851, trovò il coraggio di confessare: «Ero in un tale stato emozionale al momento
in cui stavo per separarmi da voi e da quello che ho più caro al mondo... che non
potevo avere la mente negli affari...».
Ciò che
padre Tempier non poteva esprimere a parole, lo tradusse in azione, con la sua devozione
e dedizione quotidiana.
È il saggio
consigliere e l’instancabile collaboratore, l’ammonitore e il confessore. De Mazenod
e Tempier avevano fatto il voto di obbedienza reciproca davanti all’altare della
riposizione del Santissimo Sacramento, il Giovedi Santo 11 aprile 1816.
Padre Tempier
ha obbedito al Fondatore, sempre e ovunque, al servizio della diocesi e della Congregazione.
Nello stesso tempo ha dovuto esercitare su di lui l’autorità che il voto, oltre
alla funzione ufficiale di consigliere, gli imponeva. E lo ha fatto in molte circostanze.
Nel 1830, il 6 giugno, gli scrisse una lettera con aspri rimproveri: «Sono molto
dispiaciuto. Ho fatto di tutto, come ammonitore e persino come direttore o confessore,
perché smetteste di digiunare, e Dio sa che avevo ragione; ma tutte le mie osservazioni
e preghiere sono state completamente inutili... Mi sento obbligato ad esprimervi
per iscritto tutto il mio dispiacere. Dopo di che, se non avrò successo, lo renderò
noto agli assistenti della Società», e gli impone un lungo periodo di riposo in
Svizzera. Imporrà altri periodi di riposo nel 1837, poi nel 1858.
Sarà ancora
grazie all’autorità del suo ammonitore che il vescovo di Mazenod inizierà a tenere
il suo diario dal 1837.
Come confessore
e direttore spirituale Tempier ha ricevuto anche profonde confidenze: la grazia
del 15 agosto 1822, le consolazioni durante la Messa celebrata a Roma il 4 marzo
1826, le aspre considerazioni sullo stato della Congregazione, il 1 ° agosto 1830
da Friburgo, sfoghi riservati a Tempier per il quale non teneva «nascosto nulla».
Ancora: le disposizioni interiori alla vigilia della sua consacrazione nel 1832,
le consolazioni durante una messa celebrata ad Amiens nel 1850, o durante le visite
alle chiese di Marsiglia, dove era esposto il Santissimo Sacramento.
Padre Fabre, testimone di questo fatto, scrive: «Per cinque
mesi non si allontanò da quel letto doloroso in cui si stava lentamente consumando
una così bella esistenza. Fedele al mandato dell’amicizia cristiana, rese al nostro
Padre il supremo dovere e lo avvertì coraggiosamente che il momento del sacrificio
finale era arrivato. Non dimenticheremo mai queste scene strazianti dell’ultima
separazione, segnate dalla maestà dell’augusto carattere del Padre morente e dalla
profonda rassegnazione del discepolo desolato. (…) Ha ricevuto l’ultimo sospiro,
ha ascoltato l’ultima preghiera. Fu lui a pronunciare l’ultimo addio: proficiscere.
(...) Chiuse gli occhi al padre e all’amico che aveva amato e servito per più di
quarantasei anni. Sapeva come dominare l’emozione più viva e profonda per adempiere
a tutti i doveri imposti dalla separazione. L’abbiamo visto e l’abbiamo ammirato».
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