La loro amicizia fu sincera, schietta,
anche scherzosa. Gli scritti del Fondatore raccontano diversi aneddoti in cui appaiono
la spontaneità delle reazioni, la gioia di stare insieme e di prendersi benevolmente
in giro. Un solo esempio. Il sabato 31 ottobre 1840, al termine del ritiro annuale
e alla vigilia della rinnovazione dei voti, Padre Tempier dimentica di ascoltare
la confessione del Fondatore. Quest’ultimo gli manda, a tarda sera, un biglietto
che termina con queste parole: «Tutte le tue dimenticanze mi fanno decidere di condannarti
senza pietà a venire da me subito questa stasera. Prego Dio che ti custodisca e
soprattutto che ti dia un po’ più di memoria».
Il loro rapporto era fatto franco. Tempier
non era riuscito a correggere un tratto della sua personalità che ha sempre fatto
soffrire il Fondatore, estremamente sensibile: la freddezza, la mancanza di emotività
e di calda reciprocità. De Mazenod glielo fa spesso notare con dispiacere. Il 6
ottobre 1829 gli scrive: «Vi ho sempre considerato come un altro me stesso; è per
questo che non solo vi amo così tanto, ma vi comunico tutti i miei pensieri, sempre
più stupito, tuttavia, che, indipendentemente dalla nostra posizione, voi troviate
così difficile condividere i vostri con me. Prendete una volta per sempre la risoluzione
di essere meno abbottonato con me». Il primo agosto 1835: «Possibile che non possa
mai gustare con voi la gioia di quell’abbandono, di quella conversazione a cuore
aperto, che sono la consolazione di due anime unite come le nostre? Non è proprio
per colpa vostra, la riconosco, ma del vostro carattere. Siete sempre dalla mia
parte. Ebbene, non posso vivere senza di voi».
A volte la lunga amicizia è stata provata.
Eugenio si lasciava prendere dalle sue emozioni. Se Padre Tempier avesse avuto la
stessa reazione immediata e forte, si sarebbero visti lampi e fuoco. La sua calma
e il suo controllo sono stati determinanti per il bene del Fondatore, della diocesi
e della Congregazione.
Questa amicizia, che ha resistito a tutte le
avversità, ha stupito quelli che li hanno visti vivere e lavorare insieme. Arrivato
ad Aix nel 1818, Fortunato de Mazenod parlava delle qualità e dei difetti dei primi
Oblati, ma per Tempier usava sempre le stesse parole: «l’amico intimo» di Eugenio.
A Marsiglia, durante l’episcopato di de Mazenod, padre Tempier, sempre accanto al
vescovo, viene spesso definito «un altro lui stesso», «l’anima della sua anima e
potremmo dire il suo cuore e il suo braccio destro».
Una pagina del Necrologio di Padre
Tempier riassume bene i 50 anni di amicizia e stretta collaborazione tra i due:
«La Scrittura parla divinamente dell’amicizia, della dedizione che centuplica
le forze della natura e le eleva alla potenza piena e intera della vita e dell’immortalità:
Amicus fidelis, firmamentum curriculum e immortalitatis.
È quanto si è realizzato nei nostri due Padri che hanno offerto questo sorprendente
spettacolo per quasi cinquant’anni. Chi dirà la generosità, la dedizione con cui
p. Tempier ha adempiuto la missione di amicizia verso il suo superiore e il suo
vescovo? Chi dirà le ineffabili consolazioni che ha riversato nel suo cuore? Il
cuore del nostro Fondatore: così grande, così nobile, così affettuoso, sempre così
ben compreso da colui che il Signore ha messo al suo fianco come un discepolo amato.
I fondatori, i santi attraversano giorni dolorosi e giorni gioiosi. Come per
il loro modello divino, sono più lunghi i giorni sul Calvario che quelli sul Tabor.
In questi momenti arrivano dolori indicibili: è il parto e la sua inesprimibile
angoscia. Ai piedi della croce Gesù Cristo ha ammesso il suo discepolo preferito;
la sua presenza lo confortò. Accanto al nostro Fondatore ha posto un fedele amico
che ha ricordato, per diverse caratteristiche, la somiglianza con l’apostolo amato.
Una voce autorevole, nel giorno in cui ricorreva il cinquantesimo anniversario del
sacerdozio di p. Tempier, è stata ispirata da questo confronto e tutti hanno ammirato
la sua corretta applicazione. Stiamo solo ampliando la cornice aggiungendo il tratto
dell’intimo, profondo affetto che l’amicizia produce; amicizia forte, senza debolezza,
senza artificio, amicizia come doveva esserci tra due anime predestinate alla creazione
di una grande opera. (…)
Le gioie e le lacrime erano comuni, le gioie erano dilatate dalla comunicazione,
le lacrime erano assorbite nella reciproca accoglienza. Potevano esserci degli scontri
tra due tipi così differenti: la vivacità del Fondatore a volte esplodeva, ma l’umile
deferenza, l’atteggiamento modesto e tranquillo del discepolo arrestava gli slanci,
e ben presto le nubi si dissipavano e riappariva la serenità del cuore. Mai il dubbio
ha annebbiato queste anime: per la vita e per la morte, nel dono di sé così come
era ispirato dalla virtù, dalla fede e dalla santità a nature generose che si proponevano
il più nobile e glorioso degli obiettivi: la gloria di Dio e la salvezza delle anime.
(…).
La chiamata del nostro Fondatore meritava di essere accolta
da p. Tempier e p. Tempier meritava di essere chiamato dal nostro Fondatore. Queste
due anime sono state fatte per capirsi, per unirsi, per completarsi e per concorrere,
nella misura della loro rispettiva vocazione, alla realizzazione dell’opera di Dio.
L’opera sta in piedi e le sue dimensioni, evidenti ai nostro occhi, mettono in luce
i pregi degli architetti».
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