Sandro
Magister, uno dei maggiori vaticanisti, in questi giorni rilancia quella che
chiama “la più tagliente critica finora pubblicata del pensiero teologico di
Chiara Lubich”, ad opera di Jean-Marie Hennaux, un professore della facoltà di
teologia della Compagnia di Gesù a Bruxelles.
Davanti
a tanto professore, Gesuita, io sono soltanto un piccolo professore di Roma;
una volta si diceva: “Doctor romanus, asinus lovaniensis”. Sono poi figlio di
sant’Eugenio de Mazenod che aveva un complesso di inferiorità davanti ai
Gesuiti…
Eppure
in questo caso non vale il nome o il titolo, valgono gli argomenti, ed io di
argomenti sulla positività del pensiero di Chiara criticato da Hennaux ne ho
dati, penso, di convincenti. Li ho scritti per la rivista “Nouvelle Revue Théologique”
che, per motivi di convenienza, non li potrà pubblicare. Ripiego allora su
“Nuova Umanità”.
Non
ho neppure qualcuno della levatura di Magister per prendere in considerazione
le mie argomentazioni. Oltre ai 2-300 lettori del mio blog non ho altri strumenti
di amplificazione.
La
verità si fa comunque strada da sola.
Il
mio articolo per “Nuova Umanità” si chiude con alcune citazioni armoniose della
visione di Chiara sull’unità.
Sull’analogia
trinitaria riporto, ad esempio, uno scritto del 28 ottobre 1949: «E quando due
anime s’incontrano sono due Cieli che s’uniscono e danno alle due anime gioia e
pace e serenità e luce e ardore “alla Trinità” (ossia un modo di essere che
rispecchia la Trinità)».
La
distinzione e la ricchezza della diversità delle persone che, sul modello
trinitario, le rende “desiderabili e amabili”, era già apparsa il 15 ottobre
1949: Dio «non illuminò due anime ugualmente ‒ come i Tre nella Trinità non
sono uguali ma Persone distinte ‒ ed a ciascuna diede la sua bellezza perché fossero
desiderabili ed amabili dalle altre e nell’amore (che era la sostanza comune
nella quale si riconoscevano uno e sé stesse in ciascun’altra) si
ricomponessero all’Uno che le aveva ricreate con la sua Luce che è Se stesso».
Il paradigma
trinitario è nuovamente presente con limpidezza il
27 marzo 1950: «Quanto più ci consumeremo in uno, tanto più acquisteremo
la virtù dell’altro («omnia mea tua sunt»), in modo che saremo tutti uno, ciascuno l’altro, ognuno Gesù.
Saremo tante persone uguali, ma distinte, perché le virtù in noi saranno
rivestite dalla virtù caratteristica che formerà la nostra personalità.
Rispecchieremo
la Trinità dove il Padre è distinto dal Figlio e dallo Spirito, pur contenendo
in Sé Figlio e Spirito. Uguale quindi allo Spirito, che contiene in Sé e Padre
e Figlio, e al Figlio che contiene in Sé e Padre e Spirito Santo».
Sono
soltanto alcuni dei molteplici esempi della ricchezza della comprensione che
Chiara Lubich mostra di possedere nell’articolare il tema dell’unità e del
rispetto della diversità.
Questa
ricca comprensione ha fatto dire al carmelitano Jesús Castellano Cervera,
riconosciuto esperto della spiritualità cristiana, che «questa spiritualità
dell’unità porta una novità nella vita cristiana, nell’ascesi, nell’apostolato,
nella stessa mistica. […] Una novità verificata nelle esigenze di vita nuova e
nei frutti prodotti».
Purtroppo
Jean-Marie Hennaux ha avuto a disposizione un solo testo… e fuori contesto. Mi
auguro che possa leggere con più ampiezza gli scritti di Chiara. Sicuramente
rivedrebbe il suo giudizio.
Grazie! Sono una dei 300 lettori del blog, che leggo con gioia quotidianamente trovando sempre tanta luce. Giovanna
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