La raccolta degli scritti di san Giovanni della Croce
inizia, abitualmente, con La salita del
monte Carmelo. È quindi naturale che il lettore comune inizi proprio col
leggere questo scritto. Col rischio di arenarsi e interrompere a metà la
lettura. Così, dicono gli studiosi, avviene il più delle volte. Infatti anche a
me è capitato proprio così.
Oggi, festa di san Giovanni della Croce, mi sono ricordato
di una pagina che ho scritto sulla mia esperienza con i suoi scritti.
Abitualmente si comincia col leggere La salita del monte Carmelo… Col rischio di arenarsi e interrompere
a metà la lettura. Così, dicono gli studiosi, avviene il più delle volte.
Infatti era capitato così anche a me.
Un’opera monumentale, la Salita ,
architettata con maestria, ricca di dottrina, fine nella introspezione
psicologica. Ti dice come arrivare all’unione con Dio. Si tratta di un cammino
arduo descritto, con un’immagine cara alla tradizione di ogni cultura religiosa,
come la scalata d’una montagna. Come erta e lunga e difficile si presenta la
salita e quanta fatica per giungere alla cima… se pur si ha la tenacia e la
forza per tanta impresa. C’è in verità una direttissima, che consentirebbe di
bruciare le tappe in poco tempo, ma sulla mappa è descritta con sei “nada”:
nulla, nulla, nulla… Occorre tagliare, rinunciare, perdere, essere staccati da
tutto… Più ci si sforza di salire, più ci si accorge di quante remore ci
tengono ancora legati alla piana. E allora ti scoraggi e ti dici che forse
quell’alta vetta non è fatta per te. Almeno così accade a chi non si ritiene un
professionista dello spirito. Lasciamo quest’impresa ai monaci e alle monache
che dedicano la vita intera al progressivo distacco e hanno tempo di analizzare
e correggere i più piccoli moti del cuore e della mente per indirizzarli
interamente verso Dio.
Quando mi decisi a riprendere in mano le opere di Giovanni
della Croce, non ricominciai dall’inizio, ma attaccai direttamente un altro
scritto, il Cantico spirituale. Ne
rimasi conquistato. Scoprivo un altro Giovanni della Croce. Non stava più ai
piedi della montagna con la pesante attrezzatura per la scalata. Era già sulla
cima del monte, leggero, libero. Da lì descrive la sconfinata bellezza e gioia
dell’amicizia con Dio. Parla dell’Amato e del suo abbraccio, del suo bacio che
accende il cuore d’un amore ardente, che lo ubriaca di passione. Il rapporto
tra l’Amato e l’anima si fa così intimo e profondo che non trova analogia più
appropriata di quella nuziale: “Dio stesso è colui che le si comunica con
mirabile gloria di trasformazione di lei in lui e si trovano entrambi in uno,
come se dicessimo ora la vetrata con il raggio di sole, o il carbone con il
fuoco o la luce delle stelle con quella del sole” (strofa 26, 4).
Quando giungi al termine della lettura (e vi giungi
certamente perché, pagina dopo pagina, sei attratto dal vortice dell’amore di
Dio) ti trovi anche tu con il cuore in fiamme e il desiderio di giungere a
quell’unione con Dio che Giovanni ti fa pregustare e che ti fa apparire così
naturale e semplice. Adesso sì che sei disposto a lasciare tutto il resto pur
di entrare in questo mondo di luce che mai avresti immaginato così radioso e
bello. Le realtà umane da cui siamo circondati, spiegava già Giovanni della
Croce nel libro sulla Salita, sono
così belle che difficilmente ci si sente spinti a staccarci da esse per intraprendere
il cammino, è dunque necessaria all’anima “la fiamma più potente di un amore
maggiore, cioè di quello del suo Sposo, perché ella, riponendo in Lui il
proprio gusto e la propria forza, avesse il coraggio e la costanza di rinnegare
senza difficoltà tutti gli altri piaceri. Tuttavia per vincere la forza degli
appetiti sensitivi non basta che l’anima ami semplicemente il suo Sposo, ma si
richiede che arda di amore ansioso per Lui” (libro 1, 14, 2).
Dopo aver letto il Cantico
spirituale e l’altro grande poema dell’amore di Dio che è la Fiamma viva d’amore, si può tornare a leggere la Salita del monte Carmelo. Ormai siamo
motivati, si farebbero pazzie pur di raggiungere e gustare la profonda
inebriante comunione con Dio di cui ci ha innamorato. Solo se si è scoperto il
tesoro si è pronti a vendere tutto per acquistarlo. Solo quando si è innamorati
si è disposti a tutto pur di raggiungere l’amore intravisto e pregustato. Lo
stesso Giovanni della Croce scrive: “Chi è veramente innamorato, si distacca
subito da tutto il resto per guadagnare ancor di più quello che ama.” (Cantico 29, 10). Non a caso la sua prima
opera è stata proprio il Cantico spirituale
e soltanto successivamente ha composto il poema “In una notte oscura”.
Meglio ancora se, prima della Salita, prendiamo in mano questo libretto aureo che è la Notte oscura. Apparentemente le due opere
sembrano simili. Tutte e due infatti sono un commento ad una stessa poesia di
otto strofe che inizia con il famoso verso “In una notte oscura”. Sì, perché
prima di essere autore di scritti dottrinali che gli hanno valso il titolo di
“dottore della Chiesa”, Giovanni della Croce è un poeta, che ama tradurre le
sue profonde esperienze spirituali in versi. Non trova strumento più idoneo
della poesia per esprimere adeguatamente quanto egli vive. Non possiamo allora
fare a meno di dare uno sguardo rapido alla vita di quest’uomo, per capire da
dove nasce la poesia “In questa notte oscura” da cui scaturiscono le opere la Salita del monte Carmelo e la Notte oscura.
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