Sul Bollettino
rosminiano “Charitas” (XCI, 8-9, agosto-settembre 2917, p. 224-227) è apparsa la
seconda parte di un articolo di Ludovico Maria Gadaleta dal titolo Rosmini e i religiosi fondatori del suo
tempo, dedicata a Eugenio de
Mazenod.
Inizia riportando il giudizio
che sant’Eugenio espresse nei confronti del fondatore dei Rosminiani: «A Stresa ho fatto conoscenza col celebre abate Rosmini,
uno degli uomini più dotti dell’Italia... Egli accoppia una grande pietà e
un’alta intelligenza: il suo zelo è pari al suo talento». L’articolo
continua: «Mazenod conosce già di fama Rosmini ed è
amico di lunga data di J.-B. Loewenbruck: i due sacerdoti si sono incontrati
nel 1820 nel predicare la grande missione popolare di Marsiglia e il Mazenod, una
volta vescovo, chiamerà spesso il prete lorenese a predicare e lo farà canonico
onorario della cattedrale. Dal canto suo, il Loewenbrueck, nel 1838, proporrà
al Mazenod che gli OMI prendano il posto dei rosminiani che si stanno ritirando
dall’abbazia di Tamié, ma il progetto non decolla per l’opposizione
dell’arcivescovo di Chambéry. Nel 1860 egli cederà la propria casa di Angers
agli oblati per formarvi una comunità, riservandosi una stanzetta e vivendo con
essi fino alla propria morte».
J. B. Loewembruck, per i
conoscitori di Rosmini, è una figura molto nota, meno per quelli di sant’Eugenio.
Ce lo presenta il nostro grande Yvon Beaudoin: «Della diocesi di Metz, aveva sempre
predicato con successo, soprattutto nelle missioni parrocchiali. Nel giugno
1827, passando a Milano, aveva incontrato Rosmini. Scoprirono di avere
preoccupazioni comuni: la fondazione di una società per il miglioramento del
clero. Molto rapidamente si misero insieme per porre le prime fondamenta, a
Domodossola, dell’Istituto della Carità. La collaborazione non fu facile.
Loewenbruck era pieno di ardore, sempre guardava avanti; Rosmini, al contrario,
si rimproverava per le sue lentezze. Loewenbruck non si trovava mai dove si
pensava che fosse, il suo focoso temperamento di missionario itinerante prendeva
sempre il sopravvento. Fondò i rosminiani, ma rapidamente abbandonò la carica
nelle mani di Rosmini che non vi era portato e che, nonostante se stesso,
dovette assumerne la responsabilità. I rosminiani arrivarono all’abbazia di
Tamié nel 1835 sotto la direzione di Loewenbruck; ma, nel 1838, questi ruppe
con l’arcivescovo e abbandonò la Savoia. Si allontanò anche da Rosmini e
dall’Istituto della Carità. Allora Rosmini restituì Tamié alla diocesi. Essendo
amico di mons. de Mazenod, si capisce perché, dal 1838, Loewenbruck gli
consigliò di proporre all’arcivescovo la disponibilità degli Oblati. P.
Tempier, nell’ottobre del 1838, andò a visitare l’abbazia (cf. Diario, 16 ottobre
1838), ma il vescovo non voleva affidarla a francesi».
«Anche la pietà mariana unisce i due santi fondatori: se il Mazenod
dedica all’Immacolata la sua nuova congregazione, Rosmini ottiene da Roma il
permesso di poter aggiungere l’invocazione “Regina
sine labe originali concepta” alle litanie
lauretane e la menzione dell’Immacolata Concezione al prefazio della Messa
votiva della Vergine Maria. Pio IX, nelle
consultazioni per proclamare il dogma del 1854, richiede proprio il parere di
Rosmini, conoscendone la profonda devozione alla Madre di Dio.
Spinto dalla
medesima devozione, il Mazenod - dal 1832 vescovo di Marsiglia - nel 1842
intraprende un pellegrinaggio a Torino per venerare la Sacra Sindone e visitare
i santuari mariani del regno Sardo, particolarmente Vico di Mondovì, Oropa e Re
in val Vigezzo:
scende poi a rivedere Milano, Monza, Verona e Padova, e nel tragitto
dall’Ossola al Ticino si ferma a Stresa, ospite di madama Bolongaro.
La Bolongaro
ha da poco donato a Rosmini un appezzamento sulla collina del paese, detto “al
Ronco”, e qui Rosmini fa costruire una casa religiosa, ove intende trasportare
noviziato e scolasticato, ed una chiesa: demolita la primitiva e angusta
cappella di san Carlo, insufficiente ai bisogni della crescente comunità, egli
edifica un nuovo spazioso oratorio che serve anche ai fedeli locali. Nel 1845
Rosmini darà principio alla fabbrica del nuovo grande santuario, in onore del
SS. Crocifisso, che verrà solennemente consacrato nel 1851 e che ospita tuttora
le venerate spoglie del Beato e di Clemente Re bora.
L’altar maggiore del piccolo
oratorio, tutto di marmo bianco (che verrà poi trasferito nel nuovo santuario),
è munificenza della Bolongaro: l’11 giugno
1842 il Mazenod, con solenne pontificale, vi pone le reliquie dei santi e lo
consacra alla Santa Famiglia di Nazareth, alla presenza di Rosmini, del vicario
capitolare mons. Pietro Schiavini (che regge la diocesi dopo la morte del card.
Morozzo) e di una folta schiera di sacerdoti, religiosi, chierici e novizi. Don
Giuseppe Toscani, segretario del Rosmini, compone per la circostanza un’ode
poetica in cui esalta «l’alma pietà, la fede, l’ardor che in volto spira» il
Mazenod, considerato all’epoca uno dei più noti e venerati esponenti
dell’episcopato francese, e i novizi la cantano durante la cerimonia.
Il Mazenod
si trattiene in casa Bolongaro due settimane ed ha quindi modo di conoscere
bene Rosmini, il quale lo accompagna anche a visitare il Calvario di
Domodossola: il giudizio da lui espresso circa il Beato è, dunque, ben
ponderato e dovuto a conoscenza approfondita, oltre che a quelle affinità
reciproche che nascono fra i Santi quando s’incontrano fra loro».
Vale la pena leggere per
intero la pagina di diario del 3 giugno di san’Eugenio:
Fermata a Stresa, sulle rive del Lago Maggiore, stati
sardi, dove si trova il noviziato dei Rosminiani. È qui che ho conosciuto il
celebre abate Rosmini, uno degli uomini più istruiti d’Italia, fondatore della
congregazione della Carità. Le sue opere filosofiche, poco conosciute in
Francia, fanno epoca in Italia. Il papa ha incoraggiato l’autore a continuare
un lavoro così utile per la religione. Nel suo portafoglio ha materiale per 30
volumi in-8. L’abate Rosmini unisce una grande pietà e un’alta intelligenza. Il
suo zelo uguaglia il suo talento. La sua congregazione comincia già ad espandersi
in Inghilterra dove fa del bene. Non è molto numerosa in Italia. A Stresa si è
appena costruita, in un posto affascinante, la casa del noviziato, a metà costone
di una altura che domina tutto il lago. Vi ho consacrato l’altare costruito a
spese della signora Bolongaro Borghese.
All’articolo di Ludovico
Maria Gadaleta possiamo aggiungere altri due particolari che confermano la
stima e l’ammirazione di sant’Eugenio per Rosmini.
In una lettera scritta
proprio da Stresa, il 9 giugno 1842, a p. Tempier lamentandosi di una comunità
«i cui membri scrivono dappertutto nel mondo per dire magari quel che
dovrebbero tacere, mentre io sono il solo a non sapere quello che li avviene»,
porta come esempio i Rosminiani: «I superiori della congregazione di cui ho
parlato [i Rosminiani appunto] ogni tre mesi rendono conto al superiore
generale di quel che avviene nelle loro case. Non si possono concepire le cose
diversamente», riducendo «l'obbedienza a una obbedienza meccanica, senza
merito, a cui ci si sottrae anche facilissimamente con gran danno del buon
ordine e dell'unità».
Inoltre, tornando a Marsiglia
sant’Eugenio portò con sé parecchie opere di Rorsmini, come appare da una
lettera indirizzata da Ginevra pochi giorni dopo, il 17 giugno, a p. Tempier.
In essa, lo prega di salutare affettuosamente
p. Mille «come anche il p. caro Aubert a cui porto parecchie opere filosofiche
del celebre Rosmini. Bisognerebbe che in Francia qualcuno si penetrasse delle
sue dottrine e le facesse conoscere con una buona traduzione. Il Papa
incoraggia l’autore e parecchie università d’Italia hanno adottato il suo
insegnamento».
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