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Sulla moneta d’argento con la quale si pagava il tributo c’è
impressa l’immagine e l’iscrizione di Cesare Augusto. Se è dell’imperatore che
a lui la si renda: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare”.
Con queste parole Gesù riconosce il valore dello Stato e
delle sue istituzioni. E invita alla stima, al senso di responsabilità, all’impegno
per la “cosa pubblica”, nel rispetto delle leggi, nella tutela della vita,
nella conservazione dei beni della collettività. Perfezionando il lavoro,
svolgendo con competenza e dedizione i compiti affidatici, con l’onestà, possiamo
realmente contribuire a che lo Stato e la società rispondano al disegno di Dio sull’umanità
e siano pienamente a servizio della persona.
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Il profeta Isaia ci invita a scrivere sul palmo delle
nostre mani: “Proprietà del Signore”! quasi a ricordarci che gli apparteniamo e
a lui dobbiamo tornare. A lui il tributo totale ed esclusivo della nostra persona.
È la cosa più importante: rendere a Dio ciò che ci ha donato, la vita, le forze,
l’intelligenza, il cuore.
Tutto ci ha donato, tutto è già suo, tutto gli appartiene.
È solo questione di scoprirlo, di riconoscerlo. Da Lui veniamo, a Lui torniamo:
“Rendete a
Dio quello che è di Dio”.
“Sono tuo, ti appartengo”, dice l’amato all’amante, senza sentire l’espropriazione
ma soltanto il gaudio d’un legame intimo, costitutivo del proprio essere.
“Sono tuo, ti appartengo”, è la nostra dichiarazione d’amore, oggi e
sempre.
E tu a noi: “Allora donami ciò che mi appartiene, donati senza riserve,
sapendo che solo così sarai veramente”.
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