Sto
leggendo una tesi di dottorato su papa Francesco.
Ormai la
sua biografia è arcinota, eppure mi ha impressionato rileggere del suo periodo
di deserto e di prova interiore tra il 1990 e il 1992, quando fu mandato “in
esilio” a Cordoba dal suo provinciale e tutto il suo precedente operato venne sconfessato.
Il papa
ne parla come di un “momento di purificazione interiore che Dio a volte
permette. Un momento oscuro come quando non si vede molto”; “deserto e
desolazione”; “una grande crisi interiore”.
Chissà
quante volte in quel periodo avrà letto il testamento che la nonna Rosa gli
aveva affidato il giorno dell’ordinazione sacerdotale e che egli porta ancora
con sé nel breviario: “Che i miei nipoti, ai quali ho dato il meglio di me
stessa, abbiano una vita lunga e felice. Ma se un giorno il dolore, la malattia
o la perdita di una persona cara dovessero riempirli di afflizione, ricordino
sempre che un sospiro davanti al tabernacolo dove è custodito il martire più
grande e più augusto, e uno sguardo a Maria ai piedi della croce possono far
cadere una goccia di balsamo sulle ferite più profonde e dolorose”.
In mezzo
a questo “deserto e desolazione” Bergoglio viene nominato vescovo…
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