Alla fine di aprile 2008 a Castelgandolfo si tenne il terzo Simposio di
Buddisti e Cristiani in dialogo, organizzato dal Movimento dei focolari. In quella circostanza fui chiamato a raccontare alcune
esperienze di religiosi, a cominciare da me. Oggi mi hanno mandato il testo che avevo preparato in quella circostanza.
Avevo sedici anni quando ho
avvertito contemporaneamente la chiamata a seguire Gesù nella vita religiosa e
la chiamata a vivere l’Ideale di Chiara Lubich. Cinque anni più tardi ho pronunciato i
voti di castità, povertà e obbedienza, in una particolare famiglia religiosa: i
Missionari Oblati di Maria Immacolata.
Come sapete nella tradizione
cristiana ci sono tanti ordini religiosi diversi, nati dall’esperienza di alcuni
santi fondatori, un po’ come anche nel Buddismo vi sono tradizioni monastiche
diverse. Ero molto contento del gruppo religioso nel quale entravo a far parte,
mi sembrava il più bello.
Un mese prima della mia
consacrazione a Dio ho partecipato ad un incontro che si svolgeva al Centro
Mariapoli con Chiara. C’erano persone consacrate di differenti ordini, d’ogni
parte del mondo. Erano tutti più grandi di me, con una profonda esperienza di
vita spirituale. Alcuni erano membri di ordini antichi e famosi. Era evidente
la grande varietà di tradizioni: lo si vedeva anche dalla diversità degli abiti
monastici che indossavano.
Più che la distinzione tra loro
mi colpì l’amore che tutti li univa in un cuor solo e un’anima sola. Rimasi affascinato
dalla bellezza dell’unità che regnava tra loro, dall’impegno sincero con cui
vivevano il Vangelo, da come si aiutavano a raggiungere insieme la santità. Decisi
di vivere come loro.
Da allora sono passati
quarant’anni e sempre più amo l’ordine dell’altro, con la sua tradizione, come il
mio, cercando di vivere le parole della Sacra Scrittura: “Gareggiate nello
stimarvi a vicenda”.
Potrei raccontarvi tante altre
esperienze di tanti altri religiosi nel mondo con i quali siamo legati
dall’Ideale di unità di Chiara.
Ad uno di loro i terroristi hanno
ucciso il fratello. Lui ha avuto la forza di perdonare, secondo quanto insegna
il Vangelo: “Amate i vostri nemici; fate del bene a chi vi fa del male;
perdonate e sarete perdonati”. Allora altri terroristi in carcere, colpiti
dalla sua testimonianza, lo hanno voluto incontrare.
Lui non era mai stato in un
carcere e non sapeva come comportarsi. Poi si è ricordato delle parole di Gesù:
“Ero carcerato e siete venuti a trovarmi…”. Bastava riconoscere in quegli
assassini il volto di Gesù. Bisognava soltanto amarli. Così ha fatto. Tanti di
loro si sono convertiti perché, dicevano, “Sapere di essere amati, ha sconvolto
i nostri schemi mentali”.
In Brasile un altro religioso ha
avuto un grave incidente stradale. Proprio quel giorno aveva iniziato a vivere la Parola di Vita: “Se il
chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore,
produce molto frutto”. I suoi dolori fisici, quelli degli altri ammalati e i
dolori morali conosciuti in ospedale, erano così forti che egli non avrebbe più
voluto vivere: ha domandato al suo vescovo se poteva chiedere di morire.
Ma l’amore da cui è stato
circondato da parte di tanti altri religiosi e da tante altre persone lo ha
aiutato. “Mi sono sentito al centro di una immensa carica d’amore – ci ha
raccontato –, che non ha niente a vedere con la simpatia umana: è la forza di
Dio, la forza dell’unità soprannaturale. Nello stesso tempo – continua – ho
capito che questa corrente d’amore non doveva fermarsi a me, ma doveva
riversarsi sulle persone attorno, nell’ospedale”. Così ha amato a sua volta,
dimenticando se stesso, i suoi dolori, per ascoltare gli altri e aiutare gli
altri. E tanti ammalati, così come altre persone che lavorano in ospedale o che
sono andate a trovarlo, sono tornati a Dio. Era il chicco di grano che portava
frutto.
Ancora un altro religioso. Siamo
nella Settimana Santa, i giorni nei quali noi cristiani riviviamo il mistero
della passione, morte e risurrezione di Gesù. Questo religioso, che abita in
una casa di riposo per anziani, aveva deciso di vivere quei giorni in
raccoglimento e in preghiera. Ma un infermiere si assenta per ferie, un altro
per un problema di famiglia. Insomma, racconta il religioso, “ho passato la
settimana santa a curare gli ammalati e gli anziani, a dar loro da mangiare,
talvolta a imboccarli come bambini, lavarli, cambiare la biancheria… Non posso
partecipare alla preghiera nella chiesa – mi sono detto – ma posso contemplare
le sofferenze e le piaghe di Gesù in questi miei fratelli ammalati. Il Venerdì
Santo, giorno della morte di Gesù, ho accudito un sacerdote completamente
infermo, che non parlava più da parecchi mesi. Ho provato una dolcezza
indescrivibile vedendo in lui Gesù. A un certo momento lui mi ha sorriso,
riempiendomi l’anima di gioia”.
L’Ideale dell’unità è penetrato
anche in monasteri dove si vive il silenzio, la clausura e l’isolamento dal
mondo, come nelle trappe, che sono i monasteri più austeri nella Chiesa. Un
membro di uno di questi monasteri, un trappista, racconta cosa è avvenuto nella
sua comunità:
“Sentivamo il bisogno che l’amore
tra di noi fosse più intenso, ma non sapevamo come fare. Vivevamo vicini l’uno
all’altro, ma tra noi c’erano delle incomprensioni, dovute a mancanza di
dialogo teologale e profondo. Avevamo fatto parecchi tentativi, ma erano tutti falliti.
Allora mi sono detto: perché non riunirci attorno alla Parola di Vita, come ci
insegna Chiara? Fu una scoperta, e sperimentammo con una intensità
straordinaria gli effetti della presenza di Gesù in mezzo a noi. Riscoprimmo in
maniera nuova la nostra vita monastica. Gli incontri settimanali in cui ci
comunicavamo le esperienze fatte vivendo la Parola di Vita erano molto densi e ne partivamo
sempre profondamente stimolati e rinnovati, sia nel senso dell’interiorità che
in quello della comunione”.
Queste poche piccole esperienze
ci fanno forse intuire quanto l’amore possa costantemente rinnovare la nostra
vita di religiosi e ci aiuti a raggiungere lo scopo del nostro cammino.
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