C’era un uomo,
che possedeva un terreno e vi piantò una vigna... I contadini, visto il figlio,
dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua
eredità!” (Mt 21, 33-43).
Noi i
frutti li produciamo! Ne facciamo tante di cose e anche belle e buone… Proprio
come i contadini della parabola. Anche noi impieghiamo nel lavoro energie,
creatività, entusiasmo… Ma quelli che produciamo sono proprio i frutti che il
Padre attende da noi? Non ha detto una volta Gesù che chi non raccoglie con lui
disperde? Anche al re Saul, che aveva offerto doni che Dio non avevi richiesto,
Samuele disse che il dono che il Signore gradisce è obbedire alla sua voce ed
essere a lui docili.
A volte
cerchiamo nel Vangelo parole consolatorie, e invece troviamo spesso parole inquietanti.
Gesù non dà mai tregua, incalza, vuole proprio la nostra conversione, che abbandoniamo
i sentieri che a noi piace battere per rimetterci in carreggiata giusta, in
linea con il suo pensiero. E ha ragione, perché siamo sempre tentati di
aggiustare le cose secondo le nostre pretese, per non essere troppo scomodati.
Sei un
Dio esigente. Lo sappiano che lo fa per il nostro bene, ma è lo stesso esigente
e scombina i nostri piani. Come oggi, con questo Vangelo. Ci insinua il dubbio
– salutare e terribile – se davvero quello che produciamo è veramente quello
che egli si aspetti da noi, e ci obblighi a rivedere le motivazioni del nostro agire.
Spesso
dimentichiamo che se portiamo frutto è perché siamo sua vigna. Giungiamo al
punto da credere che esso sia nostra proprietà. Proprio come i contadini della
parabola che non danno il dovuto, ma vogliono cancellare il padrone, ucciderlo
in modo da sentirsi indipendenti, liberi, padroni: finalmente possono fare
quello che vogliono e godere a proprio piacimento dei suoi doni!
Quante
volte anche diciamo, forse più con i fatti che con le parole: “La vita è mia e
ne faccio quello che voglio”. Grandi pensatori hanno postulato la morte di Dio
perché l’uomo possa essere se stesso. Noi non giungiamo a tanto, ma forse anche
noi, più o meno consapevolmente, nel concreto di ogni giorno, arriviamo al
medesimo risultato e lo estromettiamo dalla nostra vita per sentirci liberi d’una
libertà che presto si rivela schiavitù di un insaziabile egoismo.
Con le parole
del Vangelo di oggi, così dure, Gesù ci ricorda che non viviamo per noi stessi,
ma per lui e per il suo regno; contadini al suo servizio; contenti di produrre
i frutti che egli vuoi – quelli soltanto –, i più buoni; consapevoli che essi
nascono da lui, la vigna sulla quale noi tralci siamo innestati; felici di
poterteli donare perché non ci appartengono.
Vieni a prendere il frutto di ciò
che hai seminato
è dono tuo e a te lo ridono,
e tanti frutti produci ancora
e non sia sterile la vigna.
Che mai ti estrometta dalla tua
terra
per una libertà e una autonomia
che non voglio.
Tua è la mia libertà perché tu la
viva.
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