Vetrate di Jan Pillemans, OMI Trois Rivuères |
Regni
e imperi si edificano con guerre e carneficine. In questi giorni come allora.
Non
così il regno di Cristo. Gesù lo conquista non uccidendo, ma dando la vita.
I
regni di quaggiù si mantengono con il potere, il suo con il servizio.
Quelli
di quaggiù non possono fare a meno dell’arroganza, della superbia.
Il
suo si fonda sull’umiltà, sull’ambizione all’ultimo posto; un regno nel quale chi
vuole diventare grande si deve fare servitore, e chi vuole essere il primo schiavo
di tutti.
Non
potrebbe il regno “di quaggiù” ispirarsi al Regno di Dio, dove c’è più gioia
nel dare che nel ricevere, dove si ama l’altro come se stesso, dove il piccolo,
il povero, il disoccupato, l’ammalato è collocato al primo posto?
I
“ministri” potrebbero diventare quello che dice il loro nome, servitori del
popolo. La politica, dal capo dello Stato all’ultimo amministratore comunale,
potrebbe aspirare a farsi sempre più attenta alle necessità di ogni singolo
cittadino, a mettere da parte il proprio interesse, a promuovere il bene comune
con creatività e intelligenza. Così l’economia, la finanza.
Perché
pensare – ed è un’eresia – che il vangelo riguardi soltanto il mondo
spirituale? Perché rifiutare la sua incidenza nell’ambito sociale, politico,
economico?
Non
diversamente per la Chiesa, segno del Regno dei cieli: né fasto né
autoritarismo, né pretese né ingerenze politiche, nella consapevolezza che la
sua identità non è modellata sui regni “di questo mondo”, ma sulla regalità di
Cristo, fatta «di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di
amore e di pace» (Prefazio). Papa Francesco insegna.
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