lunedì 14 settembre 2015

Oggi con me in paradiso: che promessa!

Zdenek Cizkovsky, OMI (+ 2004)
Casa generalizia, Roma
Festa dell’Esaltazione della Croce
Ogni giorno migliaia di persone passano su quello sperone di roccia, si prostrano carponi sotto l’altare e introducono la mano nel foro dove fu piantata la croce di Cristo. È difficile, ora sommerso da sovrastrutture secolari, immaginare com’era duemila anni fa quel luogo di supplizio. Erano tre, quel giorno, inchiodati sul patibolo. Sentirono il centurione che, in latino, in greco, in ebraico, leggeva la sentenza di condanna di uno di loro che si era proclamato re dei Giudei. Uno degli altri due rise e con sarcasmo lo insultò: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi”. L’altro lo riprese, facendogli notare che loro due meritavano quel supplizio, perché due delinquenti, ma lui, il Re, non aveva nessuna colpa, era condannato ingiustamente, era innocente”. Rivolgendosi poi a Gesù gli rese atto della sua regalità: “Gesù, ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno”. Aveva preso sul serio l’iscrizione vergata dal procuratore, Ponzio Pilato.
Come faceva a riconoscere in quell’uomo flagellato, coronato di spine, sfigurato, beffeggiato, un re? Che razza di Messia poteva essere se non era capace neppure di salvare se stesso? Cosa aveva di regale Gesù, in quel momento? Eppure il brigante lo tratta davvero da re. Forse per il suo comportamento. Si prende cura della folla e dei soldati, li scusa e chiede per loro il perdono. Pensa alla madre e, perché non rimanga sola, l’affida al discepolo amato. Pur sentendo la sete e l’abbandono di Dio, per nel suo alto grido di dolore, quell’uomo sulla croce pensa ancora agli altri. Era questo che impressionava il ladrone crocifisso con lui e subito dopo il centurione che l’aveva crocifisso.
La tradizione ci ha ricamato sopra. Il Vangelo arabo dell’infanzia, dà un nome ai due banditi, Tito il buono (il Vangelo di Nicodemo lo chiama invece Disma e la tradizione ortodossa Rakh) e Dumaco il cattivo. Briganti nati, avrebbero assaltato la santa Famiglia durante la sua fuga in Egitto, ma Tito si era commosso a vedere il bambino e lo difende da Dumaco.
Ma lasciamo le storie fantasiose e torniamo a quel crudo momento della crocifissione. “Gesù, ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno”. Lo chiama per nome, come non aveva fatto nessun altro dei molti personaggi quel giorno presenti al processo e sul luogo del patibolo. Lo chiama per nome, segno di umanità, di affetto, di vicinanza. E insieme gli parla del suo regno, riconoscendone la dignità, la capacità di riscatto e di salvezza.
Gli giunge così la più bella delle promesse fatte da Gesù nel Vangelo: “Oggi sarai con me in paradiso”. Neanche Gesù entra da solo in paradiso…



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