Secondo il Vangelo di Luca, l’ultimo
atto della vita di Gesù fu condurre gli Undici fuori Gerusalemme, verso Betània
dove, mentre li benediceva, «si staccò da loro e fu
portato verso il cielo». Lo stesso leggiamo negli Atti degli apostoli. La tradizione ha collocato
il luogo dell’ascensione del Signore sulla sommità del monte degli Ulivi. Già nella seconda metà del 300 la matrona romana Pomenia vi aveva costruito una
chiesa detta Imbomon (chiesa sulla vetta). Un secolo dopo vi sorse un monastero.
Dopo la distruzione dei Persiani, i Crociati edificarono una nuova chiesa
ottagonale, con al centro una edicola senza pareti e senza soffitto, formato da
otto colonnine che formavano altrettanti archetti. In alto tutto doveva rimanere aperto, come nella primitiva chiesetta di Pomenia, a ricordare la salita di Gesù
al cielo.
Dal 1200, quando Gerusalemme
fu conquistata dal Saladino, quell’edicola fu trasformata in moschea. Anch’oggi,
quando vi si entra, si è come schiacciati dalla possente cupola, sembra che il
cielo si sia richiuso.
Matteo, a differenza
di Luca e Marco, ambienta invece l’ultimo incontro con gli apostoli in Galilea, sul monte sul quale Gesù aveva dato
loro appuntamento. Era forse quello della trasfigurazione? Ma anche se lo
fosse, qual è l’“alto monte sul quale Gesù ha si è mostrato in tutto il suo
splendore? La tradizione apostolica, riportata da Origene, lo identifica con il
Tabor, dove già alla fine del quarto secolo furono edificati luoghi di culto
cristiani.
La prima volta che vi salii era una giornata limpida e lo sguardo
poteva spaziare all’infinito su una pianura verde, resa ancora più bella dal
lavoro dell’uomo. Ricordo la gioia di mio padre che guardava incantato il
paesaggio all’intorno inondato di luce, quasi un riflesso di quella che
splendette sul volto di Cristo e che sembrava avvolgesse anche noi.
Su quel monte
Gesù disse ai suoi che gli era stato ogni potere in cielo e in terra. La sua
ascensione avrebbe simboleggiato proprio la sua signoria, l’investitura regale
che riceveva sedendo alla destra del Padre.
Fu allora che
pronunciò la più solenne e straordinaria promessa che mai avesse fatto: “Ecco,
io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Era l’ultima sua
parola.
Partendo, assicurava i suoi che sarebbe rimasto con loro. Una
presenza diversa da quella di prima, quando camminava per le strade di Galilea e
di Giudea. Adesso sarebbe stato con loro con tutta la potenza della sua
risurrezione, con la forza della sua regalità. Sarebbe stato con loro ovunque
fossero andati, in ogni momento, “tutti i giorni”, senza mai lasciarli soli nel
loro cammino. Sarebbe rimasto anche nelle generazioni successive, lungo tutta
la storia della Chiesa, “fino alla fine del mondo”, come Signore del mondo e
della storia, come colui che ha vinto il mondo.
Di cosa temere, con una promessa così?
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