Viaggiare, per tanto tempo, è stato il suo mestiere. Ha raccontato alla televisione, nei suoi servizi da tutto il
mondo, storie di viaggi, luoghi, persone, atmosfere, tradizioni. Attraverso le
parole e le immagini.
Lavorando
e viaggiando – ci ha raccontato ieri Tamara a sant’Eustachio – sono stata chiamata
a raccontare o intervistare, non solo e non sempre esperti o studiosi o persone
famose, ma anche persone qualunque, mamme, babbi, pescatori, anziani seduti in
una panchina di un paesino sperduto dell’Appennino, artigiani, o testimoni di
piccole storie locali, sia italiane che straniere.
Penso
a Sigvar, un anziano pescatore delle isole Koster, che conosceva a memoria i
percorsi dei banchi di gamberetti nel
mare dello Skagerrak, o a Mr. Roeneberg,
un signore ottantenne, un abitante di Alesund, in Norvegia, che faceva parte
dei sabotatori che, nel 1943 riuscirono a far esplodere la fabbrica di acqua
pesante impiantata dai tedeschi a Vemork, nel Telemark.
Per
viaggiare non serve andare lontano. Basta un ristorante, prendiamo un ristorante
indiano, in un quartiere di periferia della nostra Roma. Prendiamo Tor
Pignattara. La prima volta che ci sono stata, in quel quartiere, è stato il 31
dicembre di tanti anni fa. Aiutavo un’amica nel suo trasloco, e siccome lei
aveva paura a guidare un furgone per Roma, ho guidato io. Il viaggio era breve:
dal Quadraro a Tor Pigna. Saranno uno, due chilometri al massimo? Eppure, c’è
differenza e te ne accorgi prima di tutto, dagli odori. Parcheggiamo,
scendiamo, annusiamo… Per la via, odore di curry, cumino, spezie, tanta
sporcizia, tanta vita in strada, bazar mascherati da fruttivendoli aperti fino
a notte fonda, non c’è festività che tenga, gli esercizi sono sempre aperti. Dopo
un po’ di tempo, abbiamo scoperto un ristorante semplice, indiano, frequentato
da indiani e anche da qualche giovane romano in via di sperimentazione. Io e la
mia amica eravamo le viaggiatrici. Lo
chef aveva lavorato in uno dei ristoranti più famosi di Roma, e poi si era
messo in proprio. Riusciva a creare dei piatti incredibili, sapori incredibili.
Così, quella sera glielo abbiamo detto. Lui, senza il timore di essere copiato
cominciò ad elencarci gli ingredienti della nostra salsa preferita:
curcuma, coriandolo, cannella,
cardamomo, peperoncino, zenzero, latte di cocco e… e… “come si chiama? Non mi
ricordo il nome. Come si dice in italiano… l’albero di Apollo?” Non so
spiegarvi, la figura retorica, l’antonomasia porta una ventata di Oriente, di
poesia… Spalanco gli occhi e la bocca. Intende
l’Alloro?, chiedo, Si, lui mi
risponde, l’Alloro, l’albero di Apollo.
Apollo, Dafne, l’alloro. Tutto in una sera qualunque, a Tor Pignattara. Anche
questo è viaggio.
"Non c'è luogo, per me, che sia lontano" direbbe Marino Moretti. Vivere significa viaggiare, quindi non per forza prendere l'aereo. Se apriamo occhi e orecchie ogni persona accanto a noi rappresenta un mondo, il suo. La cosa più bella che ci possa capitare è scoprire l'altro nella sua più completa realtà. Paesi, cibo, religioni, canzoni, disegni, poesia, folklore, letteratura, tutto e di più. Basta solo guardarsi attorno e in un momento saremo là, con un nuovo amico a farci da guida.
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