Sarà stato così anche a Gerusalemme? Gesù manda a dire al padrone di
quella data casa: “Dov’è la mia sala, in cui potrò mangiare la Pasqua con i
miei discepoli? Ed egli vi mostrerà una sala del piano superiore, grande,
provvista di tappeti, pronta” (Mc 14, 14-15). No, il padrone di questa casa non
è un affitta camere, ma un amico!
Quel luogo diventerà la sede della prima comunità
pasquale. Lì si trovavano i Dodici quando apparve loro il Risorto, lì erano
riuniti in 120 quando discese lo Spirito Santo a Pentecoste. Quella è forse la
stessa casa dove Pietro, una volta liberato dal carcere, trovò la comunità radunata,
che pregava per lui: era la casa di Maria, la mamma di Giovanni detto Marco (il
cugino di Barnaba? il ragazzo che era andato nell’orto degli ulivi con un lenzuolo
addosso?), con la giovane Rode come portinaia. Si sa il nome della padrona, del
figlio, ma non quello del marito… Quante cose mi piacerebbe sapere. Ma forse
basta sapere che a Gesù premeva avere una bella sala per la cena pasquale. Era da tanto che aveva sognato quella cena con i suoi, l'aveva desiderata ardentemente.
Anche
alla fine busserà e chiederà di entrare e di cenare con noi. Anzi, in quell’ultima
cena a Gerusalemme, nel cenacolo, dichiara che non berrà più il frutto della vite fino a quando
berrà il vino nuovo nel regno di Dio: ha già imbandito una cena anche in
paradiso.
Ha scelto
bene, Gesù. Sapeva che la convivialità è una delle espressioni più belle del
vivere umano. È a tavola che la famiglia si ritrova; a tavola che ci si
racconta il vissuto quotidiano, ci si apre alle confidenze, ci si “ricrea”, si
prova la più pura gioia. Come altro avrebbe potuto celebrare il suo Giovedì
santo, se non con una cena?
Ma io
torno a quel tale che mise a disposizione la stanza più bella della casa per Gesù e
gliela fece trovare pronta, con i tappeti, a festa. Che onore essere scelto da
Gesù come ospite. Vorrei che domani venisse a cenare a casa mia…
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