Gesù non nasconde con vergogna le piaghe. Le mostra come il segno del suo
amore, l’amore più grande, che ha saputo dare la vita per gli amici. Sono il
segno della sua amicizia.
Tommaso non vuole vedere Gesù, vuole vedere il segno dei chiodi, il
segno della lancia, il segno del suo immenso amore per lui.
Soltanto alla vista delle sue piaghe sgorga la più alta professione di
fede di tutta la Scrittura: «Mio Signore e mio Dio!».
Se Dio è Amore, Gesù ha un solo modo per mostrarsi Dio: mostrare un
amore da Dio! Le sue piaghe lo rivelano.
Signore mio e Dio mio.
Quanti anni avevo quando il babbo, chinato su di
me, sussurrava e mi suggeriva queste parole? Tre, quattro anni?
Il sacerdote elevava l’ostia nel silenzio della
chiesa inondato dal tintinnio del campanellino. Era Gesù, di nuovo sospeso tra
cielo e terra, che si offriva al Padre e univa Cielo e terra.
In quella sospensione d’un attimo, eppure eterna, la
nostra adorazione:
Signore mio e Dio mio.
Imparavo a conoscerlo, a riconoscerlo.
Innalzato, attirava tutti a sé.
Tutti. Anche me.
Mi ha attratto al punto che adesso sono io ad
offrirlo al Padre e all’adorazione dei fedeli
(con la segreta speranza che tra i banchi ci siano
ancora dei padri che insegnino ai figli:
Signore mio e Dio mio).
Non conto più le persone che mi raccomandano: “Al
momento dell’Elevazione ricordami al Signore”. Vogliono essere tutti lì, in
quell’istante eterno, perché lì è l’Amore, lì è la Vita.
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