Cosa c'entra questo disegno con la vita consacrata? Niente... ma l'ho fatto mentre preparavo la relazione, pensando al lago di Albano |
Che nella Chiesa la vita
consacrata ci sia o non ci sia è lo stesso. Non ha una grande valenza, ne se
può fare a meno. In genere è un fattore positivo, qualcosa di buono, ma rimane
un elemento piuttosto decorativo, come le palline dell’albero di Natale. Difatti
i manuali di ecclesiologia, su 700 pagine ne dedicano sì o no 3 o 4 questa
realtà, ci sono cose ben più importanti di cui parlare.
È su questo tema che
oggi, assieme al vescovo Crociata, ho parlato in un convegno dedicato a "La Vita consacrata nella Chiesa particolare. Istanze ed esiti per un cammino nella coessenzialità dei carismi"
Dopo aver citato Paolo Vi mi è stato facile ricorrere a Paolo VI: «La tradizione della chiesa - è forse necessario ricordarlo? - ci offre, fin dalle origini, questa testimonianza privilegiata di una ricerca costante di Dio, di un amore unico ed indiviso per Cristo, di una dedizione assoluta alla crescita del suo regno. Senza questo segno concreto, la carità che anima l’intera chiesa rischierebbe di raffreddarsi, il paradosso salvifico del vangelo di smussarsi, il "sale" della fede di diluirsi in un mondo in fase di secolarizzazione» (ET, 3).
Dopo aver citato Paolo Vi mi è stato facile ricorrere a Paolo VI: «La tradizione della chiesa - è forse necessario ricordarlo? - ci offre, fin dalle origini, questa testimonianza privilegiata di una ricerca costante di Dio, di un amore unico ed indiviso per Cristo, di una dedizione assoluta alla crescita del suo regno. Senza questo segno concreto, la carità che anima l’intera chiesa rischierebbe di raffreddarsi, il paradosso salvifico del vangelo di smussarsi, il "sale" della fede di diluirsi in un mondo in fase di secolarizzazione» (ET, 3).
La santità e le vie di
santità aperte dai carisma, sono segno per tutta la Chiesa e hanno la Chiesa
universale come ultima destinataria. Lo sono l’altissima povertà di mente e di
cuore di san Francesco, l’orazione di santa Teresa, gli esercizi spirituali di
sant’Ignazio, l’amore e il servizio ai poveri di san Vincenzo de Paoli, la cura
dei giovani di don Bosco...
Assieme alla santità,
la vita consacrata tocca la missione stessa della Chiesa. I movimenti religiosi nati dai carismi sono diventati naturali
evangelizzatori, ponendosi all’avanguardia dell’annuncio del Vangelo. Basterà
pensare al diffondersi del monachesimo in Gallia, all’invio di Agostino di
Canterbury e dei suoi monaci in Inghilterra, alla peregrinatio di S. Colombano, su su fino alla penetrazione del
cristianesimo in Cina e nel Nuovo Mondo da parte degli Ordini religiosi,
all’esplosione missionaria dell’Ottocento, che si estende dall’Africa
all’Oceania, fino alle missioni artiche tra gli Eschimesi. L’opera di evangelizzazione
è stata svolta quasi esclusivamente dal monachesimo e dalle successive forme di
vita religiosa, fino ai recenti istituti tipicamente missionari, in definitiva
dai movimenti carismatici.
Anche qui Paolo VI ha
scritto parole efficaci: «Ma chi non considera l’apporto immenso che essi hanno
dato e che continuano a dare all’evangelizzazione? Grazie alla loro
consacrazione religiosa, essi sono per eccellenza volontari e liberi per
lasciare tutto e per andare ad annunziare il Vangelo fino ai confini del mondo.
Essi sono intraprendenti, e il loro apostolato è spesso
contrassegnato da una originalità, una genialità che costringono
all’ammirazione. Sono generosi: li si trova spesso agli avamposti della
missione, ed assumono i più grandi rischi per la loro salute e per la loro
stessa vita. Sì, veramente, la Chiesa deve loro molto» (EN 69).
Toccando intimamente la
vita e la missione della Chiesa i carismi risultano ad essa indispensabili,
elemento irrinunciabile e qualificante del corpo della Chiesa (almeno che non
ci si accontenti dello scheletro).
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