sabato 31 gennaio 2015

Un insegnamento nuovo che rende nuovi



Insegna cose nuove, mai udite prima d’ora. Non ripete parole consuete; parla con la forza e l’autorità di chi crea il pensiero e la realtà. Marco, nel vangelo di questa domenica, non ci trasmette il contenu­to dell’insegnamento di Gesù. Per adesso gli interessa la sua persona, invitando a volgere lo sguardo verso di lui.
Non fa sapere quanto ha detto quel giorno nella sinagoga, ma ne mostra gli effetti riflessi sul volto dei presenti, stupiti, presi da timore, tanto maestoso e potente egli si ergeva davanti a loro.
Il suo parlare palesa la sua identità, svela chi egli è: il Santo di Dio, vivente nel mistero della sua santità. La forza della sua paro­la manifesta la sua potenza. Come nell’atto creativo, egli dice e tutto è fatto: «Esci da lui», e il diavolo esce. La sua è parola che opera, rende nuovi, liberi: distrugge il male e ricre­a l’uomo nuovo.

Vieni nella mia vita, Signore della vita,
penetrami con la tua parola,
con forza e potenza,
perché non possa resisterle.
Donami di accoglierla e viverla.
Stana con la sua verità
lo spirito immondo
che vive in me silenzioso e nascosto.
Usami violenza ed espelli ogni male,
Santo di Dio onnipotente e salvatore.
Portami nella tua novità di vita
e crea in me l’uomo nuovo,
il figlio di Dio,
capace di dialogo e di comunione
con Dio e con i fratelli,
così che con loro e in te
possa vivere alla presenza del Padre
e lodarlo in eterno
nell’amore dei Tre che tutti ci avvolge.
 

venerdì 30 gennaio 2015

Crociate incrociate



Mi giunge l’invito a firmare un “Appello in sostegno di Papa Francesco”. È in atto, così si dice, un “attacco mirato e frontale” contro il papa. Subito dopo gli auguri natalizi alla Curia, nei quali Francesco elenca le “malattie” della Curia, un giornalista del calibro di Vittorio Messori pubblica su un quotidiano le sue perplessità su un papa “imprevedibile per il cattolico medio”. Confessa di scrive l’articolo perché gli è stato richiesto. Da chi? Sì, è in atto una campagna, iniziata in sordina, per screditare il papa, anche se non è questa l’intenzione di Messori. C’è addirittura chi non lo ritiene legittimo (irregolarità in Conclave?) La Chiesa sarebbe in stato di sede vacante.
Il giorno successivo si muove un’altra grande firma del mondo cattolico, questa volta dall’America Latina. Leonardo Boff, sentendosi investito del compito di difensore di un Bergoglio che proviene da quel continente, contrattacca pesantemente denunciando il “grosso vuoto nel pensiero di Messori”, fino a usare l’arma dell’attacco personale, definendolo “un convertito che ancora deve portare a termine la sua conversione”. Non manca, naturalmente, la contromossa di Messori, che parte anch’essa da riferimenti personali verso il frate che “lasciò il saio francescano e andò a vivere con una compagna”. Si polarizza così la contrapposizione tra conservatori e progressisti, l’un contro l’altro armati: crociate incrociate, mobilitate in nome della tenerezza, della misericordia, del dialogo, della fraternità. Quante energie sprecate, quando potrebbero diventare sinergie per la causa del Regno di Dio!
In mezzo Francesco, che propone una visione di Chiesa “poliedrica” – spigolosa, dunque – e non “sferica”, nella quale c’è posto per tutte le tendenze e sensibilità: “L’uniformità non è cattolica, non è cristiana… Unità è saper ascoltare, accettare le differenze, avere la libertà di pensare diversamente e manifestarlo! Con tutto il rispetto per l’altro che è il mio fratello. Non abbiate paura delle differenze!”. È questa la strada perché le legittime tensioni non si trasformino in conflitto, ma in fattore di arricchimento reciproco, di dinamismo e dunque di crescita.


giovedì 29 gennaio 2015

Come pregava Chiara Lubich?

Come pregava Chiara Lubich? È il suo segreto, il suo inti­mo dialogo con Dio. A volte però bastava guardarla per intuire qualcosa di questo suo personale rapporto. Esso traspariva da tutta la sua persona, che richiamava l’atteg­giamento di Maria che custodiva il mistero del Figlio nel suo cuore. Ho con me una foto che scattai all’inizio di un incontro della Scuola Abbà2 (23 novembre 2003) mentre Chiara, in silenzio, chiede a Gesù di rinnovare il patto di unità. È una foto leggermente sfocata, ma mi è particolar­mente cara perché la ritrae assorta in Dio, le mani giun­te, gli occhi chiusi, icona di un raccoglimento profondo e intenso, lo stesso nel quale la vedevo immersa durante la Messa celebrata insieme nella sua cappella, come in quelle celebrate nelle grande assemblee pubbliche.
L’ho vista pregare anche in maniera semplice e spon­tanea, quando ci guidava nella visita a Gesù Eucaristia o quando, seguendo la pietà popolare, ci conduceva ad un pellegrinaggio. Ricordo in modo particolare il pomeriggio di Pasqua 1997 quando andammo insieme al santuario del­la Madonna di Visp, nel Vallese, in Svizzera. Recitammo il rosario davanti alla grande statua della Desolata, mentre veniva accesa una candela per ciascuno di noi. Seguirono alcuni canti popolari e la visita alla chiesa contemplando e commentando ad una ad una le varie immagini sacre.
Il momento della preghiera era per lei “il momento più bello”, “il momento migliore” della giornata. Pur essendo il suo “segreto”, più volte ci ha fatto en­trare nell’intimità della sua preghiera e di quella nella qua­le sapeva coinvolgere le sue compagne e i suoi compagni.
Potremmo percorrere il cammino della sua vita alla ricerca dei tanti momenti di preghiera. La vedremmo en­trare in un chiesa, ritirarsi nel suo studio o nella cappella di casa, fermarsi a contemplare la natura dove trova Dio. Sa trovare Dio e pregare anche nel frastuono di una grande città come Roma. Può trovare Dio ovunque perché la sua preghiera non è confinata nei momenti dedicati esplicitamente alle preghiere: la sua vita lentamente è diventata preghiera.
Quella di Chiara è la vita di una persona chiamata alla “più alta contemplazione”, e insieme ad essere “immersa nella folla”. La sua via di preghiera sarà quindi la via dell’amore verso tutti, l’esercizio della pro­pria missione di contribuire all’unità del mondo intero. 
È quanto ho cercato di indagare in questo libretto che ho appena pubblicato: La preghiera, il momento più bello della giornata, nella spiritualità di Chiara Lubich.

mercoledì 28 gennaio 2015

A Sant'Eustachio, in dialogo con Shahrzad Houshmand, musulmana

Giovedì, ore 19.30: sarò in dialogo con Shahrzad Houshmand, teologa e credente musulmana. docente alla Pontificia Università Gregoriana e all'Università La Sapienza di Roma. Concluderò con lei la seconda serie dei “Dialoghi a sant’Eustachio”, dedicato ai “Luoghi di Dio”, prima di iniziare, giovedì prossimo, il nuovo ciclo.
Parleremo su dove incontrare Dio, o meglio, su dove lui ci attende per incontrarsi con noi. Io parlerò dei nostri mistici cristiani e lei di quelli persiani e andalusi. Spero sia un bel dialogo.
Ma immagino che ci sarà qualcuno del pubblico che vorrà intervenire su altri argomenti scottanti. Forse è meglio avere subito il suo parere:

Shahrzad Houshmand: E’ chiaro che non si può in nessun campo giustificare un atto violento e l’uccisione di persone innocenti, questo è senz’altro condannato da tutti i capi religiosi, non solo islamici, perché qui non si tratta della violenza islamica ma è la violenza che ha colpito il cuore dell’uomo, in sé.
chiedo all’homo sapiens sapiens di oggi, che nonostante la sua sapienza ha messo in primo piano le fabbriche belliche e l’economia, di rivedere il messaggio profondo della rivoluzione francese: libertà, uguaglianza e fratellanza. Se non approfondiamo questo terzo slogan – fratellanza - fin quando l’homo sapiens sapiens, che pensiamo di essere noi, non punterà su questo terzo punto, discrimina una fetta dell’umanità e non sceglie politiche sociali intelligenti per l’integrazione, per la dignità e per il rispetto, ma sceglie la generalizzazione, andremo a cadere in altre forme di violenze.
L'Islam ha bisogno di riforma, ma non è il solo. Ogni essere umano ha bisogno di riformarsi sempre. L’individuo ha bisogno di riformarsi, come le comunità, le società, anche le religioni. Tutti questi eventi ci portano a riflettere e rivedere alcune delle nostre posizioni. Questo vale anche per una fetta dei musulmani nel mondo che hanno una visione stretta dell’islam, soprattutto quelle scuole coraniche che danno una visione particolarissima del Corano.
La riforma dovrebbe avvenire sicuramente nell’Islam ma anche l’Europa ha bisogno di una riforma, di uscire da questo eurocentrismo profondo che non vede nelle altre culture nessuna positività, nessuna forma di democrazia, di benessere.
Questo atteggiamento dovrebbe essere reciproco. Abbiamo bisogno di riformarci a livello umano, di ripensare la fraternità e di medicare le ferite non con le bombe ma con l’istruzione, il dialogo e l’incontro. Dobbiamo riformarci tutti, veramente.

martedì 27 gennaio 2015

San Giorgio Canavese: un modo diverso di essere missionari


Sono tornato a San Giorgio Canavese per incontrare un amico, un grande missionario dell’America Latina oggi paralizzato e bloccato su una carrozzina. Lui che ha annunciato il Vangelo a tanti, oggi non può più parlare, né scrivere, né leggere… Continua la sua missione in un altro modo, forse più prezioso ed efficace di prima: chi conosce i disegni di Dio? Con lui ho trovato altri fratelli anziani e ammalati che, dopo una vita spesa sulla breccia, sono ora a riposo. Una testimonianza di fraternità, di preghiera e di gioia. La prima lettura della liturgia di oggi, tratta dalla Lettera agli Ebrei, ha affermato che la nostra salvezza è avvenuta grazie al Sì che Gesù ha detto a quanto il Padre gli chiedeva. La grande opera della salvezza è legata al sì alla volontà di Dio; è la strada percorsa da Gesù, è la strada che siamo chiamati a percorrere anche noi.

Sarei voluto andare a san Giorgio per i cento anno della presenza degli Oblati, appena celebrati, ma non mi era stato possibile: meglio tardi che mai! Gli Oblati giunsero in questa casa nel 1913, portando gli studenti di teologia che girovagavano per l’Europa dopo l’espulsione dalla Francia. In questi cento anni da qui sono partiti centinaia di missionari per il mondo intero. Anch’io vi ho studiato per quattro anni. Un luogo familiare… eppure le montagne innevate dell’arco alpino che abbracciano il Canavese non mi sono mai sembrate così vicine come oggi: ammantate di neve, limpidissime, un’opera d’arte di Dio!


lunedì 26 gennaio 2015

A Saint Pierre d'Aosta vita consacrata e Chiesa locale

Castello di Saint Pierre
Priorato di Saint Pierre

Ieri Torino mi ha accolto piena di luce, con un cielo limpidissimo. Dall’alto  ha fatto sfoggio di tutta la sua bellezza, mostrandosi in ogni più minimo dettaglio, da Superga alla Mole Antonelliana, dal Po che l’accarezza ai palazzo reale. Poi su nella Valle d’Aosta, tra le montagne innevate, con i castelli che da destra a sinistra salutano al passaggio.
Oggi, per la prima volta sono stato a Saint Pierre, il paese che accoglie l’antico priorato dei Monaci di san Bernardo, ora casa di incontri e di spiritualità della diocesi. Una struttura che conserva il fascino delle pietre antiche e delle architetture massicce della montagna.
Gli Oblati, scacciati dalla Francia dalle leggi anticlericali del 1902, vi giunsero l’anno successivo portandovi il loro noviziato. Era la loro prima casa in Italia, dopo quella di Roma. Vi sono rimasti fin dopo la prima Guerra mondiale.

Ho trascorso la mattinata con una ottantina di sacerdoti e religiosi della diocesi, vescovo in testa. Ho potuto donare loro una visione positiva della vita consacrata oggi nella Chiesa e la bellezza di questa vocazione, così come Dio l’ha pensata.
Ho terminato evidenziando la reciprocità dei doni che possono scaturire dal comune cammino ecclesiale della vita consacrata e della Chiesa locale.


Le persone consacrate possono offrire la testimonianza del primato di Dio, della sequela di Cristo, dell’essenzialità del Vangelo come regola suprema di vita, della fraternità, e insieme condividere le vie della santità aperti dai loro fondatori e fondatrici. Possono arricchire la Chiesa locale dei più vari ministeri e offrire le competenze di servizi apostolici, pastorali, caritativi specializzati. Aiutare a leggere i segni dei tempi. Essere disponibili per compiti difficili e ingrati. Tenere aperta la Chiesa locale sul mondo intero, fare da ponte con le altre Chiese, dilatare la carità e l’orizzonte missionario. In una parola possono svolgere una funzione di segno e insieme di profezia.

A sua volta la Chiesa locale può offrire una tradizione di fede radicata sul territorio, la religiosità popolate, la concretezza del contatto con le persone, così urgente per i consacrati e le consacrate per superare il rischio «di essere talmente universali che diventano non-particolari. La vera universalità si esprime, prende corpo, nel particolare. Un “buon particolare” non è mai astrazione dall’universale... è vita concreta in cui è già presente l’universale». La Chiesa locale quando sente le persone consacrate non come corpo estraneo, ma come parte della propria comunità, può offrire la condivisione di gioie e difficoltà, può assumere i loro problemi, e può «collaborare con esse, nella misura del possibile, per il perseguimento del loro ministero e della loro opera, che sono poi quelli dell’intera Chiesa». Di qui l’invito rivolto da papa Francesco: «Fate sentire loro l’affetto e il calore di tutto il popolo cristiano».


domenica 25 gennaio 2015

Peppuccio: Come pensare, per essere lo stesso Gesù?


Giuseppe Maria Zanghì è partito improvvisamente. Un maestro, un fratello, un amico. Ha spalancato a tanti di noi orizzonti di pensiero vastissimi: un autentico intellettuale nel quale sapienza e scienza si fecondano reciprocamente e fondono, così come cuore e intelletto.
Ho ritrovato una sua pagina scritta il 16 luglio 2011, nella quasi fa riferimento al carisma di Chiara Lubich. Ne trascrivo alcuni passaggi:

La Chiesa, corpo di Cristo, ha iniziato il suo santo viaggio con la consapevolezza della chiamata a quell’unità che è il cuore dell’attesa di Gesù.
Poi, è entrata nel mondo, quello di allora, quello della grande cultura greca e romana.  E qui, nel dialogo, sono stati messi provvidenzialmente in luce altri e numerosi aspetti della Parola di Dio: l’unità, però, l’unità sostanziale, trinitaria, sempre più restava nello sfondo, non giganteggiava più.  Per questo, essa ha conosciuto le sue prove, i suoi smarrimenti, le sue eclissi.
Ma oggi, lo Spirito torna a dire, come allora all’inizio, una parola sola, sostanziale: “Padre, che tutti siano uno!”.
[Attraverso il carisma di Chiara Lubich] Dio ha rivelato l’unità come mai, penso, ancora aveva fatto nel cammino della Chiesa.  E la ha rivelata non con parole ma dando vita a una realtà nuova e, penso, ancora, finora mai esistita: l’Anima.
La Chiesa, dunque, è chiamata ad essere quella che deve essere: l’Anima del mondo. E l’umanità tutta è chiamata ad entrare nell’Anima, nel suo modo. 
E attraverso [questo carisma], Dio vuole portare i cristiani d’oggi a scoprire ciò che essi sono: lo stesso Gesù; vuol fare incontrare gli uomini e le donne di oggi con lo stesso Gesù: non il Gesù nel sacramento (anche), non il Gesù nelle strutture sante della Chiesa (anche), non – oserei dire – il Gesù vivente nei carismi della Chiesa (anche): ma lo stesso Gesù, il carisma unico che tutti li riassume mentre tutti li genera.
Abbiamo noi capito sino in fondo, di quella comprensione che non può essere data né dalla carne né dal sangue ma solo dallo Spirito Santo, quale è la vita che siamo chiamati a vivere, per essere lo stesso Gesù? Non il Gesù nella sola  interiorità del mio castello, ma il Gesù nell’interiorità del castello esteriore che è poi la stessa interiorità di Gesù, quella sua propria, nella quale entriamo uscendo dalla nostra interiorità, dal nostro castello pur abitato da Dio, per farci uno con i fratelli? 
Abbiamo capito che uomini e donne dobbiamo essere, per essere lo stesso Gesù? Come dobbiamo amare, come dobbiamo pensare, per essere lo stesso Gesù?


sabato 24 gennaio 2015

Passando lungo il lago di Galilea...


Passa lungo il mare di Galilea,
incontra per­sone concrete,
con un nome, un volto, un mestiere,
e le chiama a seguirlo.
Andavano tranquille per la propria strada
Ed egli cambia loro direzione.
Non seguiranno più le correnti del lago e dei pesci,
o i loro pensieri e desideri:
seguiranno il Maestro.
Non avranno più le loro cose e la loro casa,
avranno il Signore.
Non eserciteranno più il loro mestiere,
serviranno il Figlio di Dio e il suo vangelo in una nuova missione.

Percorri ancora le nostre strade,
vieni ancora a incontrarci nella nostra storia,
nei luoghi usuali del nostro vivere.
Guardaci ancora con quel tuo sguardo d’amore
di chi già ci conosce e ci chiama per nome.
Deponi nel nostro cuore la tua parola
d’invito: «Seguimi!».
Sollevaci dalla nostra banale quotidianità,
liberaci dai pesanti legami che ci legano alla terra,
attiraci a te perché di te
innamorati
di te solo viviamo, per te solo viviamo
e per il tuo Regno


venerdì 23 gennaio 2015

I primi passi degli inizi / 6 – Condividere

Sempre lungo il Giordano

Quinto passo: “Incontrò per primo suo fratello… e lo condusse da Gesù

Il paradosso è che l’esperienza del “rimanere” si trasforma in quella dell’“andare”. Quel pomeriggio si è impresso indelebil­mente nella memoria dei due, eppure non si sono fermati con Gesù. Troppo impellente l’urgenza di comunicare l’esperienza vis­suta, la scoperta della pienezza di vita: «Abbiamo trovato», e conducono altri a Gesù, in una catena ininterrotta. Iniziata con l’a­nello che congiunge Andrea a Simone, la sequenza dell’annun­cio passa di bocca in bocca lungo i secoli, fino a noi. Ora tocca a noi trasmettere…


giovedì 22 gennaio 2015

I primi passi degli inizi / 5 – Rimanere



Quarto passo: “quel giorno rimasero con lui”
Che fortunati i nostri due!
“Rimasero”, a indicare una relazione stabile, una profonda co­munione di vita e di destino. È appagato il desiderio di conoscere e di vedere. Hanno cercato Gesù e l’hanno trovano, l’hanno seguito e ora si fermano con lui: itinerario di ogni vocazione e suo approdo sicuro. Chi potrà più separarli da lui?

Inizia l’azione del “dimorare”, così ricca in questo Vangelo di Giovanni: dimorare nella sua parola (8, 31), dimorare nel suo amore (15, 9-10), dimorare in lui in una reciprocità di comunione esistenziale – dimorate in me e io in voi (15, 4). 

mercoledì 21 gennaio 2015

I primi passi degli inizi / 4 - Ancora sul vedere

Sempre foto del Giordano

Prima di passare al quarto passo, seguendo il cammino dei primi due discepoli dietro a Gesù, questa mattina mi sono soffermato ancora sul terzo: “videro dove dimorava”. Se “dimorare” indica penetrare nella realtà profonda delle cose e farla propria, i due “videro” chi era veramente Gesù.
Sono rimasto su questa parola perché di prima mattina mi sono arrivati una e-mail e un commento al blog che mi hanno aiutato a continuare la mia meditazione di ieri.
L’e-mail mi ha richiamato l’audace richiesta rivolta da Mosè a Dio: “Fammi vedere la tua Gloria!” (Es 33-34). La risposta è proprio nel Vangelo di Giovanni, come frutto dell’incontro con Gesù: “Abbiamo contemplato la sua gloria”. Siccome la dimora di Gesù è il seno del Padre, “Chi vede me, vede il Padre”. La richiesta di Mosè, interprete dell’anelito dell’umanità intera, è esaudita!
Il commento al blog della solita non meglio identificata Pierangela, subito pubblicato, dice: “Siccome Gesù continua la sua presenza tra noi, ma viaggia in incognito travestito da ‘ultimo’, lo vediamo nei volti dei sofferenti, dei delusi e offesi, dei bambini tristi, dei vecchi lasciati nella solitudine avvilente... I loro occhi pieni di lacrime sono gli occhi di Gesù”.
Alla domanda di vedere il Padre, Gesù risponde dicendo che chi vede lui vede il Padre. Alla domanda di vedere Gesù, egli ci risponde dicendo che chi vede il fratello vede il Signore.


martedì 20 gennaio 2015

I primi passi degli inizi / 3 – Vedere

Lungo le rive del Giordano



Terzo passo: “Videro dove egli dimorava”.
Rispondendo all’invito – “Venite e vedrete” - i due “andarono dunque e videro dove egli dimorava”.
Che cosa videro? Ce l’aveva raccontato Giovanni all’inizio del Vangelo: “E noi abbiamo contemplato la sua gloria”. È l’illuminazione. I due, scoprendo dove Gesù dimorava, scoprono chi egli è veramente.
Dove dimora Gesù? Forse egli avrà portato i due in una capanna di frasche che si sarà costruito lungo le sponde del Giordano… Ma sempre l’inizio del Vangelo di Giovanni ci dice che la vera dimora di Gesù è “il seno del Padre”: “E noi abbiamo contemplato la sua gloria… Il Figlio unigenito che è Dio, è nel seno del Padre”.
Non siamo più abituati a contemplare. Ci sembra una perdita di tempo. Ma senza contemplazione la vita inaridisce e muore. Abbiamo bisogno di vedere.
Alcuni greci si rivolsero ad Andrea, uno dei due che aveva visto per primo Gesù, e gli domandarono: “Vogliamo vedere Gesù”. 
Anche noi vogliamo vedere Gesù.


lunedì 19 gennaio 2015

I primi passi degli inizi / 2 – Seguire



Secondo passo: “Andarono”.
È la risposta all’invito di Gesù: “Venite”.
Per conoscere Gesù occorre seguirlo, accogliere la sua parola e aderivi, fidarsi di lui, qualunque cosa ci chieda, ovunque ci conduca.
Che bella avventura!


domenica 18 gennaio 2015

I primi passi degli inizi / 1 – Desiderare

Il Vangelo di questa domenica indica i primi passi compiuti dai primi discepoli. Essi rimangono paradigmatici per i primi passi dei discepoli di tutti i tempi.

Primo passo: “Rabbì – che, tra­dotto, significa Maestro –, dove dimori?”
Cos’è che muove Andrea e l’altro discepolo a pedinare Gesù? Il desiderio di conoscerlo, di scoprirne il mistero. Non gli chiedono semplicemente dove “abita”, ma dove “dimora”, un vocabolo che troveremo, pregno di significato, lungo tutto il Vangelo di Giovanni. Esso rivela il desiderio di conoscere chi è Gesù, qual è la sua vita, il tuo modo di esistere. Dunque i due discepoli sono mossi dal desiderio.
Nello stesso tempo sono provocati dalla domanda di Gesù: «Che cosa cercate?»; una domanda che li guida ver­so una consapevolezza più esplicita della motivazione che li ha messi sulle sue tracce.
«Che cosa cercate?»: sono le prima parole che Gesù pronuncia nel Vangelo di Giovanni. Egli sa che siamo in ricerca, spia dell’inquietudine del cuore umano, mai appagato, sempre in tensione verso qualcosa che è al di là.
I due hanno il desiderio di conoscerlo e insieme è Gesù che suscita in loro il desiderio e acuisce il senso della ricerca.
È il primo passo anche per noi: desiderare di incontrarlo, di conoscerlo, di entrare nell’identità della sua persona; tenere viva la tensione della ricerca.
Senza desiderio di scoperta non ci si mette in cammino, senxa la passione della ricerca non si va da nessuna parte.


sabato 17 gennaio 2015

Anche una briciola di verità dell’altro



Oltre a rilevare gli immancabili refusi, vero segno di autenticità dei miei blog (purtroppo), l’amico Guido Miglietta mi scrive alcune sue acute considerazioni sul monoteismo e politeismo di Bauman:

 Si vede come i sociologi vogliono lavorare per la pace, in questo modo: identificano un elemento del sistema sociale che crea tensione, e vogliono quindi ridurre questo elemento causa di conflitto per ottenere la pace. Nel caso in esame, l’elemento identificato come causa di conflitto, nel sistema sociale mondiale, è il “monoteismo”.  
Ma così facendo, prima di tutto scambiano Dio per “monoteismo” ed è già un primo errore, poi, associano la “fede in Dio” alla “causa di conflitti”, compiendo un errore di generalizzazione a livello sociologico; ma, soprattutto, pensano che “Dio” sia un elemento del loro sistema in esame, quindi operano un “riduzionismo” di Dio a un elemento del loro sistema. Il “riduzionismo” è un errore tipico delle scienze quando trattano di un oggetto che trascende le scienze stesse (tanto Dio come l’essere umano). In realtà, i sociologi quando parlano di Dio, non intendono “Dio” ma, “la credenza su Dio”.
Chiarito questo punto, allora c’è anche qualcosa di accettabile in quello che dicono, a meno che – come tu dici – non diventano veramente “ideologici”. Allora, se sono diventati “ideologici”, fanno del “sistema sociale a bassa tensione” il loro principio trascendente per cui vivere e operare.

Grazie Guido. Mi aiuti a vedere il positivo nel pensiero di questi sociologi (non intendono “Dio” ma, “la credenza su Dio”). Questo mette nuovamente in discussione quanti, come noi, crediamo in Dio. A volte abbiamo trasmesso un’immagine di Dio che non è quella vera e invece di lasciarsi avvolgere dalla Verità ce ne siamo fatti padroni chiudendoci alla sua complessità e ricchezza, espressa anche dalle verità che gli altri manifestano e che dobbiamo accogliere, fosse anche soltanto una briciola di verità, per crescere così, insieme, verso la Verità tutta intera.


venerdì 16 gennaio 2015

Il Dio liquido e liquidato di Zygmunt Bauman


Sto leggendo, per questioni di lavoro, un libro erudito, un dialogo tra Stanisław Obierk e Zygmunt Bauman: Conversazioni su Dio e sull’uomo. Mi si conferma l’idea che una conversazione su Dio può scaturire soltanto da una conversazione con Dio. Come si può parlare di lui se non si parla con lui e, prima ancora, non si lasci che sia Lui a parlarci? Papa Francesco sembra riecheggiare Evagrio Pontico – “È teologo solo chi prega davvero e solo chi prega è davvero teologo” – quando afferma che “il teologo che non prega e che non adora Dio finisce affondato nel più disgustoso narcisismo”.
Il libro di Bauman riprende una tesi in voga da trent’anni, secondo la quale occorre tornare al politeismo perché il monoteismo sarebbe violento per natura. Il politeismo “si associa a una pacifica convivenza fra i modi di essere uomini; al contrario, il monoteismo si accompagna a una lotta fratricida tra quei modi, a una guerra reciproca fino allo sfinimento o all’annientamento”.
Sono idee che vanno di moda, anche se in alcuni autori si fanno molto sfumate e intelligenti, come nel libro di Maurizio Bettini, Elogio del politeismo, che parla di “adozione di alcuni quadri mentali propri del politeismo”, non del politeismo come tale.
Questa storia dell’eccellenza del politeismo sul monoteismo, dovuta al suo irenismo, non nasce certo dalla storia. La guerra di Troia non era frutto del monoteismo. La più grande macchina da guerra mai esistita, quella dell’impero romano, fu costruita nel mondo politeista. Lo stesso per le orde devastatrici di Gengis Khan fino a quelle dell’impero nipponico.
Adesso molti invocano il politeismo come antiautoritario, risorsa alternativa all’arroganza del monoteismo che demarca confini tra male e bene generando conflitti. Meglio che non ci siano confini, che ognuno si crei la sua morale. Politeismo come liberà, tolleranza, rispetto, dialogo, comprensione.
Zygmunt Bauman, sociologo di grande levatura, con felicissima immagine ha descritto il mondo occidentale attuale come “società liquida”, senza più punti fermi, ove tutto cambia troppo in fretta, in maniera incerta e fluida. Su questa icona ha costruito la sua analisi. Adesso si avventura nel mondo di Dio e sembra proiettare in esso il mondo dell’uomo. Dio appare liquido anch’esso, e quindi si scioglie in molti idoli. Rendendo Dio liquido Bauman finisce col liquidarlo.
Mi sembra che la profonda analisi sociologica di Bauman si stia trasformando in ideologia. La realtà che descrive assurge a verità. Anche se una verità che lui stesso converrebbe nel riconoscere liquida, e quindi relativa. La verità con la V maiuscola avrebbe infatti in sé la medesima radice di intolleranza del monoteismo. Bauman conviene infatti con Maciej Kalarus quando “chiede che la parola ‘verità’, analogamente a vocaboli come forbici o pantaloni, possa essere usata solo al plurale… Effettivamente, usare la parola ‘verità’ al singolare… è un po’ come pretendere di applaudire con una mano sola… Con una mano sola si possono dare pugni sul muso, ma non applaudire”. La Verità entrerebbe in conflitto con le verità e si imporrebbe distruggendo le altre verità come false – i pugni sul muso –, così come l’unico Dio ucciderebbe gli altri dei. O meglio, i detentori della pretesa Verità entrano in conflitto con quelli che possiedono altre verità – ritenute dai prime come falsità – così come i seguaci dell’unico Dio entrano in conflitto i seguaci di altri dei – ritenuti dai primi come falsi dei e demoni.
Questi autori, che pure asseriscono di non credere in nessun Dio e in nessuno dei mille dei, suggeriscono il politeismo. Secondo loro si può scegliere come al supermercato, tra un Dio solo o molti dei. Sono idee che trovano accoglienza nell’agorà contemporanea e vengono promosse dal mercato dei consumi e dai centri occulti dei poteri, i quali si rafforzano proprio grazie al relativismo, alle incertezze, al disorientamento.  Questo in conformità con l’analisi della società liquida portata avanti nei tanti studi di Bauman, che ci aveva aperto gli occhi sulla realtà nella quale stiamo vivendo, dove da un individuo con una identità stagliata, forte, si sta passando ad un individuo che “spalma” la propria identità su una pluralità di dimensioni e di appartenenze. Ci aveva fatto comprendere le potenzialità insite in questo passaggio epocale, ma soprattutto dei rischi di quella che Durkeim chiamava “anomia”, crisi identitaria, incapacità di rispondere alla domanda fondativa della vita umana: “Io, chi sono?”. Ora mi sembra si sia arrivati al capolinea. Anche Dio si è sbriciolato, liquefatto.
E io dovrei scegliere tra un Dio solo o tra tanti dei, ossia un dio liquido, che avrà le stesse qualità dell’incertezza, del disorientamento, della frustrazione, della depressione dell’uomo liquido; un Dio a immagine e somiglianza dell’uomo liquido. Più ancora, non sono invitato a scegliere, ma a tornare decisamente al politeismo per poter così salvare l’umanità. A me sembra piuttosto un suicidio.
Come posso essere io a scegliere chi è Dio? Posso crearmi il mio Dio? Se lo facessi costruirei in ogni modo un idolo. Posso io decidere dell’esistenza di Dio? È Dio che ha creato me. E posso io decidere della Verità? È la Verità che mi possiede. Io posso soltanto accoglierla.
Non sono un filosofo. Sono solo un credente che ripete con i salmi: “Sei tu, Signore, la mia roccia… I miei piedi hai stabilito sulla roccia, hai reso sicuri i miei passi”.
Un povero credente, che non sa rendere ragione della sua fede a questi grandi intellettuali, e non sa rendere testimonianza dell’inesauribile ricchezza dell’unico vero Dio. Ne parlo loro in maniera troppo riduttiva, cosificandolo, facendolo apparire come un monolitico statico, senza lasciare intuire la sua densità di vita talmente pregna e infinita da essere plurale, non nella parcellizzazione svilita del politeismo, ma nella circolarità amante delle Tre divine Persone, tra le quali si attualizzano in maniera assoluta il dialogo e la pace.
Il politeismo riemergerà fintanto che non sapremo far risplendere sul volto della comunità cristiana il volto del Dio di Gesù Cristo che, unico e indiviso Dio, vive nella Trinità del Padre, Figlio e Spirito Santo.

giovedì 15 gennaio 2015

Kronos: Mangiati dal tempo o fissi nell'eterno?


Se Kairós è un giovane che corre e occorre prendere per il ciuffo, nella mitologia greca Kronos è un vecchio tiranno che se ne sta seduto a mangiare i figli che genera. Siamo mangiati dal tempo, tiranneggiati dal tempo che vorremmo fermare. Sembra che l’unica cosa che ci resti da fare sia “ammazzare il tempo”.
Mistero del tempo. “Io so che cos’è il tempo – diceva sant’Agostino –, ma quando me lo chiedono non so spiegarlo”.
E l’eternità? È prima o dopo il tempo?
Al di là di ogni filosofare, mi sono sempre piaciute le parole di Evdokimov: “Ciascun istante può aprirsi dal di dentro su un’altra dimensione, facendoci così vivere l’eternità dell’istante, nel presente eterno... L’eternità non è né prima né dopo il tempo, essa è la dimensione sulla quale il tempo può aprirsi”.
Né fagocitati dal tempo né ammazzare il tempo. È il presente, riscattato dalla sua vacuità, dal dramma del suo inesorabile scorrere via. Il presente: luogo dell'eterno, dell’incontro tra Dio e noi, della manifestazione che Dio fa di se stesso e della nostra conformazione a lui. L’eterno presente di Dio si dona nel presente attuale della storia e la fa eternità.
Gesù ha portato l’eterno nel tempo. Il presente mi giunge carico di eternità e tutto diventa dono di Dio per me. 

mercoledì 14 gennaio 2015

Il ciuffo di capelli di Kairós

Questo non è Kronos.
Ho semplicemente ritratto il Bacchino 
di piazza del comune a Prato.
Comunque il ciuffo ce l’ha!

Kairós, in greco, è il tempo propizio, favorevole, ricco di opportunità, che offre un’occasione unica, da non perdere, che occorre prendere al volo. Non è il monotono, kronos (davvero piatto… cronologico!)
Era raffigurato come un giovane con un bel ciuffo di capelli sulla fronte. Occorreva proprio prenderlo al volo, perché dietro… era calvo! Una volta passato non potevi più prenderlo.
Qual è il tempo da prendere al volo?
Ogni momento!
Ogni momento è il momento giusto per volgere un pensiero a Dio, per ascoltare qualcuno che ha voglia di confidarsi, per compiere bene il mio lavoro, per accogliere una gioia o un dolore di chi ci capita di incontrare, per accettare qualcosa che ci va storto, che ci fa male, per riposare con serenità, per leggere un libro…
Ogni momento viene con un dono, ha un segreto da rivelarmi. Basta scoprilo e accoglierlo, senza farselo scappare prima di averlo… acciuffarlo per i capelli.

martedì 13 gennaio 2015

Parole efficaci


Anche il Vangelo della liturgia di oggi colpisce nel segno. Gesù nella sinagoga di Cafarnao parla con “autorità”.
Le sue sono parole “efficaci”, operano. Al punto da cacciare il diavolo. Parole che liberano l’uomo da ogni schiavitù.
Ho letto un breve commento di Baldovino di Ford (1100) sull’efficacia della parola di Dio:
“È efficace nella creazione, nel governo, nella redenzione del mondo. Che cosa potrebbe essere più efficace e più potente? È efficace quando opera, è efficace quando viene predicata. Infatti non torna indietro senza effetto, ma produce i suoi frutti dovunque viene annunziata (Is 55,11). La parola è efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio quando viene creduta e amata. Che cosa infatti è impossibile a chi crede (Mc 9,23), che cosa è impossibile a chi ama?"

Così dovrebbe essere la nostra “Parola di vita”.
Le reazioni continuano ad essere incoraggianti:

* Era da un po’ di tempo che la mia attenzione andava al brano della Samaritana, non so perché! Quindi una provvidenza, una sorpresa questa PdV col tuo commento. Ringrazio la Madonna, per avermi disposto a questo dono preparato da Lei. L’altro dono è stata la tua intervista sulla Parola apparsa su Città Nuova a Novembre. Ieri, incaricato di presentare la PdV, ho avuto modo di presentarla in Parrocchia dove mensilmente si legge la PdV, e mi è sembrato ben accolta nei suoi punti, e come una scossa per renderla viva... il rischio infatti è di ridurre a una serie di riflessioni. Si tratta di credere!

* Davvero molto bello e ben calibrato per un pubblico larghissimo!
Grazie. Non è una cosa da poco rendere questo servizio all’Opera… ed è del tutto all’altezza, almeno così mi è sembrato

* Il commento ci aiuta a mettere più facilmente il Vangelo nella nostra vita!

* Il commento è molto semplice ma profondo. Ammiro la tua sintesi.

* Voglio ringraziarti per il bellissimo commento alla Parola di vita, l'ho trovato molto profondo e mi sta aiutando molto a vivere questa parola.

* Sono molto contenta della parola di vita anche perché viene trattato molto bene il contesto storico.

lunedì 12 gennaio 2015

Chi guida la storia?



Questa mattina a messa mi ha fatto una certa impressione l’inizio del Vangelo nella traduzione della CEI. Si tratta di una indicazione cronologica: “Dopo che Giovanni fu arrestato…” (Mc 1, 14). Chi è che ha compiuto l’arresto? Il re Erode, tramite le sue guardie. Chi dunque guida la storia? Erode, il male.
Ma il testo greco dice diversamente: “Dopo che Giovanni fu consegnato…”. Da chi fu consegnato? Da Dio! Il verbo paradìdomi è usato qui come “passivo teologico”, come si dice con termine tecnico: dietro vi è l’azione di Dio. È il verbo che tornerà nel racconto della passione di Gesù: è il Padre che consegna il Figlio alla morte per tutti noi; è Gesù che consegna se stesso per tutti noi.
Anche dietro il male – la morte di Giovanni Battista, la morte di Gesù – c’è il bene, l’azione di Dio.
È Dio che guida la storia, non altri, anche quando egli rimane nascosto e la storia appare incomprensibile.


domenica 11 gennaio 2015

La vita consacrata non è opzionale ma essenziale nella Chiesa

Cosa c'entra questo disegno con la vita consacrata?
Niente... ma l'ho fatto mentre preparavo la relazione, pensando al lago di Albano
Che nella Chiesa la vita consacrata ci sia o non ci sia è lo stesso. Non ha una grande valenza, ne se può fare a meno. In genere è un fattore positivo, qualcosa di buono, ma rimane un elemento piuttosto decorativo, come le palline dell’albero di Natale. Difatti i manuali di ecclesiologia, su 700 pagine ne dedicano sì o no 3 o 4 questa realtà, ci sono cose ben più importanti di cui parlare.
«Cosa sarebbe la Chiesa – si è chiesto in proposito papa Francesco – senza san Benedetto e san Basilio, senza sant’Agostino e san Bernardo, senza san Francesco e san Domenico, senza sant’Ignazio di Loyola e santa Teresa d’Avila, senza sant’Angela Merici e san Vincenzo de Paoli. L’elenco si farebbe quasi infinito, fino a san Giovanni Bosco, alla beata Teresa di Calcutta?» (Lettera apostolica in occasione dell’anno della vita consacrata, 21 novembre 2014). Cosa sarebbe la Chiesa senza la santità, senza i carismi di questi grandi santi che continuano ad essere presenti grazie alle famiglie da loro generate? Che Chiesa povera, incapace di attrarre. Ne apparirebbe soltanto la struttura.
È su questo tema che oggi, assieme al vescovo Crociata, ho parlato in un convegno dedicato a "La Vita consacrata nella Chiesa particolare. Istanze ed esiti per un cammino nella coessenzialità dei carismi"
Dopo aver citato Paolo Vi mi è stato facile ricorrere a Paolo VI: «La tradizione della chiesa - è forse necessario ricordarlo? - ci offre, fin dalle origini, questa testimonianza privilegiata di una ricerca costante di Dio, di un amore unico ed indiviso per Cristo, di una dedizione assoluta alla crescita del suo regno. Senza questo segno concreto, la carità che anima l’intera chiesa rischierebbe di raffreddarsi, il paradosso salvifico del vangelo di smussarsi, il "sale" della fede di diluirsi in un mondo in fase di secolarizzazione» (ET, 3).
La santità e le vie di santità aperte dai carisma, sono segno per tutta la Chiesa e hanno la Chiesa universale come ultima destinataria. Lo sono l’altissima povertà di mente e di cuore di san Francesco, l’orazione di santa Teresa, gli esercizi spirituali di sant’Ignazio, l’amore e il servizio ai poveri di san Vincenzo de Paoli, la cura dei giovani di don Bosco...
Assieme alla santità, la vita consacrata tocca la missione stessa della Chiesa. I movimenti religiosi nati dai carismi sono diventati naturali evangelizzatori, ponendosi all’avanguardia dell’annuncio del Vangelo. Basterà pensare al diffondersi del monachesimo in Gallia, all’invio di Agostino di Canterbury e dei suoi monaci in Inghilterra, alla peregrinatio di S. Colombano, su su fino alla penetrazione del cristianesimo in Cina e nel Nuovo Mondo da parte degli Ordini religiosi, all’esplosione missionaria dell’Ottocento, che si estende dall’Africa all’Oceania, fino alle missioni artiche tra gli Eschimesi. L’opera di evangelizzazione è stata svolta quasi esclusivamente dal monachesimo e dalle successive forme di vita religiosa, fino ai recenti istituti tipicamente missionari, in definitiva dai movimenti carismatici.
Anche qui Paolo VI ha scritto parole efficaci: «Ma chi non considera l’apporto immenso che essi hanno dato e che continuano a dare all’evangelizzazione? Grazie alla loro consacrazione religiosa, essi sono per eccellenza volontari e liberi per lasciare tutto e per andare ad annunziare il Vangelo fino ai confini del mondo. Essi sono intraprendenti, e il loro apostolato è spesso contrassegnato da una originalità, una genialità che costringono all’ammirazione. Sono generosi: li si trova spesso agli avamposti della missione, ed assumono i più grandi rischi per la loro salute e per la loro stessa vita. Sì, veramente, la Chiesa deve loro molto» (EN 69).
Toccando intimamente la vita e la missione della Chiesa i carismi risultano ad essa indispensabili, elemento irrinunciabile e qualificante del corpo della Chiesa (almeno che non ci si accontenti dello scheletro).




sabato 10 gennaio 2015

Mario Borzaga: Romanzo d'amore



Romanzo d’amore. Così Mario Borzaga intitolava la sua vita e così Mario Damosso ha intitolato il suo libro su questo grande martire del Laos.
Quello scritto da Damosso è un autentico romanzo, affascinante, scritto benissimo, una poesia, capace di cesellare particolari di animi e cose. Ho letto soltanto le prime 100 pagine, per centellinarlo lentamente, un capitoletto al giorno, resistendo alla voglia di divorarlo in una notte.
Romanzo d’amore. Ma l’amore è forte come la morte. Il Romanzo d’amore di Mario Borzaga è il romanzo di una vita donata, fino alla morte. Inizia con Mario che sta scavando la sua tomba, con i mitra puntati dei Pathet Lao, prima dell’esecuzione. Davanti a sé Armando che lo interpella. Il libro è un dialogo d’ultimo istante tra Mario e Armando che quale, come in un lampo, riappare tutta la vita. Forse il momento della morte è proprio così: la capacità di ripercorrere la vita intera prima di consegnarla alla misericordia di Dio. Finzione letteraria geniale.
Armando appare nella vita di Mario Borzaga all’improvviso, verso la fine della sua vita: ha appena 29 anni! È solo sulle montagne del Laos, in piena guerra. Sente tutto il peso della solitudine e della propria fragilità. La sera, quando accende la lanterna, la flebile luce gli mostra la cruda realtà della sua povertà e della sua miseria. «È impressionante – scrivevo nella biografia che ho pubblicato nel 2000, Il sogno e la realtà – la capacità in un giovane della sua età di tanta introspezione e di così profonda analisi della vita interiore. Non ha quasi più il coraggio di guardarsi in faccia, di scrivere qualche cosa di se stesso, tanto la situazione è dura, difficile, pericolosa, al limite della sua resistenza e sopportazione, soprattutto la fame, di cui peraltro non parla quasi mai. L’analisi che fa di se stesso, a volte è un po’ troppo cruda, ma reale. Non vuole nasconderla, non accetta nessuna concessione o benevolenza. Allora scrive un nuovo tipo di diario, che intitola Diario di un Missionario di montagna. È un diario in terza persona che racconta di un certo Armando, quasi a voler parlare di un altro, tanto grottesca gli appare la propria situazione».

Oggi, a Roma, Damosso ha presentato il suo libro. Momento intenso, che ci ha fatto rivivere la vita di Mario, quella che lui diceva essere "il più bel romanzo del mondo, perché è un romanzo d'amore" .



venerdì 9 gennaio 2015

Parlo indonesiano



Non avrei mai pensato di poter condividere con i miei fratelli Oblati dell'Indonesia la mia esperienza del Fondatore. Grazie all'iniziativa di p. Henry Asodo di tradurre in indonesiano i miei appunti di ritiro - "Ripartire da Aix" – posso giungere fino in queste isole da me così lontane. P. Henry ha infatti pubblicato il mio ritiro in una bella edizione bilingue: indonesiano-inglese, 282 pagine. In copertina ha messo addirittura uno dei miei acquerelli con il chiostro degli Oblati ad Aix. 
Ho dato questo ritiro la prima volta al Consiglio generale, poi agli Oblati d'Ucraina, Canada, Francia, Hong Kong Sri Lanka, Madagascar, Sud Africa, Senegal e Guinea Bissau.
Ogni volta è stata un’esperienza nuova, che mi ha permesso di comunicare la mia comprensione della vocazione oblata e insieme di scoprire la bellezza di questa vocazione vissuta in contesti tanto diversi.
Mi entusiasma parlare delle origini della nostra famiglia religiosa. Torno ad Aix-en-Provence non per fare dell'archeologia o per copiare il passato, ma per scoprire l'idea ispiratrice che essi custodiscono. Mi interessa sapere cosa ha fatto sant'Eugenio e la comunità delle origini non per copiare, ma per capire perché lo hanno fatto, con quale spirito lo hanno vissuto.
Mi piace narrare gli inizi della nostra storia perché facendo così si può cogliere il carisma nel suo divenire. Si comprende come Dio ha preparato sant'Eugenio nel periodo precedente  l'ispirazione, si rivivono i momenti dell'illuminazione, si ripercorre con lui il cammino evolutivo, il filo genetico del carisma, gli elementi fondamentali che lo compongono.
Si va alle origini perché esse racchiudono il messaggio profetico che dobbiamo rivivere oggi. Il grande musicista Gustav Mahler diceva: “Tradizione è custodire il fuoco, non adorare la cenere”.
Mi auguro che queste pagine possano contribuire a tenere acceso il fuoco del carisma e che esso incendi sempre nuovi cuori.