Sono stato nella comunità di Marino per guidare il ritiro
mensile. Avrei voluto portare in dono un pane, ma non ce l’ho fatta a passare dal
forno e mi sono presentato a mani vuote. Avrei potuto portare il panettone, che
m’è rimasto, ma volevo portare proprio un pane, a significare che la festa di
Natale è finita ed è iniziato quello che la liturgia chiama “tempo ordinario”.
I tempi straordinari sono quelli della festa e vorremmo che finissero mai. Abbiamo
paura dei tempo ordinari, quasi fossero tempi morti. Infatti è appena finito
Natale ed ecco subito attaccato il carnevale.
Il tempo ordinario fa bene. Come la pioggia fine fine di
oggi. Non è quella torrenziale che provoca frane, smottamenti, inondazioni. Quella
di oggi è una pioggia “ordinaria”, che non si fa notare troppo e che fa bene
alla terra.
“Ordinario” spesso lo si usa in senso negativo,
peggiorativo e lo si affibbia a ciò che non ha valore, di poco conto,
insignificante, se non scadente. La sua etimologia è invece interessante, viene
da “ordo, ordinem”, le cose messe in ordine, in fila. Mia mamma per alcuni anni
ha fatto l’ordinatrice. Vedevo come lavorava all’orditoio: disponeva i fili in
ordine, preparava l’ordito, che poi la spola del telaio, con la trama, avrebbe
portato al tessuto. Non c’è stoffa senza l’ordito.
Ci vogliono i momenti un po’ caotici e gioiosi della
festa, così come ci voglio anche quelli nei quali gli avvenimenti si succedono “ordinati”,
come i fili dell’ordito. Nella semplicità, nella quotidianità, nella fedeltà
alle piccole cose, nella ripetitività. Forse anche un po’ nella monotonia. Ma
la crescita ha bisogno di tempo, di calma, di continuità… come lo scendere silenzioso
della pioggia di oggi.
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