martedì 31 gennaio 2023
lunedì 30 gennaio 2023
Fiorellino di un albero millenario
La scelta è sempre personale, unica, irrepetibile. Ma
impossibile senza gli altri. Andrea e il suo compagno seguono Gesù perché Giovanni
Battista l’ha indicato come l’agnello di Dio. Pietro incontra Gesù perché
Andrea gliene ha parlato. Natanaele si decide, controvoglia, ad andare da Gesù
perché Filippo se lo tira dietro…
Ognuno di noi è frutto delle generazioni che ci hanno
preceduto, anche quando non ne siamo consapevoli. Le esperienze degli altri si
sono sedimentate, in maniera misteriosa, nei percorsi della storia. Spesso senza saperlo, abbiamo dentro
il vissuto dei nonni e dei genitori, dei parenti più lontani, abbiamo
assimilato l’insegnamento degli insegnanti e dei professori, le confidenze degli
amici, le divergenze con chi non la pensa come noi. Siamo impastati di cielo, di
terra, di orizzonti, di sole, di boschi, di mare, di cibo, di arte, di
bellezza, di bruttezza… Un bambino è sempre l’ultimo fiorellino di un albero
millenario.
Così la nostra fede. Anche quando si esprime nel più
intimo e personale rapporto con Dio, è sempre debitrice di chi ci ha preceduto
e ci accompagna. Quanta gratitudine, per i tanti che conosciamo, per i tanti
che non conosciamo.
domenica 29 gennaio 2023
Un rapporto personale
In continuità con quanto ho scritto questi giorni sulla
persona, oggi, pregando i misteri della resurrezione, mi sono visto davanti le
donne e Maria Maddalena, gli apostoli e Tommaso: due scese analoghe. In entrambe
Gesù si manifesta prima a tutto un gruppo, poco dopo a una singola persona del
gruppo.
Mi è sembrata una conferma dell’amore di Gesù per tutti e
per ciascuno, del suo modo di rapportarsi: cura tutti e ciascuno.
La fede di tutti ha bisogno di essere appropriata e
vissuta nella fede personale di ognuno, sempre unica. La fede di ognuno deve potersi rispecchiare nella fede di tutti.
sabato 28 gennaio 2023
Beatitudini: specchio del nostro vivere
Ascolto le beatitudini e in esse vedo riflesso Gesù. Sono la sua
biografia. Rivelano la sua identità.
Povero di spirito e puro di cuore: è luminosa trasparenza di Dio. Si è fatto talmente vuoto e niente da far passare tutto e solo Dio. Ha pianto su Gerusalemme facendosi carico della nostra durezza di cuore, e ha pianto sull’amico morto condividendo ogni nostro soffrire. Ha patito persecuzione e ingiustizia come gli ultimi della terra. Ha fatto suo ogni nostro male così che sempre potessimo scoprirvi la sua beatitudine. Mite e misericordioso ha rinunciato a ogni forma di violenza e di vendetta, dimenticando il male che gli abbiamo fatto e rendendo bene per male. Ci aspetta sempre, con pazienza, anche quando ci fermiamo o ci perdiamo e sempre ci perdona. Ha provato fame e sete di giustizia, di rapporti veri, smascherando ipocrisie e falsità, e ha costruito relazioni d’armonia e di pace.
Ascolto le beatitudini e scopro come egli mi vede, come mi vorrebbe.
Mi vuole povero di spirito e puro di cuore per possedere soltanto Dio,
in pienezza, senza costruirmi idoli vani.
Mi insegna a scoprire la forza della beatitudine in ogni mia pena,
in ogni patire. Ma prima ancora mi insegna a soffrire e piangere non su di me,
in inutili ripiegamenti, ma con chi soffre e chi piange, partecipando e
condividendo.
Mi mostra come l’amore copre lo sgarbo dell’altro, si sforza di
perdonarlo e sempre spera in lui.
Mi ricorda che non posso starmene in pace finché c’è guerra e
ingiustizia attorno a me. E non debbo darmi pace se non lavoro per la giustizia
e non costruisco la pace.
Ascolto le beatitudini e vi vedo riflesso il volto della Chiesa
come tu l’hai voluta.
Non cerca appoggio nel potere, né ripone fiducia nelle ricchezze,
ma solo in Dio, suo unico Signore. Soltanto se semplice, povera e pura potrà
godere delle beatitudini e mostrare a tutti le ricchezze e la bellezza del
Cielo.
Nella condivisione delle angosce dei poveri e delle persecuzioni
degli ultimi trova la certezza dell’adempimento della sua missione: portare il
regno dei cieli. Non nel plauso, nel consenso, nell’adulazione, ma nella
derisione, nell’emarginazione, nella contestazione, nel rifiuto la somiglianza
piena con Cristo e quindi la verità dell’essere suo corpo.
Mite e misericordiosa rifiuta ogni arroganza, accoglie tutti, cammina
con tutti, serve tutti, madre e sorella.
Difende i poveri, i deboli, chi patisce ingiustizia e lotta per la
pace, con tutte le sue forze, finché non sia instaurato il regno di amore e di
pace.
venerdì 27 gennaio 2023
Buone notizie dal Vaticano
Dalla grande finestra della sala dei congressi si
spalanca piazza san Pietro in tutta la sua bellezza. Per due giorni ho avuto
davanti questa visione dall’alto. Sono con 21 consultori del Dicastero per il
clero e una ventina di membri, sotto la guida dal cardinale. Anche quattro laici – due
donne e due uomini –, due suore… Una squadra meravigliosa che in poche ore si è
amalgamata in maniera sorprendete.
L’11 ottobre scorso Papa Francesco mi ha nominato
consultore di questo Dicastero. La notizia ha fatto abbastanza scalpore, sono
finito addirittura in prima pagina del giornale “Toscana Oggi”. Da anni sono
consultore del Dicastero per la vita consacrata, ma questo non fa notizia…
Abbiamo iniziato con la presentazione di quanti lavorano in questo Dicastero e abbiamo visita tutti gli uffici, l’archivio, la
biblioteca, la cappella, le salette di rappresentanza… Don Lazzaro (così vuole
essere chiamato il Cardinale) ha fatto davvero casa a tutti. È sua questa
iniziativa di non interpellare soltanto individualmente l’uno o l’altro consultore per
singoli problemi, ma di radunare tutti insieme contemporaneamente in autentico
stile sinodale, per condividere temi, problemi, proposte riguardanti le vocazioni,
i seminari, i diaconi, i preti, le situazioni economiche delle diocesi… Ci
siamo resi conto del lavoro immane che si sbriga in quelle stanze, dove
giungono richieste da tutto il mondo, e dove si esercita un autentico servizio al Papa a cui tutti si
rivolgono.
Quante cose brutte si dicono del Vaticano. Noi abbiamo
visto cose belle…
giovedì 26 gennaio 2023
Sempre col Papa
La strada del Papa è in salita. Perché un attacco così diretto?
Perché sta seguendo la via di Gesù.
Noi sempre col Papa.
mercoledì 25 gennaio 2023
Sperimentare di persona
Va bene la testimonianza degli altri, può essere eccellente, ma infine devo fare io la mia esperienza personale.
Sto leggendo gli inizi del ministero
di Gesù e nel Vangelo di Giovanni questo è un dato costante. Chi mette in
dubbio la testimonianza del Battista: “Ecco l’agnello di Dio”? Eppure i suoi
discepoli devono andare di persona a conoscere Gesù: “Maestro, dove abiti?”, e
andarono e stettero con lui. Era necessaria l’indicazione del Battista, ma poi dovevano
fare la loro insostituibile esperienza. Andrea testimonia che ha incontrato il
Cristo, ma Pietro deve andare a incontrarlo di persona. Filippo lo testimonia a
Natanaele, ma ci vuole un incontro a tu per tu con il Maestro. La Samaritana
racconta di Gesù alla gente della sua città, ma alla fine le dicono: “Crediamo
non perché ce l’hai detto tu, ma perché noi stessi abbiamo udito…”. E alla fine
del Vangelo stessa scena: Gli apostoli non credono alla Maddalena, devono vedere
loro stessi il Risorto; Tommaso non accetta la testimonianza degli apostoli
fino a quando non si trova davanti al Risorto.
Possiamo ascoltare, leggere,
avere testimonianza eccezionali…, ma senza un rapporto personale, senza coinvolgimento…
Ti portano fino a un certo punto, poi l’ultimo passo
devi farlo tu. Non si
crede mai per interposta persona. È sempre frutto di un a tu per tu.
martedì 24 gennaio 2023
Persone responsabili: come?
La settimana scorsa sul blog ho scritto sul senso di responsabilità che ogni persona è chiamata ad assumersi nel proprio ambito familiare, sociale, ecclesiale… Questo vuol dire, mi ha chiesto qualcuno, che dobbiamo essere in continua agitazione e portare avanti programmi su programmi?
Sono tante le modalità di assumersi le
proprie responsabilità ed essere pienamente attivi. Dipende dal compito che si
ha, dall’età, dalle energie… Più si va avanti nella vita e più tutto si essenzializza,
si semplifica. L’impegno andrebbe coniugato sempre più con la leggerezza.
Certamente occorre svolgere le proprie mansioni con impegno, serietà, coscienza;
fare con generosità la propria parte in tutto e con tutti; essere creativi… Ma
ci sono anche altri modi. Ad esempio:
Pregare, mettendo tutto nelle mani di Dio che
vede e provvede, con piena fiducia, sapendo che tutto e tutti sono suoi e che
tutto e tutti gli stanno a cuore più di quanto non lo stiano a noi.
Accettare con amore la propria impotenza
davanti a situazioni che non hanno soluzione, nella consapevolezza che anche
questo patire porta frutto.
Testimonianza la bellezza e la gioia delle
proprie scelte, senza pretese né giudizi.
Il mondo la abbiamo ricevuto in dono quando
siamo venuti al mondo. La lasciamo in dono a chi ci segue…
lunedì 23 gennaio 2023
domenica 22 gennaio 2023
Ucraina 23 anni fa
Rileggo una pagina del mio diario del 2000:
Ho assistito ad entusiaste manifestazioni
popolari di fede. Il giorno della Trasfigurazione, che il calendario orientale
colloca il 19 agosto, è anche il giorno del ringraziamento per i frutti della
terra. Ogni famiglia va a messa con un mazzo di fiori guarnito con una mela o
un altro frutto. A L’viv la chiesa della Trasfigurazione è troppo piccola per
contenere la gente. (Anche le altre chiese di città e di villaggio sono troppo
piccole; viaggiando vedo più gente fuori di quanta ce n’è dentro). Quest’anno
ricorre il decimo anniversario della riapertura della cattedrale di L’viv. Per
l’occasione l’afflusso della gente è più numeroso del solito. Giungono dalla
varie parrocchie, in processione, con in testa gli stendardi.
L’unico modo per poter seguire la
celebrazione stando fuori, come capita a me, è quello di seguire il movimento
degli stendardi che, sulle gradinate e nella piazza, si muovono a ritmi
cadenzati, quasi prostrandosi ogni volta che dentro si ripete il nome della
Santa Trinità.
Al termine della
Santa Liturgia il Patriarca esce a benedire i frutti della terra. È una
benedizione consistente: gli inservienti sono armati di capaci secchi d’acqua.
Quindi la processione: in testa gli stendardi portati da uomini e donne in
costume, segue uno stuolo di monache, i preti, il patriarca benedicente e
infine gente a non finire, che si ammassa in maniera caotica. Gli uomini
cantano a squarciagola con voci potenti: i cosacchi dovevano cantare allo
stesso modo! È una festa di massa.
Mentre rileggo le mie
pagine di diario guardo le foto di allora. Quelle pubblicate su “Missioni OMI”
non ce l’ho più perché non mi sono state rese. Ma le rivedo comunque sulla rivista.
Ho davanti a me, da molti giorni, la foto che pubblicai sull’ultima pagina. Mi piace guardare quella bambina in braccio al padre, con un gran fiocco in testa, contenta. E
penso a dove sarà adesso che avrà sui 27 anni. E suo papà? Cosa avrà fatto la
guerra nella loro famiglia? Una guerra lontana, ma con volti concreti…
sabato 21 gennaio 2023
Domenica della Parola di Dio. Un’esperienza
Domenica della Parola di Dio.
In uno dei miei libretti a tiratura limitata (di questo mi sembra ne ho fatto 4 copie) ho raccontato il mio rapporto con la Parola di Dio:
Il giorno dell’Epifania del 1962 mio padre mi regalò il
libro dei Vangeli, «Per esserti oasi di pace e di ristoro alla tua formazione
evangelica», come scrisse nella dedica. Avevo tredici anni. Quel libro segnò
una tappa nuova del mio viaggio nella Sacra Scrittura.
Venticinque anni più tardi, come diacono, iniziai ad
annunciare la Parola di Dio nella parrocchia dei santi Pietro e Paolo all’EUR.
Ogni domenica, in Quaresima, parlavo del vangelo con una gioia mai provata
prima d’allora. Alla fine della messa lasciavo alle persone una pagina con
alcune note su come accogliere e viverla Parola di Dio. La domenica di Pasqua
annotai: «Mai come oggi tante persone davanti a me. Mai le parole mi sono
uscite con tanta abbondanza e convinzione. Mi sembra d’essere un profeta!
Penetrano le mie parole, come pioggia di primavera. Vedo la gente rinverdire,
pervasa da una gioia soave e profonda, la stessa che mi canta in cuore. Il sole
di Pasqua illumina di nuova luce. Parlo a duemila persone, anzi ad una sola
persona: tutte fuse dall’amore. Come un profeta annuncio il Cristo Risorto vivo
e presente. È bello parlare di Lui». Vent’anni più tardi quei foglietti
distribuiti all’EUR divennero la presentazione del Vangelo e Atti degli Apostoli di Città Nuova, che dal 1997,
continua ad essere stampato in numerose edizioni.
L’anno precedente, 1996, avevo iniziato a pubblicare
sulla rivista “Nuova Umanità” quattro fortunati articoli, frutto della
frequentazione della Scuola Abbà, cenacolo di vita e di studio attorno a Chiara
Lubich che ha forgiato la mia vita e il mio pensiero: Ogni Parola di Dio contiene il Verbo, Vivere la Parola per essere la Parola, Lampada per i miei passi è la tua parola, I carismi parole di Dio vive.
È del 2003 il libro Fuoco
è la tua Parola. Come vivere il Vangelo, che contiene le meditazioni
offerte durante gli esercizi spirituali alla conferenza episcopale della
Repubblica Ceca, cui fa seguito Luce è la
tua Parola, con altre meditazioni del medesimo ritiro. Il sottotitolo di
questo secondo libro – Dialogo
interreligioso e annuncio del Vangelo – non era felice, sarebbe dovuto
essere: La Bibbia nella vita della Chiesa.
Sono seguiti altri articoli, riguardanti soprattutto la
Parola di Dio e la vita consacrata, fino all’ultimo libro in materia: Carismi, Vangelo che si fa storia.
Nel frattempo erano nati altri libri riguardanti la
Bibbia, legati a momenti e circostanze particolari.
Parlaci di Lui. I racconti di Cafarnao (2007) è l’eco
del mio primo viaggio in Terra Santa nel giugno 1977. «Tutto mi parla –
scrivevo allora –, da Nazaret al Tabor, da Gerusalemme a Gerico. Tocco il Dio
fatto carne. Non l’Assoluto incomunicabile, non l’Ente inaccessibile, non il
mistico Uno, non il Motore immoto, ma un Dio capace di percorrere le nostre
strade, di condividere la nostra debolezza e fragilità, di stancarsi e di aver
sete e fame, di addolorarsi e di piangere, di provare turbamento e commozione:
un Dio dal cuore di carne». Ne è nata una piccola pièce teatrale e, in Brasile,
un audiolibro, che accompagna il volume tradotto in portoghese.
Essere Tua Parola, del 2008, è una serie di testi scelti di Chiara Lubich,
piccolo omaggio in occasione della sua morte.
Nel 2010 appare La
storia di Dio e la mia. La Bibbia fonte di ispirazione per l’uomo, nato a
Cuba, all’Avana, nell’Aula Bortolomeo de Las Casas. «Per tre sere consecutive –
ho scritto nell’introduzione –, mi sono trovato con un pubblico vivace ed
eterogeneo: non credenti, militanti del Partito, agnostici, credenti cattolici,
greco-ortodossi, protestanti... Insieme abbiamo letto testi di poeti,
contemplato immagini di grandi artisti, ascoltato brani musicali, visto
frammenti di film, tutti ispirati alla Bibbia. Abbiamo ascoltato la Bibbia
stessa con le sue sorprendenti descrizioni della natura, della bellezza
dell’uomo e della donna, con l’espressione dei sentimenti e dei valori umani.
Per chiederci infine se questo grande codice culturale non fosse anche una
comune fonte di ispirazione per la vita di credenti e non credenti, o almeno il
punto di partenza per un confronto critico per affinare il cuore e ricercare le
motivazioni più profonde del vivere».
Nel 2009 pubblico Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche
il tuo cuore. Facciamo festa con il Vangelo di Luca (2007), seguito da In cerca di perle
preziose. Facciamo festa con il Vangelo di Matteo (2010) e Il seme
germoglia e cresce. Facciamo festa con il Vangelo di Marco (2014). Non si
tratta dei classici commenti ai vangeli festivi, ma del frutto di una singola
esperienza, come ho raccontato nel secondo volume: «“Quando vado in chiesa la
domenica spero sempre di tornare a casa piena di gioia, di luce, di speranza,
così da poter affrontare la settimana con una nuova carica di vita divina.
Invece qualche volta, alla fine della messa, mi ritrovo avvilita e triste per
le parole ascoltate nell’omelia”. Anziana, non vedente, sola anche se
attorniata da figlie e nipoti, mia mamma mi aveva confidato questo suo patire.
“Ogni domenica condividerò con te la mia lettura del Vangelo e la mia
preghiera”, le risposi con slancio. Così è stato. Domenica dopo domenica, per
tre anni, sono rimasto fedele alla promessa inviando, via e-mail a chi poteva
leggerglielo, il mio piccolo colloquio con il Signore. Così è nato questo
libro. A sera la mamma mi telefonava, felice». I miei scritti avevano già
raggiunto il loro scopo.
Non sono un biblista, ma la Bibbia non è un libro soltanto per gli addetti ai lavori, è Parola di Dio rivolta ad ogni uomo, anche a me. Ho scritto sempre da semplice credente.
I miei studi biblici sono stati essenziali e insieme incisivi. Ricordo con gratitudine i professori di Torino: Mauro Làconi, Dalmazio Colombo, Anselmo Dalbesio. Ho poi continuato a leggere saggi e commenti, in modo regolare, quotidiano, sistematico, portando avanti la lectio divina libro per libro, nella traduzione di Nardoni prima, poi in quella della CEI, con l’aiuto di autori come Fabris, Ghidelli, Vanni, Maggioni, Ravasi, Segalla, Penna, Léon-Dufour, Schnackenburg, Schürmann… Ho letto i Vangeli della Cittadella, la collana di commenti esegetici e spirituali di Città Nuova… Ma anche commenti spirituali come quelli di Divo Barsotti e prima ancora quelli dei Padri della Chiesa, primo fra tutti Origene, e di scrittori medievali. Una lettura particolarmente bella e piacevole, nella sua essenzialità e i moltissimi spunti di erudizione, sono stati i dieci volumi della Bibbia della famiglia curata da Ravasi negli anni Ottanta.
venerdì 20 gennaio 2023
Te prego aiutame
Passando per Viale Trastevere mi sono fermato ancora una
volta davanti al muro con l’immagine della Madonna attorniata dagli
innumerevoli ex-voto. Una scena sempre bella, soprattutto di sera.
Mi hanno attirato lo sguardo due scritte a pennarello, una in siciliano e una in romanesco, per la loro sincerità e semplice devozione:
"Maronnuzza aiutami. Tony Siracusa".
"Te prego aiutame".
giovedì 19 gennaio 2023
Bellissima!
Cinque anni fa sul mio blog avevo pubblicato la foto di
un mosaico che sta su una parete nel nostro archivio, precisamente nello studio
dell’archivista generale. Ho sempre inviato il posto d’archivista… per il semplice
fatto che mi sarebbe piaciuto avere la mia scrivania davanti a un mosaico così
bello.
https://fabiociardi.blogspot.com/2017/12/immacolata-figlia-di-dio-padre.html
In questi giorni, da un deposito a Vermicino, è apparso
il disegno originario dell’artista, Mario Barbieri, da cui lo Studio Mosaici
Monticelli di Roma ha realizzato il mosaico. Il dipinto è molto molto più
bello del mosaico.
Da oggi è nel mio studio! Più nessuna invidia per lo
studio dell’archivista.
Questa estate, l’ultimo giorno delle “Vacanze Paradiso” in
Francia, parlando di Maria ho insegnato ai bambini una parola italiana: “bellissima”.
E tutti i bambini, guardando Maria, ripetevano: Bellissima!
Adesso ce l’ho nel mio studio: Bellissima!
mercoledì 18 gennaio 2023
Dal noi a un nuovo io
Ho tenuto finalmente la mia conferenza al Claretianum, terminando con il passaggio dal noi all’io, prendendo come icona il ritorno in Galilea dei discepoli dopo la resurrezione.
Il Risorto attende i suoi
discepoli in Galilea perché vuole dare loro l’opportunità di ricominciare dopo
il fallimento: lo hanno rinnegato, tradito, abbandonato… Li attende per un
incontro che segni un nuovo inizio. Non come se nulla fosse accaduto, ma
proprio perché tutto è accaduto. È un ricominciare nella consapevolezza della
propria fragilità, senza più presunzioni (“Darò la mia vita per te”: Gv
13, 37), fatti nuovi dalla misericordia, provocati dall’amore (“Mi ami tu?”: Gv
21, 15ss).
L’io maturato nell’esperienza
con il Signore, l’io ritrovato dopo essersi lasciati coinvolgere
dall’esperienza della sequela fatta insieme al “noi” dei Dodici, non è un super
io, un io potenziato, ma un io umile, che pone la fiducia nell’amore
misericordioso di Dio e per questo è capace di misericordia.
In quell’incontro sul lago,
dopo aver radunato i suoi attorno alla tavola, Gesù si rivolge direttamente a
Pietro e lo interpella in prima persona, chiamandolo per “nome e cognome”, con
grande solennità: “Simone di Giovanni!”. Con la stessa serietà l’aveva chiamato
quando l’aveva incontrato la prima volta, all’inizio del Vangelo (Gv 1,
42). Questa seconda chiamata è in continuità con la prima, ma è anche diversa:
il primo io di Simone non è più lo stesso dopo il passaggio attraverso l’esperienza
del “noi” che lo ha coinvolto nell’intera vicenda del Maestro.
Con la solennità dell’appello,
“Simone di Giovanni!”, Gesù si rivolge proprio a lui, ritaglia la sua persona
dagli altri sei discepoli seduti alla medesima mensa e la pone direttamente
davanti a sé, a tu per tu. Pietro non si perde in una comunità anonima e
spersonalizzata, ma è chiamato a ritrovare la propria identità in una nuova pienezza.
Gesù lo interpella perché – davanti a tutti, e prima di tutto davanti a sé
stesso – affermi in maniera nuova la sua scelta: “Mi ami?”. È una domanda
seria, ripetuta per ben tre volte, che cade su un triplice tradimento con il
quale Pietro ha affermato solennemente: “Amo me più di te e per difendere la
mia vita rinnego la tua”.
Gesù non si lascia
scoraggiare dal tradimento, crede nella prima chiamata ed offre una nuova
possibilità: “Adesso, dopo tutto quanto è accaduto, mi ami di più?”. Il “di
più” della richiesta di Gesù si rapporta esplicitamente agli altri discepoli
presenti: “più di costoro”, ma forse allude anche ad un di più di intensità
rispetto al passato. È un amore maturo, che fiorisce dal proprio nulla, ora
riempito dall’amore misericordioso del Signore che ha assunto e consumato in sé
il nulla di Pietro.
Al primo incontro gli aveva
cambiato il nome in “Cefa”, Pietro, pietra. Vedeva il futuro dell’apostolo,
fondamento della Chiesa. Ma non poteva ancora affidargli il suo gregge; prima
doveva essere temperato dal dolore, dalla prova, perché dal peccato e
dall’amaro pianto (cf. Lc 22, 62) fiorisse un nuovo amore: «Tu sai che ti
voglio bene». Ecco l’umanizzazione, la persona pienamente realizzata. La
“parola” pronunciata da tutta l’eternità, l’identità di Simone, è ora giunta a
compimento: nasce l’uomo nuovo. Soltanto adesso il Risorto può dirgli: «Pasci i
miei agnelli… pasci le mie pecore» (Gv 21, 15-17). Adesso la missione di
Pietro diventa efficace perché a compierla è Cristo stesso identificato con
lui.
La domanda di Gesù non può
essere evasa, non consente alibi, tanto è personale e diretta, senza contorni.
Quando Pietro gli domanda del discepolo amato, Gesù non accetta di rispondere e
lo riporta alla responsabilità personale: Non gli dice soltanto “seguimi”, come
la prima volta, ma “tu, seguimi”: “tu”, unicità irrepetibile e necessaria,
carica di responsabilità. Inizia una vita nuova, un coinvolgimento pieno e
totale nel progetto del Signore Risorto.
Il Risorto lungo i secoli continua a ripetere la stessa parola, rivolge ad ognuno di noi la stessa domanda; non in maniera astratta e generica, ma dopo averci interpellati ad uno ad uno, personalmente, premettendo nome e cognome: “Fabio Ciardi, mi ami?”. Non posso guardarmi attorno per vedere a chi si sta rivolgendo. La domanda ha nome e cognome, non ci sono alibi, possibilità di omonimie. Inevitabilmente vengono alla mente i tradimenti, i rinnegamenti, i fallimenti. Il Risorto li conosce bene. Nonostante tutto continua a chiedere se lo amiamo. Ha ancora fiducia, offre veramente la possibilità di ricominciare in novità di vita. Quante volte chiederà: “Mi ami tu? Mi vuoi bene?”. Una in più del tradimento, per dare l’opportunità che l’ultima nostra parola sia: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». È la metamorfosi dell’io: «Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 19-20). Occorre essere una cosa sola con lui perché egli affidi una missione, in modo che sia lui a compierla.
La persona pienamente
umanizzata, realizzata nel suo disegno, può adesso operare anche da sola,
perché non è più sola, ma sempre espressione della comunità con la quale ha
vissuto e con la quale è maturata. Non è più sola perché in lei vive il
Risorto. L’io conosce una nuova stagione, si è fatto più umile, sincero, la sua
azione acquista tratti materni e insieme paterni, senza maternalismi o
paternalismi, nella consapevolezza che ad agire non è più lui, ma Cristo che
vive in lui, e di cui è semplice strumento. Poiché rimane al suo posto, quello
del servizio, acquista la capacità di “pascere”, di edificare, senza velleità
di voler apparire, senza assumere posizioni di comando, senza dittature
culturali, senza le interferenze dell’orgoglio e del prestigio, nel rispetto e
apprezzamento della diversità, nella valorizzazione della ricchezza dell’altro.
È un processo in costante
divenire, mai compiuto, non necessariamente lineare, dove si continuano a
sperimentare fasi precedenti, ripartendo sempre da dove si è iniziato, ma con
intensità diversa, abissi ancora più abissali, vette ancora più eccelse,
affidandosi docilmente alla conduzione dello Spirito.
martedì 17 gennaio 2023
Sguardo e memoria
Guardiamo il mondo una sola volta, nell’infanzia.
Il resto è memoria.
(Louise Glück, nobel per la letteratura nel 2020)
lunedì 16 gennaio 2023
Dall'io al noi all'io
Eccoci dunque al passaggio
dall’io al noi, un tema molto diffuso, un ulteriore segno dei tempi. Basterà
far riferimento a una intervista televisiva a Papa Francesco, il 10 gennaio
2021. Parlando delle situazioni di crisi presenti in ogni Paese sollecitava chi
ha compiti di responsabilità politica ad anteporre la logica del bene comune
alla promozione personale, il “noi” all’“io”. «La classe dirigenziale –
spiegava il Papa – ha il diritto di avere punti di vista diversi e anche di
avere la lotta politica. È un diritto: il diritto di imporre la propria
politica. Ma in questo tempo si deve giocare per l’unità, sempre. Non c’è il
diritto di allontanarsi dall’unità. (…) Ma se i politici sottolineano più
l’interesse personale all’interesse comune, rovinano le cose». In definitiva
«tutta la classe dirigenziale non ha diritto di dire “io”… deve dire “noi” e
cercare una unità di fronte alla crisi». Allargava poi gli orizzonti: «un
politico, un pastore un cristiano, un cattolico anche un vescovo, un sacerdote,
che non ha la capacità di dire “noi” invece di “io” non è all’altezza della
situazione».
Dobbiamo prendere atto che,
a partire dal Concilio, la teologia della comunità e il cammino per la sua
attuazione si è intensificato. Lentamente, oltre alla difficoltà
dell’attuazione, è subentrato un certo rigetto di questo progetto, forse per un
equivoco, quasi pensando che la vita di piena donazione comunitaria – che è
sempre un “morire” – si esaurisse in una fase kenotica, senza portare alla
piena realizzazione di sé. Oggi la proposta di Giovanni Paolo II è “aggiornata”
dal magistero di Papa Francesco che preferisce parlare di comunità poliedrica.
Personalmente penso che il
progetto comunitario sia rimasto incompiuto perché ci è fermati al passaggio
dall’io al noi, senza poi compiere il successivo passaggio, dal noi all’io. Eppure
Gesù insegna: dà la vita, ma «per poi riprenderla di nuovo» (Gv 10, 17). Il
lui c’è il passaggio, se così possiamo dire, dall’io al noi, che consiste nel
dare la vita per il suo gregge. Ma non si ferma lì. Una volta donata la vita –
ed è un passaggio di morte – la riprende di nuovo e in maniera nuova: è il
Risorto, diverso da quello che era prima di aver vissuto il mistero pasquale.
Come per Gesù, per ognuno di
noi dopo il passaggio dall’io al noi c’è l’ulteriore passaggio all’io: «chi
perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16, 25). Non si
tratta di un semplice ritorno al precedente io. Il donarsi interamente agli
altri nella vita comunitaria, il condividere con gli altri e il ricevere dagli
altri, produce un arricchimento dell’io. Quando entra nella comunità l’io ha un
certo spessore, dopo, quando torna in sé, trova una nuova pienezza sia perché
il dare l’ha maturato, sia perché è accresciuto dal dono degli altri.
Ma c’è qualcosa di ancora
più profondo. Quando la comunità è veramente tale, in essa inabita Cristo
Signore che tutti trasforma in sé. Ricordiamo le parole di Perfectae
caritatis: «Con l’amore di Dio diffuso nei cuori per mezzo dello Spirito
Santo (cfr. Rm 5,5), la comunità come una famiglia unita nel nome del
Signore gode della sua presenza (cfr. Mt 18,20)». La comunità è la
comunità del Risorto, vive della sua presenza. In essa ogni membro è trasformato
da questa presenza, è trasformato in Cristo Risorto, che diventa il suo vero
io. Non che Gesù si sostituisca all’io della persona, piuttosto si adatta alla
persona, vive in lei e fa fiore in lei la “parola” da Dio pronunciata da tutta
l’eternità, la sua identità più vera.
Il futuro di ogni comunità dipenderà
dalla capacità di un coinvolgimento reciproco, attivo, voluto, di tutti i
membri in questo passaggio dall’io al noi all’io trasfigurato dal e nel
Risorto.
domenica 15 gennaio 2023
La preghiera dei bambini
Interrompiamo i blog seriosi e facciamone uno davvero
serio, come lo sono i bambini. Questa mattina avrei dovuto fare loro una “catechesi” sulla
preghiera, ma l’hanno fatta a me rispondendo alle domande che rivolgevo
loro. Cominciamo da: “Conoscete una preghiera?”. E subito: “Il segno della
croce”. Iniziamo bene… E abbiamo fatto proprio il segno della croce! L’aveva
detto Papa Francesco in una catechesi: “Fare il
segno della croce quando ci svegliamo, prima dei pasti, davanti a un pericolo,
a difesa contro il male, la sera prima di dormire, significa dire a noi stessi
e agli altri a chi apparteniamo, chi vogliamo essere. Per questo è tanto
importante insegnare ai bambini a fare bene il segno della croce… Non
dimenticare: insegnare ai bambini a fare bene il segno della croce”.
La preghiera più gettonata è l’Angelo di
Dio… Poi viene il Padre nostro, col quale abbiamo concluso il nostro incontro,
tenendoci per mano, in cerchio.
Ma abbiamo sperimentato la preghiera in
tanti altri modi, con le mani giunte, in silenzio, chiudendo gli occhi e
parlando a Gesù a tu per tu… dicendoci poi cosa gli avevamo detto… Quante belle
sorprese. Soprattutto quando abbiamo pregato per la pace.
Infine ognuno ha colorato un forziere,
mettendoci dentro le parole più preziose che ognuno aveva. Un bambino è venuto
orgoglioso con il suo forziere che conteneva una parola per lui veramente
preziosa: “Forza Napoli!”.
sabato 14 gennaio 2023
La preghiera: stare nella braccia del Padre
Giovanni Battista testimonia che Gesù è il Figlio di Dio.
Continuano ad arrivarmi riscontri sul libro Il respiro dell’anima. Le prendo come un invito ad andare in profondità nel rapporto con Dio e nel testimoniare, come il Battista, che Gesù è il Figlio di Dio. Ecco, ad esempio quanto mi giunge:
“In questi giorni sto meditando sul tuo libro sulla preghiera e dal cuore nasce un profondo GRAZIE! È bellissimo ma la parola è strausata. Conquista l'anima, con gli scritti di Chiara e altri ma un grazie anche a te che li incastoni nel punto esatto a loro dovuto per cui è un tutt'uno con quello che scrivi e che vivi altrimenti non sarebbe possibile una tale sintonia. Interpreti le varie situazioni che vive l’essere umano, cogliendone i limiti ma sublimandoli nell'amore a Gesù in cui tutto scompare e annega per trovarsi nel Tutto, in Dio solo. Grazie ancora perché attraverso questo libro aiuti tanti a rendere vicina e possibile l’unione con Dio…”
“La meditazione continua ad essere il mio cibo
di base quotidiano… sono i Salmi che mi hanno
nutriti, dato inspirazione per la vita quotidiana. Il tuo recente libro Il
respiro dell’anima mi va direttamente all’anima. Mi parla tantissimo. Non puoi
immaginare la gioia e l’emozione nei miei occhi. Grazie. Sicuramente, secondo
la legge di Dio, son le tue lacrime che hanno permesso questo dono”.
Sì, l’unione con Dio è la
realtà che può e deve abbracciare e informare ogni attimo della vita, anche
quando non c’è il tempo di pensare a lui; è frutto dell’amare e del soffrire,
dell’adempimento della sua volontà; la si può avvertire vivissima in certi
momenti di luce e in quelli di prova sentirne la lontananza… La è una
manifestazione privilegiata di questo rapporto, è “espressione –
come scriveva Tommaso d’Aquino – del desiderio che l’uomo ha di Dio”.
“Questa attrazione verso
Dio – affermò Benedetto XVI quando diede inizio alle catechesi sulla
preghiera –, che Dio stesso ha posto nell’uomo, è l’anima della
preghiera, che si riveste poi di tante forme e modalità secondo la storia, il
tempo, il momento, la grazia e persino il peccato di ciascun orante”. Essa
“non è legata ad un particolare contesto, ma si trova inscritta nel cuore di
ogni persona e di ogni civiltà. Essa è un atteggiamento interiore, prima che
una serie di pratiche e formule, un modo di essere di fronte a Dio prima che il
compiere atti di culto o il pronunciare parole… è il luogo per eccellenza della
gratuità, della tensione verso l’Invisibile, l’Inatteso e l’Ineffabile”.
Si può dunque non soltanto
interrogarci su Dio, pensare a lui, ma addirittura ascoltarlo e parlare con lui
in un dialogo chiamato che, secondo la celebre definizione della preghiera
lasciataci da Teresa d’Avila, diventa un autentico “rapporto
di amicizia con Colui dal quale sappiamo di essere amati”.
Domani dovrò spiegare queste
cose ai bambini. Inizierò col mostrare alcune foto di bambini in braccio alla
mamma, alla zia, al nonno… e domanderò: “Secondo voi questo bambino è contento?
Perché?”. La preghiera è proprio affidarci alle braccia del Padre…
venerdì 13 gennaio 2023
Persona responsabile
Continuo a preparare la mia
relazione per il Claretianum e continuo a rimanere fisso nell’idea che ogni
membro di un gruppo o di una famiglia carismatica è chiamato ad assumersi la
responsabilità di portare avanti il carisma di cui è stato reso partecipe.
Rimane vero quanto afferma l’antica
istruzione Mutuae relationes. Si
riferisce ai religiosi, ma vale per ogni persona che si ritrova in mano un dono
di Dio: «Anche ai singoli religiosi certamente non mancano i doni personali, i
quali indubbiamente sogliono provenire dallo Spirito, al fine di arricchire,
sviluppare e ringiovanire la vita dell’istituto nella coesione della comunità e
dare testimonianza di rinnovamento» (al n. 11).
Prima occorre riconoscere di
essere dotati di doni personali proveniente dallo Spirito, poi attuare una
sequela di verbi particolarmente significativi, attivi, dinamici: “arricchire,
sviluppare e ringiovanire”.
Arricchire significa offrire il proprio apporto personale,
sempre nuovo. Con il carisma vissuto dal nostro gruppo abbiamo ereditato un
patrimonio che è stato alimentato dalle generazioni che ci hanno preceduto. Non
soltanto non possiamo disperdere o dilapidale il capitale, ma dobbiamo farlo
fruttare ulteriormente. Occorre metterci del proprio: è il nostro patrimonio! E
ci è stato consegnato dallo Spirito, che ce ne rende responsabili e al quale
dovremo rendere conto.
Sviluppare fa supporre che il carisma,
nella sua ricchezza, contenga elementi non ancora pienamente espressi che attendono
di essere portati alla luce. Qui occorre intraprendenza, sperimentazione, creatività,
senza assumere passivamente, senza ripetere pigramente quanto già detto e
fatto.
Ringiovanire dice che nelle modalità con cui il carisma è stato
vissuto vi sono aspetti ormai desueti, legati a un contesto storico e culturale
ormai superato e quindi bisognosi di essere attualizzati in altri contesti culturali,
con sensibilità contemporanee.
È una missione riconosciuta
alle singole persone e di cui ogni persona deve farsi carico.
L’ultimo
articolo della Regola degli Oblati mi sembra particolarmente eloquente in
merito: «Con la sua oblazione [l’atto della professione religiosa], ogni Oblato
assume la responsabilità del patrimonio comune della Congregazione espresso
nelle Costituzioni e Regole e nella tradizione di famiglia. Lo si esorta a
lasciarsi guidare da queste norme in una fedeltà creativa all’eredità trasmessa
da sant’Eugenio de Mazenod» (C 168).
Il
patrimonio della mia Congregazione – qui si fa riferimento primariamente al
carisma, ma si suppongono tutte le realtà ad esso legate, da quella economiche
a quelle istituzionali, apostoliche… – è dunque affidato ad ogni singolo
membro; un patrimonio che chiede di essere amministrato con fedeltà creativa. Ognuno deve sentirci responsabile del carisma e della
vita del proprio gruppo e mettere a suo servizio le proprie doti, senza
rassegnazioni o pigrizie, ma con audacia e creatività.
giovedì 12 gennaio 2023
Persona con missione
Preparando la mia conferenza
per il Claretianum ho di mira religiosi e religiose, e penso alla missione che
ognuno è chiamato a compiere in maniera creativa e responsabile. Ho comunque
davanti ogni persona, perché ognuno ha una missione da compire. Lo sguardo mi
si rivolge verso Gesù l’”uomo perfetto”. In particolare mi risuonano tre che lo
riguardano e che, di riflesso, riguardano tutti noi.
La prima: «Dio ha tanto
amato il mondo da mandare il Figlio unigenito…» (Gv 3, 16). Ogni persona
è chiamata a rispecchiarsi in questo momento e in questa azione di Gesù. Come
lui siamo mandati da Dio, espressione del suo amore per l’umanità. Non siamo freelancer,
individui che svolgiamo un’attività da soli, in autonomia, pensando soltanto a
noi stessi. Abbiamo un mandato, siamo dei mandati. Questo mi mette davanti alle
nostre responsabilità: abbiamo una missione da compiere, dataci direttamente da
Dio al momento quando ci ha creati. La vita non è uno scherzo, ma il tempo nel
quale adempiere il compito affidato.
La seconda parola: «Un corpo
mi hai preparato… Ecco io vengo… per
fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10, 5.7). Il corpo indica la
concretezza della persona, in tutte le sue componenti umane. Gesù si è dato
totalmente, anima e corpo, alla missione che il Padre gli ha affidato. Ogni persona
è tale se pone tutte le energie ricevute – “un corpo mi hai dato” – al servizio
della missione. Mette a disposizione del progetto di Dio – “vengo per compiere
la tua volontà” – creatività, fantasia, energie, passione… tutti i talenti di
cui è dotata. Amministra con rigore il proprio tempo, lavora con dedizione e
fatica, disciplina il proprio corpo e il proprio spirito perché siano pronti a
rispondere ad ogni richiesta che viene dalla missione.
La terza parola: «Il Figlio
dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita
in riscatto per molti» (Mc 10, 45). La persona non vive per sé ma per
gli altri. Si leva qui l’ammonimento evangelico: «Chi vuole salvare la propria
vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt
16, 25). La persona si realizza non pretendendo, ma dando, dandosi.
Non c’è futuro per la società
se non si mettono le persone in condizione di essere propositive, se le persone
non si fanno carico della famiglia, delle istituzioni, della società… in tutti
i suoi aspetti.
mercoledì 11 gennaio 2023
Centralità della persona
Ognuno è unico,
irrepetibile, perfino indispensabile, nonostante l’adagio che ci vuole “unici,
ma non indispensabili”. Siamo indispensabili perché voluti da Dio che nella
costruzione del mondo non crea elementi opzionali, doppioni, gadget inutili.
In ognuno è innato un
anelito alla pienezza di vita, al compimento del proprio essere. Un elemento
che accomuna ogni pensiero, sia religioso che ateo. L’umanesimo cristiano si
caratterizza per il suo rispecchiarsi nel Verbo, nel quale la persona è
pensata, “sognata”, creata, per giungere a diventare, in lui, quello che è
chiamata ad essere. Dio da sempre, nel momento stesso in cui genera il Figlio,
in lui “dice” la nostra parola, il nostro verbo, il nostro essere. Nell’atto di
pronunciare la Parola – il Verbo, il Figlio –, ogni persona è detta, è figlia, chiamata
all’esistenza, con la vocazione ad essere, nel Verbo, dio come lui è Dio. È
questa la realtà più vera della persona: il disegno che Dio ha su di lei e che
non passerà mai, perché esso la costituisce nella sua dignità.
Il cammino della vita è la
progressiva scoperta di ciò che sono e che sono chiamato a essere, della mia
collocazione nel mondo e nella storia.
Se sono fedele nell’attuare
il progetto che Dio ha su di me – e che scopro gradualmente, a mano a mano che
vivo – trovo la piena realizzazione di me, l’appagamento.
Questo anche all’interno
della vita consacrata, come ha rilevato Papa Francesco il 7 novembre: “La vita
religiosa si comprende solo da ciò che lo Spirito fa in ciascuna delle persone
chiamate. C’è chi si concentra troppo sull’esterno (le strutture, le
attività...) e perde di vista la sovrabbondanza di grazia che c’è nelle persone
e nelle comunità”.
La vita consacrata è sì una
struttura e si articola in strutture, come ogni altra realtà umana, ma la sua
realtà profonda e originaria è data dalle persone che la compongono.
Fra una settimana darò la
conferenza semestrale all’Istituto Claretianum. Inizierò proprio dalla
centralità della persona…
martedì 10 gennaio 2023
Il quarto dei Magi: un antieroe
Il blog sul
quarto Mago ha avuto successo. Abitualmente ci sono poco meno di 300 visite al
giorno. Per “Il quarto dei Magi” ce ne sono state oltre 3.000. Perché? Prima di
tentare una risposta leggo alcuni dei numerosissimi commenti arrivati:
- Allora c’è
speranza anche per me. - È bello ricordarci che, come quarto e comunque come
operaio dell’ultima ora, ognuno è accolto da Lui come dono. C’è tanta
consolazione, tanta poesia e tanta verità in queste bellissime parole che ci
regali. - Noi siamo il quarto re che, smarriti per il mondo, alziamo gli occhi
al cielo per ritrovare noi stessi e Gesù... che attende proprio la nostra
miseria, per tradurla con amore in gioia. - Che esame di coscienza: il
quarto che si è perso e ha disperso il suo tesoro in 1000 cose inutili veniva
da nord! Noi europei abbiamo il dovere di rivedere le nostre superbe scelte e
ricominciare, donando i nostri peccati a Lui ma anche chiedendo scusa a tutti e
anche a noi, al nostro disegno nel mondo che abbiamo disperso. Una buona
occasione per ri-cominciare a camminare e... arrivare almeno il prossima anno. -
Un messaggio bellissimo e ci riempie di speranza nella misericordia di Dio. - Hai
perfettamente ragione quando dici che esiste il quarto. Lui aspetta il nostro
Dono più Grande e più Bello, i nostri peccati, perché solo attraverso questi
doni. Lui ci Dona la Pace, l'Amore e la Gioia. I tre Doni che Lui riceve dai
Magi ce li Ridona con la Sua Morte e Resurrezione. È un continuo Gioco d'Amore
che si perpetua nel tempo. - Quante volte mi sento come il quarto, ho solo i
miei peccati da offrire. - Questo racconto mi ha commosso. Tutti noi
continuamente sprechiamo tempo e risorse senza trovare Gesù, e magari lo
troveremo solo l’ultimo momento della vita: senza più nulla, salvo la sua misericordia
immensa. - Siamo stati felici di scoprire il quarto Re Magio e soprattutto il
messaggio che trasmette dove tante volte ci riconosciamo. - Grazie di questo
bellissimo messaggio dal quarto dei Magi. Credo che ognuno di noi si ritrova. -
Questo scritto che mi ha riempita di gioia per quest’amore misericordioso che
Gesù ha per me, per te, per noi nonostante le nostre miserie. Non sapevo di
questo quarto Re e mi è piaciuto tanto. Ed è ognuno/a di noi. Mi ha portato a
credere ancora di più nell’amore misericordioso di Gesù. - È molto profondo, ci
mette davanti a noi, a quello che siamo e alla gioia immensa di un bisogno di
misericordia, che ci viene regalata! - Mi pare di assomigliare al quarto magio,
forse lo siamo un po' tutti. - Avevo sempre avuto difficoltà a pensarmi come
uno dei tre re magi, ma col quarto mi ritrovo in pieno. - L’importante è
arrivare sotto la sua croce e inginocchiarsi… lui saprà dare un senso a tutti i
nostri peccati. - Davvero siamo come il quarto dei Magi e anche per noi saranno
quelle le parole che Gesù ci dirà. - Mi trovo in questo quarto Mago. - Bellissima
l'esperienza del quarto, dal peccato la vita nuova. - Troppo bello! C'è
speranza anche per me...
Potrei
continuare a riportare molti altri messaggi. Perché tutti si ritrovano in
questo quarto più che negli altri tre? Forse perché abbiamo bisogno di avere
come modello non degli eroi – irraggiungibili – ma degli antieroi, con i quali
possiamo identificarci.
Lo stesso
successo avuto con il libro di Giovanni Santolini, un antieroe, che per questo
sa farsi amare. Spero lo stesso successo con il libro che sta per uscire su
Simonetta Magari, un’altra antieroe che proprio per questo saprà renderci vicino
e attuabile il suo esempio.
Ci sentiamo
tutti piccoli, poveri, bisognosi di misericordia…
lunedì 9 gennaio 2023
Tempo ordinario
Sono stato nella comunità di Marino per guidare il ritiro
mensile. Avrei voluto portare in dono un pane, ma non ce l’ho fatta a passare dal
forno e mi sono presentato a mani vuote. Avrei potuto portare il panettone, che
m’è rimasto, ma volevo portare proprio un pane, a significare che la festa di
Natale è finita ed è iniziato quello che la liturgia chiama “tempo ordinario”.
I tempi straordinari sono quelli della festa e vorremmo che finissero mai. Abbiamo
paura dei tempo ordinari, quasi fossero tempi morti. Infatti è appena finito
Natale ed ecco subito attaccato il carnevale.
Il tempo ordinario fa bene. Come la pioggia fine fine di
oggi. Non è quella torrenziale che provoca frane, smottamenti, inondazioni. Quella
di oggi è una pioggia “ordinaria”, che non si fa notare troppo e che fa bene
alla terra.
“Ordinario” spesso lo si usa in senso negativo,
peggiorativo e lo si affibbia a ciò che non ha valore, di poco conto,
insignificante, se non scadente. La sua etimologia è invece interessante, viene
da “ordo, ordinem”, le cose messe in ordine, in fila. Mia mamma per alcuni anni
ha fatto l’ordinatrice. Vedevo come lavorava all’orditoio: disponeva i fili in
ordine, preparava l’ordito, che poi la spola del telaio, con la trama, avrebbe
portato al tessuto. Non c’è stoffa senza l’ordito.
Ci vogliono i momenti un po’ caotici e gioiosi della
festa, così come ci voglio anche quelli nei quali gli avvenimenti si succedono “ordinati”,
come i fili dell’ordito. Nella semplicità, nella quotidianità, nella fedeltà
alle piccole cose, nella ripetitività. Forse anche un po’ nella monotonia. Ma
la crescita ha bisogno di tempo, di calma, di continuità… come lo scendere silenzioso
della pioggia di oggi.
domenica 8 gennaio 2023
Pregare sempre, come?
Quando pregare? La tradizione ebraica e
quella cristiana, al pari di altre culture religiose, hanno individuato ritmi
e tempi precisi, soprattutto all’inizio e al termine della giornata. Ma
l’insegnamento evangelico è chiaro: occorre «pregare sempre, senza stancarsi
mai» (Lc 18, 1), ripreso più volte da Paolo, ad esempio in 1 Tessalonicesi: «Pregate incessantemente» (5, 17).
Com’è possibile pregare sempre? La tradizione cristiana ha dato
molte interpretazioni… «La preghiera è continua – ha scritto un grande maestro
e amico, Ermanno Ancilli – quando è continuo l’amore. L’amore è continuo,
quando è unico e totale. Intesa in questo modo, la preghiera è sempre possibile
in qualsiasi circostanza e in mezzo a qualsiasi occupazione. […] sarebbe
impossibile interromperla, come sarebbe impossibile interrompere il respiro.
[…] Il cristiano non prega soltanto quando direttamente e
immediatamente si rivolge a Dio coi suoi esercizi devoti, ma ogni volta che per
amor suo, qualunque sia il quadro delle sue occupazioni, egli esercita il bene
con qualsiasi opera di zelo, di carità, di penitenza, di umile nascosto
servizio. […] Vista così, la preghiera […] si identifica con l’essenza stessa
nella vita».
È quanto ho cercato di spiegare ai tanti
giovani in questi giorni passati insieme a Loppiano, con gioia profonda.