P. Paolo a Pescara... |
«Siamo usciti dal secondo conflitto mondiale,
ma non dallo spirito di distruzione»: così scriveva Igino Giordani nel prologo
a Disumanesimo, nel marzo del 1949.
Guardandosi attorno denunciava profeticamente il pericolo di costruire un paradiso
in terra, ma senza Dio, tentativo destinato a naufragare nel più ignobile
inferno. Il “disumanesimo” si esprime in guerre assurde e brutali, in
organizzazioni criminali, come nel respingimento in mare dei profughi,
nell’esplosione degli odii sui social... Come tornare a essere “umani”?
La scienza dell’evoluzione ha le sue
affascinanti ipotesi sul momento dell’umanizzazione, ossia sul passaggio
dall’essere animale alla persona umana. In ultima analisi credo sia avvenuto
nel momento in cui Dio si è rivolto alla sua creatura e, indirizzandole la
parola, ha iniziato a parlare con lei. Rispondendo, la creatura ha preso
coscienza di sé. Ne è nato un dialogo nel quale scopriamo di essere il “tu” di
Dio e che egli è il nostro “Tu”: è la preghiera. Il rapporto con Dio – la
preghiera – è dunque costitutivo dell’essere umano, lo fa persona (= essere in
relazione). Non è alienazione, perdita di tempo, evasione dall’impegno: è cammino
verso la piena umanizzazione. Forse ci siamo disumanizzati perché non sappiamo
più pregare.
Già, come si impara a pregare? Semplicemente pregando. Così come per
imparare a nuotare occorre scendere in acqua, così per imparare a pregare
occorre immergersi in Dio; o meglio, prendere coscienza che siamo già in lui:
«In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo», come ricordava l’apostolo
Paolo davanti all’Aeròpago ad Atene (Atti, 17, 28). Non è questione di
molte parole, ma di stare a tu per tu – direbbe una che se ne intende, Teresa
d’Avila –, con colui da cui sappiamo di essere amati. Torneremo ad essere
“umani”.
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