«“Prenderebbe un caffè con noi?”. Quel darmi del lei mi
confuse al punto che quasi mi voltai per vedere la persona cui ci si poteva
rivolgere così». Chamiram tratta con riguardo il ragazzo e gli versa il caffè da
un bricco “troppo bello” dai delicati arabeschi. Il ragazzo rimane affascinato anche dagli
orecchini di Gulizar, “lunghi e argentei”.
Un giorno Chamiram gli serve il caffè in un bricco
qualunque, Gulizar non ha più gli orecchini… Gli armeni stavano vendendo oggetti di valore e gioielli per poter rimanere ancora un po’ in quella regione
lontana e stare vicino ai loro cari tenuti in prigione in attesa del processo…
«E’ triste… - confessa il ragazzo protagonista del romanzo
L’amico armeno – Tutte quelle belle cose che spariscono!».
Ed ecco la saggezza del ragazzo amico armeno: «No, nulla
sparirà! Vedi, anche tu ti ricordi ancora della caffettiera di Chamiram e,
dunque, delle ore che trascorrevamo insieme. Quel tempo è sempre nella tua
memoria ed è questo che conta…».
Per il ragazzo è difficile accettare queste parole, ma
lentamente comprende: «L’istinto di possesso si mescolava nella mia testa al
senso stesso della vita, al mio giovane desiderio di toccare, di sentire e di
serbare la totalità di ciò che mi era prezioso. Eppure, quella caffettiera
d’argento, come dire? Ma sì, aveva ragione: venduta, portata via, assente per
sempre, essa mi appariva ormai molto più viva, non più ridotta alla sua patina
lucente ma arricchita dalla luce dei pomeriggi che avevo vissuto nel “regno di
Armenia”. E gli orecchini che Gulizar era stata costretta a vendere evocavano
adesso gli istanti in cui lei lasciava la casa e imboccava il sentiero che
costeggiava la vecchia strada ferrata. In quegli istanti, essi sembravano
eterni, assai più preziosi del loro metallo».
Delle cose resta ciò che custodiamo dentro, delle persone
il rapporto costruito con loro.
Illuminante
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