venerdì 1 aprile 2022

Padre Paolo D'Errico

 


Anche p. Paolo D’Errico è partito per il Cielo! Non potrò essere al suo funerale. Ecco allora il mio modesto ricordo.

Lo incontrai la prima volta quando venne a Firenze nell’ottobre 1967 come nuovo superiore della casa di formazione. Ero al mio ultimo anno di liceo. Il provinciale di allora, nel presentare al Superiore generale la richiesta della sua nomina, lo descriveva con poche parole: «Dignitoso e gentile nei rapporti sociali. Ha tatto, prudenza, equilibrio nel giudicare persone e cose. Lineare, semplice, aperto con i superiori, docile. Caritatevole e sociale verso tutti. Può unire la dolcezza con la fermezza».

Poi partii per San Giorgio Canavese, Marino, Frascati… Ma lo ritrovai presto nella mia città, dove penso che p. Paolo abbia raggiunto il momento più alto del suo ministero. Ha formato una schiera di giovani, ha forgiato un’intera comunità parrocchiale… Fu lui, nella Pentecoste del 1975, che mi accompagnò all’altare della mia ordinazione sacerdotale. Poi fui io, il 25 ottobre 1984, a leggere e promulgare il decreto emanato dal p. Provinciale che gli conferiva l’incarico di Direttore della comunità di Prato, dove fino a quel momento era stato prima animatore dei giovani, poi parroco.

L’ho incontrato l’ultima volta due mesi fa a Santa Maria a Vico, ormai profondamente provato nel fisico. Sempre lucido, appena mi ha visto, mi ha detto, con la sua abituale fine gentilezza: “Ma come sei elegante!”.

Egli stesso, il 26 Ottobre 2015, pochi giorni prima del 60° anniversario della sua ordinazione sacerdotale – avvenuta a Roma il 30 Ottobre 1955 per le mani di un Vescovo missionario italiano appena espulso dalla Cina – ha ripercorso le tappe della sua vita.

Aveva 17 anni quando entrò al noviziato nella sua Ripalimosani. Il maestro dei novizi, p. Agostino Argentieri, lo descrive «sensibilissimo, immaginazione molto viva, volontà energica, molto affettivo…». È sempre rimasto profondamente grato agli Oblati che, da quando era piccolo, lo hanno sempre accompagnato: si sentiva profondamente parte della Famiglia oblata, sostenuto da tutti. «La storia della mia vocazione e del mio Sacerdozio - scrive dunque il 26 ottobre 2015 - è intimamente intrecciata con la storia ed il cammino dell’intera Congregazione. È dagli Oblati, infatti, che sono stato accompagnato fin dall'infanzia nel cammino di formazione».

«Sono grato, in modo particolare, per il privilegio di aver compiuto i miei studi di Filosofia e Teologia presso l'Università Gregoriana di Roma, e soprattutto di aver avuto un'esperienza forte del carisma oblato di internazionalità presso lo Scolasticato Internazionale di Roma, con maestri di vita quali P. Jean Drouart e André Nottebaert. L’Obbedienza mi ha impegnato successivamente in tre compiti diversi: anzitutto nella formazione, quale professore di Filosofia, presso lo Scolasticato di S. Giorgio Canavese, e poi quale Superiore del Liceo di Firenze. Ho trascorso un secondo periodo, durato 24 anni, nella pastorale parrocchiale nella città di Prato, dapprima come animatore della pastorale giovanile, e poi come Parroco. Ho vissuto la terza fase per 20 anni nella Comunità di Bologna, operando attivamente anche nell'ambito della Missione Popolare nel Nord Italia, in stretta collaborazione con le Comunità di Passirano e Vercelli. Da un anno sono approdato nella Comunità di Pescara, per dedicarmi maggiormente alla preghiera, al raccoglimento ed al servizio».

Ogni volta che voglio conoscere un po’ più a fondo un Oblato vado a leggere la lettera indirizzata al Superiore generale al termine della prima formazione, quando si mette nelle sue mani la propria vita e gli si chiede la prima destinazione. Anche questa volta p. Paolo non mi ha lasciato deluso:

«1° febbraio 1956. È con intensa gioia che Le scrivo questa lettera. Sono giunto ad una svolta decisiva della mia vita: al punto di chiusura di un lungo periodo di preparazione e insieme al punto d'inizio della vita apostolica che abbraccerà tutto il resto della mia esistenza. E sono profondamente felice di poterLe dire finalmente: "Ecce ego, mitte me". Questa gioia non è immune da un senso di tristezza. Mi trovo immensamente inadeguato alla sublime missione che mi verrà affidata e alle sovrumane responsabilità che essa comporta. Ho corrisposto solo in un'infima parte alla grazia divina che con tanta profusione mi è stata largita durante i lunghi anni di preparazione. Essa ha preso forma soprattutto nella cura assidua e premurosa con cui un buon numero di Oblati si son dedicati alla formazione della mia anima di Sacerdote. Li ringrazio tutti nella Sua persona, dal più profondo del cuore. Ringrazio Lei per avermi chiamato al Suo Scolasticato, procurandomi in tal modo l'inestimabile beneficio di un Suo interessamento più diretto e continuo, dell'influsso irresistibile della Sua personalità, della Città Eterna, dell'ambiente internazionale. Mi permetta un ringraziamento particolare per il personale dello Scolasticato, e soprattutto per il R.P. Superiore che ha avuto certamente un influsso decisivo su tutta la mia formazione.

Malgrado tutte le mie deficienze nutro viva speranza che la grazia di Dio può servirsi anche della mia novera persona per stabilire il Regno di Cristo nel mondo. Al servizio della causa della Chiesa e della Congregazione io pongo le mie modeste possibilità e tutte le mie energie. Sento perciò di poterLe assicurare con tutta sincerità e verità di essere completamente pronto a dedicarmi con gioia, entusiasmo e generosità a qualsiasi compito che Lei vorrà affidarmi.

Poiché è Sua volontà conoscere le mie aspirazioni e i miei desideri, cercherò di aprirle con la più grande franchezza il mio animo, nella speranza che questo possa contribuire a una maggiore fecondità del mio futuro apostolato e a un maggior bene per la mia anima. Quanto alle missioni estere, pur rimanendo nella fon­damentale completa disponibilità, non sono in grado di esprimerle una preferenza perché, avendomi i Superiori fatto constatare la mia mancanza di attitudini fisiche per un tal genere di lavoro, non potevo pensare alle missioni estere come a qualcosa di praticamente realizzabile, e perciò ho diretto il mio principale interesse ad altre forme di apostolato. Per le case di formazione e per l'insegnamento sento di avere una certa attrattiva, soprattutto per la filosofia e la teologia, ma anche per le materie letterarie. Quest'attrattiva però non giunge fino ad una vera vocazione di intellettuale, per cui non mi pare di preferire una vita consacrata esclusivamente allo studio e all’insegnamento: anzitutto perché non sento di avere per questo attitudini e propensione, e inoltre anche mi sento fortemente chiamato al ministero.

Le confesserò che mi commuove profondamente la situa­zione religiosa dell'Italia. Vorrei consacrarmi attivamente alla ricostruzione di una nuova società secondo lo spirito del Movimento per un Mondo Migliore. Ma secondo quale forma? Non posso risponderLe con precisione. Mi manca per il momento una conoscenza adeguata sia della situazione sia delle concrete possibilità d'azione, necessariamente subordinate ai bisogni generali della Provincia. Mi è stata prospettata la possibilità di dedicarmi allo studio della sociologia religiosa: se si pensa che ciò sia realizzabile e che possa essere inquadrato con piena funzionalità nel lavoro apostolico degli Oblati italiani, sono felice di farlo.

Credo comunque di avere una certa facilità di contatto e di comunicazione con il popolo, e di sentirmi chiamato meno alla cura delle anime che già vivono una vita cristiana, che all'amorosa ricerca di quelle che son lontane dalla Chiesa e da Dio. D'altra parte vorrei poter giovare delle favorevoli condizioni di ambiente di una casa di formazione, o comunque regolare, e trovare nello studio o nell'insegnamento un indispensabile appoggio per il ministero».

In queste parole si intravede già tutto il futuro di p. Paolo.

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