domenica 3 aprile 2022

Giovanni Santolini: "Uno come tutti"

Mi giunge ancora una testimonianza su Giovanni Santolini, di Edeltraud Strugholtz.

Ho vissuto 19 nel Congo: a Kinshasa e Lubumbashi. Alla fine del 2015 sono rientrata in Europa…

È stato nel novembre 1996, al Centro del Movimento dei Focolari a Rocca di Papa, Roma, quando ho conosciuto Padre Giovanni. Mi era stato chiesto se ero disposta ad andare nello Zaire, nel focolare a Kinshasa. Era un momento molto critico per tutto il Paese, di grande instabilità politica, di guerra. In grande pericolo erano soprattutto gli ruandesi sul territorio zairese, perseguitati anche a Kinshasa. Ho aderito subito a questa mia nuova destinazione, pur essendo completamente all’oscuro della situazione difficile che attraversava lo Zaire, e non per ultimo: non parlavo neanche il francese.

La prima prova della provvidenza di Dio in tutto è stato proprio questa: Padre Giovanni Santolini era in visita al Centro dell’Opera di Maria. Una focolarina allora mi disse che potevo parlare con lui per ricevere prime nozioni sullo Zaire e su quello che mi aspettava. E magari, chissà, avrei potuto addirittura viaggiare con lui perché doveva rientrare nello Zaire.

Ho aspettato P. Giovanni  davanti al piccolo ufficio antecedente della cappella in cui faceva un colloquio con Graziella de Luca. Quando esce mi dice: “Ah! Sei tu! Vieni, ti dico un po’.” Poi mi ha brevemente raccontato di Kinshasa e mi ha detto: “Possiamo viaggiare insieme!  Per i religiosi non c’è nessun problema. Tutti ci vogliono bene lì! Basta che anche tu ti vesti un po’ da religiosa. E mettiti una bella croce.”

Visto che tutti due dovevamo ancora salutare le nostre famiglie, io in Germania, lui in Italia, ci siamo dato appuntamento all’aeroporto di Bruessel. Ma cosa fare con i miei strumenti musicali?  Padre Giovanni: “Non c’è nessun problema. La fisarmonica la prenderò io. Me la puoi dare subito.” Se l’ha portato già nel suo volo fino a Bruessel.

Quella sera sono rientrata in focolare con una grande pace ed una grande gioia in cuore. La prima impressione – e si dice che sia quella che non si cancella più – era questa: “Un uomo di Dio. Un sacerdote che non mostra d’esserlo. È uno come tutti! Un prete senza frange”.  Questa mia impressione mi è rimasto nel cuore fino ad oggi! Ed ogni volta quando Papa Francesco parla del clericalismo come una delle piaghe più brutte nella Chiesa, mi viene sempre da pensare: Sì, basterebbe essere come P. Giovanni.

Ecco il nostro incontro nel transfer a Bruessel. “Sei perfetta”, mi diceva, guardando la mia tenuta, con un foulard blu, una croce sulla camicia bianca, una gonna blu. Dopo le prime risate (visto che i focolarini vanno normalmente solo in civile) c’è stato un’intesa immediata: Questo viaggio sarà una bellissima opportunità di conoscerci dal punto di vista come vorremmo vivere: Da figli di Dio. Un momento, quel volo, che mi resta per sempre. Ci siamo raccontato le nostre storie di vita vissuto fin d’ora. E ci siamo trovati fratello e sorella. Ce lo siamo anche detto, così, spontaneamente.  Era quello che ci importava esserlo, in LUI. Ad un certo punto P. Giovanni mi chiede: “E voi, quanti fratelli eravate?” – “Undici!” – “Davvero! Anche noi!” – “E quanti sorelle e fratelli?” – “Otto sorelle, tre fratelli”. – “Davvero. Anche noi!”. Comunque, ci trovavamo in tutto uguale! Era incredibile. Poi ho scoperto che era proprio questa la grandezza di P. Giovanni: Ti faceva sentire uguale, anzi, più grande. Mentre io avevo da imparare tutto, da acquistare tutto…., e Lui, teologo, con tantissime esperienze… . Quello che a lui importava, quello che lui soltanto vedeva, era il mio cuore che voleva battere solo per Gesù, per un Amore esclusivo: Gesù Crocefisso e Abbandonato.  Poi scherzava: “Volevo sempre andare dagli eschimesi, dove fa freddo 40 Gradi. Ora mi hanno mandato nello Zaire. Sono 40 Gradi anche qui, non importa il più o il meno. Sono sempre 40.”      

Prima di uscire dall’aereo P. Giovanni si faceva serio: “Ora, uscendo dall’aereo, ci sarà tantissima gente, tanta gente povera. Devi imparare a fare un’unica cosa: Ad ogni richiesta di aiutarti devi dire di no.” Lì per lì non capivo, ma poi non era difficile capire che non si poteva fare altro: La nuova arrivata, nonostante fosse vestita da suora, secondo le persone doveva essere aiutata e la gente cercava di strapparmi le valigie dalla mano, per guadagnarsi qualche soldi. L’aeroporto, in uno stato di hangar, piena di gente che si spingeva… . P. Giovanni aveva da fare per farmi arrivare sicura nel pulmino degli OMI. Père Adelà ci faceva una grande festa appena seduti in macchina. La mia vita nello Zaire cominciava.

Le prime 6 settimane sono andata a scuola dai Padri OMI per imparare il francese. P. Giovanni non mancava mai all’appuntamento nell’intervallo. “Come va?” Poi ci si dicevano le cose belle, essenziali. Il rapporto fra fratello e sorella era sempre la realtà più vera. Il resto non importava. Le esperienze semplici di vita evangelica erano quelli che contavano ed altro non si aveva da raccontare. La realtà di Gesù in mezzo a noi era sempre sentita, fra noi ed insieme a tutti. Era quella la nostra vita, di tutti i membri e aderenti del Focolare. Grande la mia gioia, quando un giorno P. Giovanna diceva a Monika-Maria, allora responsabile dell’Opera di Maria nel Congo, riferendosi a me: “Quella qui è la giusta per noi!” La sua approvazione mi importava moltissimo.

P. Giovanni per noi focolarini era una persona importantissima: Non essendoci ancora il focolare maschile era lui il punto di riferimento per tutti gli uomini, giovani, ragazzi che aderivano alla spiritualità dell’unità. La sua presenza era di una umiltà grandissima, e nello stesso tempo una presenza rassicurante e confortante. Era come un padre prevedente, anche per ogni particolare. Che si trattasse di trovare un lavoro per una focolarina, trovare una cassetta per aspiranti al focolare…. . Infatti, la prima cassetta maschile, la Domus Aurea, è stata proprio aperta nel compound degli OMI, della sua comunità, a Kitambo. P. Giovanni era il nostro punto di riferimento durante disordini, saccheggi e pericoli di ogni genere.    

Vorrei concludere con un aspetto di Lui che mi sembra forse il più importante, che emergeva in incontri speciali e molto apprezzati da tutti noi. P. Giovanni era membro della Scuola Abba, quella scuola istituita da Chiara Lubich stessa, che studia a fondo la grande luce che Dio ha voluto dare a lei. In incontri regolari chiamati “Scuola Abba” ci incontravamo sulla terrazza del focolare St. Raphael a Kinshasa-Limete, e P. Giovanni ci faceva le lezioni. Erano momenti sacri. Per anni mi ero tenuto un foglietto nel mio portafoglio di questi squarci di luce. Un aspetto base di queste lezioni che mi sembrava avesse impregnato più di tutto la vita di Padre Giovanni e che veniva sempre fuori era quell’essere nulla per accogliere in sé l’altro. Essere svuotato di sé per essere tutto dono, come nella Santissima Trinità. P. Giovanni voleva essere quel Vuoto d’Amore soltanto!

Dieci giorni prima dell’incidente mortale P. Giovanni, con la sua moto, aveva già fatto un piccolo incidente. Durante la scuola di francese avevo visto le sue ferite al braccio e nel viso. Avevo allora insistito fortemente che non prendesse più la moto, in quel traffico imprevedibile a Kinshasa. Lui però ci rideva sopra. Lui voleva arrivarci dappertutto sempre. Poi aveva anche un grande senso di povertà, voleva essere spoglio di tutto. Quindi bastava una moto.  

La sua partenza per il Cielo mi ha fatto dire semplicemente: Gesù lo voleva con sé.  L’unico Bene di Padre Giovanni era LUI, DIO. E Padre Giovanni aveva trovato la strada di trovarLo, essendo un Nulla d’Amore.

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