Domenica delle Palme. Quest’anno si legge il Vangelo secondo Luca. Gesù vi appare in tutta la sua profonda dignità, pieno di misericordia. Le sue parole infondono pace e speranza. È l’esempio del giusto sofferente, il modello del martire cristiano.
La preghiera è un tema
centrale di questo Vangelo, a cominciare dal momento del battesimo al Giordano
quando, «ricevuto da lui [Giovanni] il battesimo, [Gesù] stava in preghiera»
(3, 21), fin sul monte degli Ulivi alla vigilia della passione, quando «cadde
in ginocchio e pregava dicendo “Padre”» (22, 41). Gesù non poteva dunque terminare
la vita se non con una preghiera, e rivolgendosi al Padre, come aveva fatto
costantemente e come aveva insegnato a fare ai discepoli (11, 1-4): «Padre,
perdona loro perché non sanno quello che fanno» (23, 34); «Padre, nelle tue
mani consegno il mio spirito» (23, 46). Muore con sulle labbra la parola
“Padre”. Era stata la prima parola che lo abbiamo sentito pronunciare: «Non
sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (2, 49), ed è la sua
ultima parola. Ogni sera ci addormentiamo con questa preghiera. Vorremmo che
fosse anche l’ultima preghiera.
Il Vangelo di Luca è il Vangelo della misericordia e sulla croce Gesù, ancora una volta, non si smentisce: «In verità, oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23, 39-43). In verità: è una promessa solenne, nella quale Gesù si impegna in prima persona. Oggi: quanta fretta, nessuna dilazione, lo porterà in paradiso subito. Quanta premura! Con me: poteva promettere compagnia migliore? In paradiso: poteva esserci ricompensa più grande? Non per i crimini commessi, ma per la fede nella sua regalità e la fiducia nella sua misericordia.
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