Quando si parla della conversione di sant’Eugenio de
Mazenod, il pensiero va immediatamente a quel Venerdì Santo che si pensa sia
stato nel 1807. Leggendo la sua vita e i suoi scritti possiamo costatare molti
altri momenti di conversione. Potremmo dire che la sua è stata una conversione
“costante”.
Questa parola, “costante”, così come l’avverbio
“costantemente”, torna con frequenza sotto la sua penna. Innanzitutto nella Prefazione alla Regola, quando domanda di «vivere in uno stato abituale
di abnegazione e in una costante volontà di giungere alla perfezione».
L’impiego di questa parola gli era usuale. Nel ritiro del
1811 annota: «In mezzo ai pericoli innumerevoli che lo circondano, un
sacerdote, se non esercita su di lui una vigilanza costante, corre seri
pericoli di perdersi» (16a meditazione). In occasione della prima Messa aveva
chiesto a Dio «la grazia di farmi conoscere la sua santa volontà: […]
un’attenzione costante alla sua voce interiore per non far nulla che non
sia secondo il suo beneplacito» (Intenzioni delle messe dal 25 al 27 dicembre
1811). Nel ritiro nel 1812 si propone di
«rinunziare alle mie idee personali, dominando la mia volontà e i miei gusti,
mantenendomi costantemente umile» (“Doveri verso Dio”). Sono soltanto
alcune delle prime ricorrenze di questa parola.
Questa parola è rimasta presente nella tradizione oblata, fino a
giungere alle nostre attuali Regole:
C 2: Il loro zelo apostolico è sostenuto dall’oblazione di
sé senza riserve, costantemente rinnovata nelle esigenze della loro
missione.
C 8: Profondamente vicini alle persone con le quali lavorano, gli Oblati
saranno costantemente attenti alle loro aspirazioni e ai valori che esse
portano.
C 47: La formazione […] implica una costante conversione al Vangelo.
C 63: La croce oblata, ricevuta nel giorno della professione perpetua, ci
ricorderà costantemente l’amore del Salvatore.
C 68: Gli Oblati, strumenti del Verbo, devono restare flessibili ed aperti;
devono imparare ad affrontare bisogni nuovi e a ricercare soluzioni a nuovi
interrogativi. Lo faranno in un costante discernimento dell’azione dello
Spirito che rinnova la faccia della terra (cf. Sal 104,30).
Questi testi, soprattutto quest’ultimo riguardante la formazione
permanente, ci fanno comprendere che la conversione è un atteggiamento ininterrotto, è un cammino che permane lungo tutta la vita.
Più che fermarsi su un particolare momento o episodio di
“conversione” di sant’Eugenio, occorrerebbe seguire il processo “costante” di
conversione da lui vissuto e che l’ha condotto alla santità.
È quello che faccio nella conferenza che offro alla
comunità il giorno della sua festa, il 21 maggio.