Un’idea
fissa: “devo farmi santo” (Note di ritiro, 1882).
Da
Cumberland, la terra della sua solitudine, p. Ovidio Charlebois scrive al
fratello Guillaume: «Sì, caro fratello, o santi o bestie» (25 settembre 1888).
Due giorni prima aveva annotato: «Siamo tutti matti da legare se non diventiamo
santi… Siamo dei pazzi se non salviamo la nostra anima» (23 settembre 1888). È un ritornello che in quel periodo torna continuamente: “Siamo
santi, altrimenti siamo degli insensati” (13 dicembre 1888), e ancora il 15
marzo e il 17 luglio dell’anno successivo: “Se non diventiamo santi, siamo dei
pazzi”. Al fratello Guillaume scrive ancora: “Ricordati sempre che abbiamo
un’anima sola e che se la perdiamo una volta, la perdiamo per sempre. Ergo, esto sanctus
ubique”.
Questa
tensione verso la santità si traduce in un profondo desiderio del martirio.
Anche questo torna spesso nei sui scritti. Nelle note del ritiro del mese di
giugno del 1888 annota, ad esempio:
“Non vi domando, o mio Dio, di abbreviare i miei giorni;
tutto quello che vi chiedo è di accettare ogni istante della mia vita come altrettanti
piccoli martìri affinché, se non fossi degno di versare il mio sangue per voi,
la mia vita intera divenga un martirio continuo. Sì, mio Dio, da oggi voglio
cominciare a vivere martire (…). Voglio che non soltanto le mie miserie fisiche
contribuiscano al mio martirio, ma anche e soprattutto le mie miserie morali:
tentazioni, aridità, distrazioni nelle preghiere, il mio orgoglio, ecc. Così,
voglio che questo sia l’atto principale di questa giornata: cominciare a vivere
martire. O Sacro Cuore, insegnatemi a vivere così perché tutta la vostra vita è
stata un continuo martirio.
Al
fratello Guillaume condivide questo desiderio: “Dopo il mio ultimo ritiro, un
pensiero mi occupa lo spirito: quello di diventare martire. Non è una piccola
pretesa, vero? Mi chiederete subito: Chi saranno i tuoi carnefici? – É
semplice. Saranno le zanzare, sarà il mio Pierino [il ragazzo che stava in casa
con lui], i miei ragazzi del catechismo, i miei difetti, le mie tentazioni, le
mie pene, le mie privazioni. Non è un martirio piccolo quello che voglio, ma un
martirio di tutta la vita. Siccome non c’è un solo istante senza dover
soffrire, mi sono detto: perché non accettare tutto in vista del martirio?
Questo sarà forse più gradito a Dio che non le sofferenze momentanee del vero
martirio! Così mi considero come su un rogo, dove sono bruciato a fuoco lento,
in modo da rimanere in vita a lungo. Vi assicuro che questo pensiero aiuta a
soffrire tutto con pazienza”.
Nessun commento:
Posta un commento