La foto ritrae la famiglia attorno alla mamma in occasione del suo novantesimo compleanno. Ogni tanto la guardo o la mostro ad altri, compiaciuto. Non ha la composizione classica di una volta, è “mossa”, un po’ arruffata. Dà il senso dell’unità che la presenza della mamma crea, nella spontaneità della vita. Adesso che lei non c’è più sono il più vecchio dei 33 componenti la grande famiglia. Non ho più né zii né zie. Non ho più nessuno davanti a me, sono un patriarca.
Nella
mia comunità a Roma siamo una sessantina. Sono il più anziano, non ho nessuno
davanti a me.
Insegno ancora al Claretianum, e sono il più anziano, con il titolo di emerito.
Adesso che
p. Santino è partito per il Cielo non ho proprio più nessuno davanti a me. Non
ho più padre.
Non avere più nessuno davanti, è questa l’anzianità?
E
vengono tanti pensieri sparsi, senza nessun legame tra loro.
Penso a
Gesù. Aveva sempre davanti a sé il Padre. Non faceva nulla senza confidarsi con
lui. Passava le notti a parlarci.
Poi arrivò il momento nel quale anche lui perdette il Padre. Non aveva più
nessuno davanti a sé.
Mi sono
ricordato del centuplo promesso da Gesù a chi lascia padre, madre, fratelli,
sorelle: avrà cento madri, cento fratelli, cento sorelle… Tace sul padre. Non
dice che avremo cento padri. Perché di Padre ce n’è uno solo.
Il tempo ci priva di ogni padre perché dobbiamo prepararci ad andare a stare
col Padre. La preghiera si fa più vera: “Padre nostro…”.
Un rapporto nuovo col Padre: che sia questa l’anzianità?
Mi è
tornata alla mente la lettera che Niccolò Macchiavelli scrisse il 10 dicembre
1513 a Francesco Vettori, ambasciatore presso il Papa. Gli racconta come passa
le giornate: nel bosco a controllare il taglio della legna, a caccia di tordi,
nell’osteria a giocare a carte col beccaio, il mugnaio, i fornai… Fin quando
arriva la sera. Allora, giunto a casa, “in sull’uscio mi spoglio quella veste
cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e
rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antichi huomini”, ponendosi
a conversare con loro…
A sera, anch’io, dismesso l’abito quotidiano, posso rivestirmi a festa e
sedermi con i miei antichi padri e conversare con loro… Che sia anche questo un
dono dell’anzianità?
L’anzianità
sta forse nell’oblio di sé per farsi attento all’altro. A cosa serve pensare a
noi, che già abbiamo vissuto la vita? Meglio coltivare le vite più giovani
attorno a noi, aver cura di loro e vivere per loro. Senza la pretesa della
paternità, carisma riservato ad alcuni e non disponibile a tutti. Forse basta
una presenza semplice, che sa capire, non giudica, e sta vicina.
ciao Fabio, sono onesta, non accedo spesso al tuo blog, non per disinteresse ma perché la vita corre e noi appresso a lei fino a quando diventeremo saggi anziani e scopriremo, spero, che correre serve a poco; prenderemo riposo in Dio e vivremo la nostra vita come i contadini di un tempo...
RispondiEliminaricordavo, però, che verso la fine di novembre doveva esserci il tuo compleanno! ho sbagliato di un giorno ma ti faccio, lo stesso, tanti cari auguri perché l'anno che comincia oggi per te sia il primo della serie di anni più pieni e più belli. Che ti facciano sperimentare la compagnia del Padre, come dici tu e che ti venga data la gioia di poterla comunicare ai giovani. un abbraccio, Marina Falcone
ps: grazie per tutto quanto scrivi nel blog che diventa, per noi, come al pozzo di Sicar da cui attingere 'l'acqua viva' di Gesù.