Quando lasciava che le parole dei salmi gli salissero su dal
cuore, tornava a ruminarle e si fermava a lungo a guastarle come miele nella
bocca. Sentiva crescere la medesima ansia che aveva agitato l’animo del re
Davide, quella brama segreta e insieme gridata ad alta voce di vedere Dio. Un
desiderio che aveva segnato come direttrice costante il cammino dell’antica
alleanza: vedere Dio. L’aveva chiesto con insistenza Mosè e quando finalmente venne esaudito gli
avvampò il volto. Invano l’aveva chiesto Elia, fino a che poté scorgerne le
terga, e si accese ancor più la sete.
“Il tuo volto, Signore, io cerco. Mostrami il tuo volto e
sarà salvo”, continuava a ripetere apa Pafnunzio, cercando invano di
figurarselo.
Non si può figurare Iddio, l’antico comando lo vietava,
sarebbe scaduto a idolo vano con fattezze di creatura, egli il Santo,
l’Ineffabile, il Tutt’Altro. Non si poteva vedere Dio e rimanere in vita.
Morire che altro era se non vedere Dio? Era forse per questo che sempre più
frequente gli tornava il pensiero, anzi il desiderio della morte? Era perché
voleva vedere Dio.
Faceva intendere la sua voce, il Dio d’Israele, questo sì.
Parlava a re, profeti, uomini giusti... Le sue parole venivano ripetute,
trasmesse, messe per iscritto. Lo si poteva ascoltare, il Dio di Israele, e
come erano dolci le sue parole, anche quando apparivano terribili e forti. Lo
si poteva ascoltare, ma non lo si poteva vedere. Più lo si ascoltava, più
cresceva la fame di vederlo, a faccia a faccia.
“Il tuo volto, Signore, io cerco. Mostrami il tuo volto e
sarà salvo”, continuava a ripetere apa Pafnunzio, cercando invano di
figurarselo.
Dopo che il sole del deserto s’era fatto rosso
all’orizzonte, rendendo evanescente le sagome che monti che toccava
all’orizzonte e lasciato il posto in fretta al denso buio della sera, apa
Pafnunzio rientrava nella cella e accendeva il lume davanti all’icona del
Cristo Pantocratore. Allora sorrideva. Ogni notte vedeva esaudita la sua
preghiera. Semplicemente vedeva. Vedeva il volto di cui ogni giorno si poneva
in ricerca. Il volto del suo Dio aveva ora il volto di Cristo. Era quello il
volto sempre cercato. Dio aveva preso volto. Lo vedeva bambino in braccio alla
madre, dodicenne in dialogo con i dottori del tempio, giovane nella bottega di
Nazaret, uomo sulle vie di Galilea, sfigurato sulla croce, splendente nella
risurrezione. Aveva un volto Gesù, il volto di Dio, che mutava con passare
degli anni.
Contemplato nella notte il volto di Dio in quello di Cristo,
la mattina era pronto per riconoscerlo nei fratelli della laura, nei viandanti
che sarebbero passato lungo la strada carovaniera, in quanto forse sarebbero
giunti a lui per chiedere consiglio. “Chi vede me, vede il Padre” aveva detto
Gesù a Filippo. Ora apa Pafnunzio sentiva che si rivolgersi a lui dicendogli: “Quando
vedi una persona qualsiasi, vedi me”. Poteva davvero vedere Dio!
Gli nasceva allora in cuore un ulteriore desiderio, perché
il desiderio non trova mai appagamento. Ascoltare, vedere, e finalmente toccare.
Adesso non erano più le parole dei salmi che gli salivano
sulle labbra, ma quelle dei Vangeli. Apa Pafnunzio vedeva le folle che
pregavano il Maestro di poterlo toccare, almeno l’orlo del mantello, come aveva
fatto la donna di Cafarnao, ed essere guariti. Chi avrebbe mai immaginato, non
soltanto di vedere, ma addirittura di toccare Dio. Prima non si poteva toccare
neppure il monte sul quale egli si sarebbe rivelato, pena la morte.
Nei Vangelo invece era tutto un toccare. La donna peccatrice
ardisce perfino toccargli i piedi, anzi baciarli. Risorto, a fatica Gesù deve
districarsi dal lungo abbraccio di Maria di Magdala, per poi invitare i suoi a
toccarlo: “Sono proprio io! Toccatemi…”. E a Tommaso: “Metti qua la tua mano,
metti qua il tuo dito”. Con quanto orgoglio l’apostolo Giovanni si
vantava di avere non soltanto udito e veduto, ma proprio toccato “con le nostre
mani” il Verbo della Vita. Toccare Dio!
Anche Gesù aveva toccato uomini e donne: aveva preso per mano
la suocera di Pietro, toccato gli occhi del cieco di Betsàida e l’orecchio del
servo Malco, si era contaminato toccando i lebbrosi e prendendo per mano una
fanciulla morta.
Ogni tocco si tramuta in salvezza.
“Posso toccare Dio, perché Dio mi ha toccato”, si ripeteva
apa Pafnunzio mentre baciava la santa icona, pregustando il tocco che si
sarebbe ripetuto il giorno successivo durante la santa Liturgia, preludio
dell’abbraccio eterno. Comprese allora perché Dio s’era fatto uomo e perché i
corpi sarebbero risorti: per potersi toccare.
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