Davide
voleva preparare una casa per il suo Dio.
Fu
invece Dio a preparare una casa (un “casato”) a Davide.
Ogni
volta che apa Pafnunzio ripeteva questo racconto ero sempre colpito dalla
sovrabbondante grazia di Dio e dalla sua generosità. La promessa era scritta nel
libro di Samuele, ma tornava con frequenza sulle sue labbra perché era stata ripresa
dal Salmo: “Stabilirò per sempre la tua discendenza, ti darò un trono che duri
nei secoli”.
Anche
quella mattina intonò il canto dell’amore, della grazia, della fedeltà di Dio:
“Canterò
senza fine le grazie del Signore,
con
la mia bocca annunzierò la tua fedeltà nei secoli,
perché
hai detto: ‘La mia grazia rimane per sempre’;
la
tua fedeltà è fondata nei cieli”.
Non
erano più le parole piene di gratitudine di Davide, erano le parole di apa
Pafnunzio, che si sentiva amato, prediletto, prescelto dal suo onnipotente
Iddio.
Diversamente
dal solito questa volta l’apa tornò a pensare a Davide e al suo desiderio di
costruire una casa a Dio. È vero che non poté costruirla perché sarebbe stato Dio
a costruita a lui. Ma Dio avrebbe mai costruito una casa a Davide se Davide non
gli avesse manifestato il desiderio di innalzargli un tempio?
Valeva
infinitamente di più la magnanimità del Signore dell’umile e terreno desiderio
di Davide, ma senza il desiderio di Davide non ci sarebbe stata la promessa del
Signore.
Non
aveva mai pensato, apa Pafnunzio, che per accogliere la grazia del Signore ci
fosse bisogno del desiderio. Dio dà, ma in risposta. Dove sarebbe altrimenti la
libertà dell’uomo.
Anche
piccolo, anche meschino, ma il desiderio deve sgorgare dal cuore, per aprire il
cuore. E poi l’appagamento.
Il
desiderio di Apa Pafnunzio si accese come una fiammella debole e fu investito
da un turbine di fuoco.
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