La discussione di una tesi dottorale
è sempre un evento che suscita interesse. Ancora di più quando il tema è così
avvincente come quello trattato da Wedner Bérard, Oblato Haiti, che ha studiato
il problema della democrazia nel suo Paese: “La democrazia, sfida etica per la
politica in Haiti”. Essendo stato tre volte ad Haiti non potevo mancare
l’appuntamento di questa mattina all’Accademia Alfonsia di Roma.
Un Paese povero, dove un milione di
persone non ha accesso all’acqua potabile, dove l’analfabetismo è imperante, le
disuguaglianze sociali e la corruzione invasive, l’apatia scoraggiante. Un
Paese con una storia drammatica, che ha pagato a caro prezzo l’essere stato la
seconda nazione a raggiungere l’indipendenza nelle Americhe dopo gli Stati
Uniti e la prima tra i Paesi neri.
Un Paese giovane (la metà della
popolazione ha meno di 25 anni) che ha grandi risorse umane: lo spirito di
unità, la compassione, l’ospitalità, la forza della speranza.
Dopo aver analizzato storia e
situazione attuale, dopo aver proposto suggerimenti e prospettive, Wedner
conclude: “L’uomo haitiano costituisce il capitale da valorizzare. Se si è
battuto per l’indipendenza nel 1804, è riuscito a liberarsi dell’occupazione
americana, può adesso vincere la sfida democratica. Da solo sarà impotente
davanti all’enormità delle sfide democratiche, tuttavia l’avvenire e il destino
dipendono dalle volontà umane di tutta la nazione. La lotta contro il
sottosviluppo, l’impunità, l’analfabetismo è ancora lontano dal suo successo e
appare sempre più difficile. Ma una collettività che lavora insieme per il
proprio bene può raggiungere i traguardi più ardui”.
Non posso non tornare col pensiero
al mio primo viaggio in Haiti nel 2003. Rimasi impressionato dalla miseria e
soprattutto dalla mancanza di bellezza. Cercai a lungo qualcosa di bello, che
potesse dare speranza. “Basterà assuefare l’occhio e saprò scorgere qualcosa di
bello – scrivevo nel diario –. Ma oggi Port-au-Prince non me le vuole mostrare,
me le tiene nascoste”. Finalmente:
D’improvviso,
nel silenzio del mattino, sento cantare uno spiritual melodioso da una voce
bellissima. Seguo la voce e scorgo finalmente una donna tra i piloni di cemento
di una villa in costruzione. Quando si accorge della mia presenza mi sorride,
continua a cantare e accenna le movenze di una danza, accompagnandosi col
battito delle mani, quasi un invito a partecipare alla sua gioia. Lascio che
termini e le rivolgo la parola. È la guardiana della villa la cui costruzione è
stata interrotta da tempo. In quello scheletro di cemento, con i ferri
rugginosi che spuntano da tutte le parti, ha messo insieme alcuni mattoni e ha
costruito un piccolo riparo. Là dentro sei figli stanno ancora dormendo. Lei è
fuori con alcune pentole, tra la polvere del cemento, per iniziare la giornata.
Ci sarà da andare a prendere l’acqua, chissà quanto distante, da procurare il
cibo, da cucinare, da lavare… Ha in dosso due stracci vecchi. Sul volto si
riconosce ancora una bellezza ormai bruciata dagli stenti. E canta, da sola,
nel primo sole del mattino. E sorride, e danza...
“È
questa la sua casa?”, le domando. “No, abito qui come custode, non ho una casa
mia. Ma forse riesco a mettere da parte qualcosa e potrò costruire una
stanzetta tutta per noi”. Ricordo un proverbio di Haiti: “La speranza fa
vivere”. Ho trovato qualcosa di bello!... Ho trovato qualcosa di bello ad
Haiti, la sua gente!
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