Per l'occasione la città di Roma ha organizzato i fuochi d'artificio a Castel Sant'Angelo, in sincronia con la musica!
Il
Congresso, dalle 14 alle 17, potrà essere seguito live via streaming all’indirizzo
Per
avere la password si può chiedere a
All’inizio spiegherò il passaggio dal carisma del
fondatore al carisma dell’istituto
Con
la morte del fondatore si adempie la parabola evangelica del chicco di grano
che deve cadere in terra e morire per portare frutto: è la fine di
un’esperienza e nello stesso tempo l’inizio di una nuova fecondità. Sembra di
sentir riecheggiare le parole di Gesù: «È bene che io me ne vada, altrimenti
non potrà venire a voi lo Spirito» (cf. Gv
16, 7); «Farete cose più grandi di me» (cf. Gv
14, 12). Sembra quasi che perché il carisma possa sprigionare tutta la sua
creatività sia necessario il dono estremo della vita da parte del fondatore.
Soltanto l’intera storia dell’istituto, con le nuove molteplici opere,
l’esperienza dei suoi santi, le inculturazioni in ambienti e situazioni sempre
nuove, renderà ragione della densità, ricchezza e potenzialità racchiuse nel
carisma iniziale.
Quel
dono infatti, una volta trasmesso, domanda di essere “vissuto”, “custodito”,
“approfondito” e “sviluppato”. Ognuno di questi verbi meriterebbe un
approfondimento. “Vivere”, perché il carisma, prima di essere oggetto di
studio, è una realtà viva e dinamica, come lo è lo Spirito che lo dona alla
Chiesa, e quindi va attuato, occorre lasciarsi guidare da esso. “Custodire”,
perché non ne siamo i padroni: è un dono oggettivo che abbiamo ricevuto, e che
dovremo a nostra volta trasmette. “Approfondire”, perché ha sempre cose nuove
da dire, soprattutto nei differenti contesti culturali e storici in cui esso si
incarna. In tal modo lo Spirito che ha illuminato e animato il fondatore si
diffonde adesso su tutta la famiglia da lui nata: il “carisma del fondatore” diventa
il “carisma dell’istituto”, quasi rifrazione collettiva del carisma del
fondatore, sviluppato dalla vita, dall’esperienza, dagli apporti personali di
quanti lo Spirito continua a chiamare: il seme diventa albero.
A
mano a mano che l’albero cresce, le nuove generazioni non dovranno mai dimenticare
le radici. Anche questo è messaggio evangelico. Subito dopo la sua morte e
risurrezione Gesù dà infatti un importante appuntamento ai suoi discepoli: li
incontrerà di nuovo in Galilea (cf. Mt
28, 10). Perché da Gerusalemme devono scendere in Galilea per incontrare il
Signore risorto? Perché là tutto era incominciato e da là essi debbono
ripartire, imparare di nuovo a seguirlo, anche se ora in modo nuovo: Gesù dopo
la risurrezione non è più come prima, non lo si può più seguire lungo le strade
della Galilea, ha superato le barriere del tempo e dello spazio rendendosi
presente nel cuore dei discepoli, ovunque essi siano. Egli vive ormai nella
dimensione dello Spirito, ed è ad ognuno più intimo che mai.
Anche
sant’Eugenio ci dà il suo “appuntamento in Galilea” – ad Aix!, alle origini
carismatiche, perché quella sua prima irrepetibile esperienza, da cui tutto
ebbe inizio, rimane paradigmatica per i secoli, per ogni generazione. Sempre
dovremo tornare alla piccola-grande storia degli inizi in cui tutto è racchiuso,
come in un seme fecondo.
Pur
nelle mutazioni storiche e culturali, la vita dell’istituto esprime e
attualizza l’esperienza che lo Spirito ha dato di compiere al fondatore: vi è
una sostanziale continuità tra carisma del fondatore e carisma dell’istituto.
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