A Roma sant’Eugenio de Mazenod si
trovava come a casa sua. Era ammirato della città che percorreva in fretta a
piedi da un lato all’altro per mille incombenze. Ma non si prendeva il tempo
per visitare i monumenti, se non quelli cristiani. Quando ormai il suo primo
soggiorno, dopo cinque mesi, stava volgendo al termine, nel diario annotava: “Non
ho quasi il coraggio di confessare che, unicamente preso dai miei affari a
Roma, ho messo poca cura nel visitare le curiosità che attirano tanti stranieri
in questa superba città. Attento solo a cercare i monumenti di cui la pietà di
tutti i secoli ha lasciato tante tracce, ero soddisfatto nel visitare una
basilica, pregare sulla tomba di un santo, contemplare qualcuna delle loro
opere e i luoghi da loro abitati. Eccomi sul punto di lasciare Roma e non ho
visto una sola villa…” (16 aprile 1826).
Il giorno dopo, sempre
attratto dai santi, decise di visitare la chiesa di S. Girolamo della Carità
tra Piazza Farnese e Via Giulia, dove san Filippo Neri aveva vissuto ben 33
anni della sua vita, dal 1551 al 1583, fondandovi l’Oratorio.
La
chiesa sorge su rovine di epoca romana, identificate come la casa della nobile
matrona santa Paola, che nell'anno 382 ospitò san Girolamo, invitato a Roma da
papa Damaso. Per questo si chiama Chiesa di san Girolamo.Nel 1524 Clemente VII
l’aveva data alla Arciconfraternita della Carità. Per questo san Girolamo alla
Carità.
Oggi
la chiesa è abitualmente chiusa. Per entrare devo suonare il campanello della
attigua casa delle suore, che gentilmente mi introducono in questo gioiello. Subito
appare la Cappella Spada, il capolavoro del Borromini. Dopo aver visto la
cappella di san Filippo dello Juvarra, salgo su in alto, nella stanzetta dove
viveva san Filippo e dove accoglieva amici e penitenti. Mi piacerebbe essere in
compagnia degli altri visitatori del suo tempo, tra i quali S. Ignazio di
Loyola, S. Felice da Cantalice, S. Carlo Borromeo, S. Camillo de Lellis… Oltre
alle visite c’erano dei compagni fissi: la gatta, gli uccellini nella
gabbia sempre aperta, il cagnolino Capriccio, bastardino bianco a chiazze
rosse…
Visita
che ti visito, la stanzetta risultò troppo angusta e fu necessario adattare il
granaio posto sopra la navata destra della chiesa a sala di incontro. È così
che nacque l’Oratorio.
Mi siedo nella stanza
dove san Filippo ha vissuto e apro il diario di sant’Eugenio: “17 aprile 1826. Desideravo
da molto tempo celebrare il santo sacrificio nella camera occupata per più di
30 anni da S. Filippo Neri e di servirmi dello stesso calice usato da lui.
L’altro giorno, con questo scopo, sono andato a tastare il terreno per non
illudermi. Mi promisero che qualsiasi giorno avessi scelto, sarebbero stati
contenti di soddisfare la mia devozione. Sono dunque andato questa mattina e la
cappella è stata immediatamente aperta ed è stato preparato il prezioso calice.
L’altare si trova proprio nella piccola camera occupata dal santo, proprio
quella in cui fu favorito da tante visioni celesti. Quella in cui fu visitato
da S. Carlo Borromeo, S. Ignazio di Loyola, S. Felice da Cantalice. Questa
stanza è stata la sola di tutta la casa a non essere stata preda delle fiamme.
Il Signore non ha voluto permettere che un santuario così caro alla pietà fosse
tolto ai fedeli che, da diverse parti del mondo vengono ad attingervi buoni
sentimenti”.
San Filippo era dei santi preferiti di
sant’Eugenio. Quando questi ebbe l’idea di dare vita ai Missionari di Provenza
pensò subito di ispirarsi alle sue regole. Vedeva i membri della futura
comunità uniti come i padri dell’Oratorio. Nella prima lettera a p. Tempier,
che diventò il suo promo compagni, aveva scritto: «Spero che avverrà di noi
quel che fu dei discepoli di S. Filippo i quali, liberi come resteremo noi,
morivano prima di pensare di uscire da una Congregazione amata come una mamma».
Un anno prima aveva scritto al suo amico Forbin Janson, in visita a Roma, perché
gli procurasse una reliquia di Filippo Neri
“che è uno dei patroni della mia piccola associazione della gioventù”,
premurandosi di aggiungere: “ma che sia autentica!”. Insieme gli chiese “la
vita migliore di s. Filippo Neri”. Infine gli raccomandò: “Nel tuo interesse
non dimenticare di dir messa col calice di cui si serviva lui”. Ora finalmente
Eugenio stesso poteva celebrare la messa con quel calice. Da giovane sacerdote Eugenio
aveva scritto anche una pagina delle sue note spirituali nel quale raccontava
in maniera dettagliata come san Filippo diceva messa. Sicuramente, quella
celebrata nella stanza del santo, l’avrà vissuta, come san Filippo, “con una
devozione straordinaria…”.
Come le suore con me,
Eugenio scrive che anche allora il decano della chiesa e il sacrestano furono “gentili
oltre misura… e, dopo il ringraziamento della messa, ho dovuto accettare una
tazza di cioccolata”.
Tornò nella stanza di san
Filippo dieci giorni più tardi, il 27 aprile, come annota ancora nel diario: “Non
contento di aver detto la messa col calice di S. Filippo Neri nella camera che
occupava a S. Girolamo della Carità e sull’altare dove riposa il suo corpo, ho
avuto la devozione di dirla anche nella cappella vicina alla camera che
occupava e che è la stessa cappella in cui si fermava molto a lungo per
celebrare i divini misteri… Nella stanza davanti si vedono, in un armadio a
vetri, il confessionale in legno comune con una griglia dai piccoli fori, la
sedia dalla quale istruiva il popolo, il letto, un piccolo scaldino per
riscaldarsi, scarpe, ecc. In seguito ho visitato la casa che è molto bella, la
biblioteca che è stata salvata per intero”.
Una targa di marmo
ricorda che quelle stanze furono un cenacolo di santità. Sant’Eugenio ha
continuato la tradizione. Potremmo visitarle anche noi per entrare a far parte
di quel cenacolo.
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