«Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”».
Stava leggendo il Vangelo che lo
introduceva nel Triduo santo, quando rimase colpito da quel “tale”. Chi sarà
stato quel tale a cui il Signore inviava i suoi due discepoli con l’invito a
prestargli la casa per celebrare la Pasqua? “Un tale”. Anche lui si sentiva uno
qualunque, “un tale”.
E se il Maestro si stesse rivolgendo
proprio a lui? Se fosse proprio lui quel tale a cui il Maestro chiedeva di
fargli posto in casa?
Apa Pafnunzio non sapeva se gioire
per l’onore che gli veniva riservato oppure turbarsi nel constatare
l’inadeguatezza dell’accoglienza che avrebbe potuto offrire al Maestro.
Quel tale aveva una grande sala al
pieno superiore della casa, adatta alle esigenze, degna di una così grande
celebrazione. Ma lui, apa Pafnunzio, non aveva che una misera cella, per niente
idonea ad accogliere il Signore.
Eppure sentiva che la richiesta era
proprio rivolta a lui: “Il Maestro dice: farò la Pasqua da te”. Come avrebbe
fatto a preparare in maniera degna la sua misera dimora?
Continuò poi nella lettura del
Vangelo e si accorse che v’era scritto: “I discepoli… prepararono la Pasqua”.
Non avrebbe avuto di che preoccuparsi, ci avrebbero pensato altri a preparare
l’occorrente, a lui si chiedeva solo la disponibilità ad accogliere il Signore.
Sì, era disposto a far entrare il
Maestro nella sua casa.
Udì la sua voce: “Io sto alla porta e busso.
Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre, entrò da lui e cenerò con lui”.
Apa Pafnunzio aprì la porta. Il
Maestro venne.
Ed era già Pasqua.
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