Si fa solidale con ogni categoria di persona, fino a diventare uno di
loro, con lo scopo di portarvi la novità del Vangelo. Per cinque volte ripete
“mi sono fatto” uno con l’altro: con i Giudei, per amore loro, si sottopone
alla legge mosaica, pur ritenendosi non più vincolato da essa; con i non Giudei,
che non seguono la legge di Mosè, anche lui vive come fosse senza la legge
mosaica, mentre invece ha una legge esigente, Gesù stesso; con quelli che
venivano definiti “deboli” – probabilmente cristiani scrupolosi, che si
ponevano il problema se mangiare o meno le carni immolate agli idoli –, si fa
anche lui debole, pur essendo “forte” e provando una grande libertà. In una
parola, si fa “tutto a tutti”.
Ogni volta ripete che agisce così per “guadagnare” ognuno a Cristo, per
“salvare” ad ogni costo almeno qualcuno. Non si illude, non ha aspettative
trionfaliste, sa bene che soltanto alcuni risponderanno al suo amore, nondimeno
egli ama tutti e si mette al servizio di tutti secondo l’esempio del Signore,
venuto «per servire e dare la propria
vita in riscatto per molti» (Mt 20,
28). Chi più di Gesù Cristo si è fatto uno con noi? Egli che era Dio, «annientò
se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2, 7).
Con fine pedagogia Chiara individua anche gli ostacoli quotidiani che
si frappongono al “farsi uno”:
«A volte sono le distrazioni, altre volte il cattivo desiderio di dire
precipitosamente la nostra idea, di dare inopportunamente il nostro consiglio.
In altre occasioni siamo poco disposti a farci uno col prossimo perché
riteniamo che non comprenda il nostro amore, o siamo frenati da altri giudizi
al suo riguardo. In certi casi siamo impediti da un recondito interesse di
conquistarlo alla nostra causa». Per questo «è proprio necessario tagliare o
posporre tutto quanto riempie la nostra mente e il nostro cuore per farci uno
con gli altri»[2].
È dunque un amore continuo e infaticabile,
perseverante e disinteressato, che si affida a sua volta all’amore più grande e
potente di Dio.
Sono indicazioni preziose, che potranno aiutarci a vivere la parola di
vita in questo mese, a mettersi in sincero ascolto dell’altro, a capirlo dal di
dentro, immedesimandosi in ciò che vive e che prova, condividendone
preoccupazioni e gioie:
“Mi sono fatto tutto a tutti”
È importante anche avere presente lo scopo del farsi uno.
La frase di Paolo che vivremo questo mese continua, come abbiamo
precedentemente accennato, con l’espressione: «… per salvare da ogni costo
qualcuno». Paolo giustifica il suo farsi tutto con il desiderio di portare alla
salvezza. È una via per entrare nell’altro, per farvi emergere in pienezza il
bene e la verità che già vi abitano, per bruciare eventuali errori e per
deporvi il germe del Vangelo. È un compito che per l’Apostolo non conosce né
limiti né scuse, al quale egli non può venir meno perché glielo ha affidato Dio
stesso, e deve compierlo “ad ogni costo”, con quella inventiva di cui soltanto
l’amore è capace.
È questa intenzionalità a dare la motivazione ultima al nostro “farsi
uno”. Anche la politica e il commercio sono interessati a farsi vicini alle
persone, ad entrare nel loro pensiero, a coglierne le esigenze e i bisogni, ma
vi è sempre la ricerca di un tornaconto. Invece «la diplomazia divina – direbbe
ancora Chiara – ha questo di grande e di suo, forse di solo suo: che è mossa
dal bene dell’altro ed è priva quindi d’ogni ombra d’egoismo»[3].
“Farsi uno” dunque, per aiutare tutti nella crescita dell’amore e così
contribuire a realizzare la fraternità universale, il sogno di Dio
sull’umanità, il motivo per il quale Gesù ha dato la vita.